Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

STORII/PAYIL noscere i suoi grossi cani, uno slanciato bull-dog color d'oro - "questo è Elio", - e il mastino inglese, un brontolone - "e questo è Sam". Poi gli mostrò i pappagalli, che cominciarono a gridargli: "Furfante, ce l'hai il culo?" Gli aperse tutte le sue stanze e anche gli aperse il suo animo, perché mio padre era un vero rubacuori. Dopo un'ora lo ebbe sul palmo della mano, come se coll'alito esalante dalla sua armatura di commesso viaggiatore l'avesse dovuto riscaldare. Alla fine il professore gli disse: · "Di questi frigoriferi ne prendo due. Uno per casa e uno per lo studio. Si faccia vedere ogni tanto". Mio padre avrebbe completamente dimenticato il professore se una volta in direzione, prendendo il caffè, qualcuno non avesse fatto il nome di Nechleba, che risuonò molto chiaramente, perché subito mio padre a mezza voce soggiunse: "È un mio amico". Queste parole pronunciate in quel contesto fecero l'effetto d'un colpo di cannone. Al direttore generale Koralek mancò il respiro, ma ancora aveva dei dubbi; non era passato molto tempo da quanto mio padre in quel famoso banchetto aveva afferrato il pollo con le mani. Aveva una sua personale opinione del livello culturale di mio padre, e la espresse dicendo: "Forse lei si confonde con qualcun altro. Noi parliamo del signor Vratislav Nechleba, il nostro più grande ritrattista contemporaneo. Il pittore, capisce?" "Ma sì, signor direttore, proprio di recente sono stato nel suo studio e abbiamo chiacchierato insieme su che cosa possono dire e non dire gli occhi umani". E la procuratrice Gutovà subito domandò: "Che cosa possono dire gli occhi umani?" Mio padre laconicamente le rispose: "Questo lo possono capire solo gli artisti". Quella frase lo collocava al di sopra di loro, semplicicommercianti, perché nessuno, nemmeno il direttore generale, poteva immaginare tutto ciò che gli occhi umani possono dire. Il direttore Koralek alla fine della seduta gli fece un segno con la mano e lo invitò ad entrare nel suo ufficio, e con aria benevola gli domandò senza alcuna reticenza: "Che ne direbbe se Nechleba dipingesse mia moglie Irma?" Fu come un fulmine. Accidenti, come non gli era saltato subito in testa? Perché non aveva detto immediatamente al professore, lì, seduta stante, che lui conosceva la più bella donna di Praga? · Se l'avesse vista, sarebbe rimasto a bocca aperta, trovandòla la più bella modella che mai avesse sognato. E inoltre Irma ne sarebbe stata felice e gliene avrebbe serbato gratitudine. Di nuovo gli avrebbe donato quel seducente sorriso e forse anche sarebbe andata con lui al caffè oppure in qual- . che altro luogo. Ma essendo soprattutto un buon commerciante, mio padre non mostrò troppo apertamente il suo entusiasmo alla pro~sta del direttore, anzi pensò di tergi4ibIiOtecal::iinoBianco · versare un po', facendo il prezioso. Tanto meglio ne sarebbe stato ripagato. Si sedette in silenzio. "Lei non ha udito ciò che ho detto?" domandò con insistenza il direttore generale. "Ho capito, ma la cosa non è tanto semplice." "Lo so anch'io, senza che me lo dica lei. Questo Nechleba ha mandato a dire a Bata che lui non dipinge i calzolai e dal presidente Masaryk aveva preteso per un ritratto ben tremila corone. Ma io, come lei può immaginare, non ne faccio un problema di soldi. Posso anche dare un milione". Dapprima mio padre sgranò gli occhi, perché conosceva l'avarizia del signor Koràlek. Sapeva leggere negli occhi umani, e in quei due occhi marroni che aveva davanti a sé colse una brama enorme di ottenere ciò che altri ricconi non avevano ottenuto. Quel signore che sbraitava sempre con i subalterni ignorava l'arte e anche la possibile bellezza di un ritratto di sua moglie, ma ciò che gli interessava era di poter ripetere all'infinito una frase come "Nechleba dipinge mia moglie". Poterla ripetere a pranzo e a cena, poterla scrivere ai suoi parenti in Inghilterra, negli Stati Uniti, e poi, in un futuro, ancora ripeterla contemplando il quadro, usarla in certe occasioni come una bomba. Però a mio padre era venuta in mente anche una strana idea: quel direttore non doveva avere una grande opinione della bellezza della signora Irma, altrimenti non avrebbe offerto una somma così enorme. Questo suscitò in lui una rabbia terribile contro il signor Koralek. Il professor Nechleba, mio caro direttore, ritrarrà Irma per ben altre ragioni. Il suo quadro dovrà resistere attraverso i secoli. Dovrà essere lo specchio della sua bellezza e nello stesso temo della sofferenza di una donna costretta a vivere al suo fianco. La signora Irma dovrebbe indossare un vestito celeste chiaro, che faccia gioco con i suoi occhi celesti, e il quadro dovrebbe avere una pesante cornice dorata. Quando mio padre fu certo di aver sbollito la sua collera disse: "Va bene, parlerò io con il professore". Subito il giorno dopo andò dal signor Nechleba. E mentre saliva le ampie scale che portavano allo studio, nella sua mente andava balenando il pensiero dello splendore di un mondo arricchito da un ritratto della signora Irma. In fin dei conti, però, il signor Koralek era sempre il suo capo, e non era tanto da buttar via. Salendo le scale, a un certo punto un unico pensiero cominciò a preoccuparlo: il professore Nechleba avrebbe saputo veramente ritrarre la bella Irma? Sì, è vero, aveva dipinto presidenti e ministri, ma il ritratto di una simile donna era tutt'altra cosa. I suoi morbidi capelli, i suoi occhi cerulei, le labbra carnose. Ah, che quadro sarebbe stato, se fosse stato capace di ritrarli! Gli ultimi gradini il babbo li salì di corsa e si attaccò subito al campanello, quasi che il professore non avesse dovuto perdere nemmeno un minuto. Si aprì la porta e apparve il signor Nechleba. "Ah, è lei, figliolo. Perché va così di fretta?"

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