"È in gamba, questo Popper". Ma a capotavoia si era fatto un silenzio di gelo: il presidente Venegren e i direttori generali continuarono a mangiare il pollo con coltello e forchetta; il signor Koralek e la signora Irma si scambiarono un'occhiata che esprimeva tutto il loro disappunto nei confronti di mio padre. Anche lui se ne rese conto guardando la signora Irma, dalla quale si aspettava, nella sua qualità di campione del mondo, uno sguardo radioso. Lei sorrise, ma era sempre lo stesso sorriso impersonale, e in più nelle sue pupille era impresso quel pollo arrosto che lui brandiva con la mano. Mio padre intuì immediatamente la barriera esistente tra lui e la signora Irma, barriera che in nessun caso poteva essera varcata da un commesso viaggiatore, anche se fosse stato in grado di vendere un aspirapolvere persino al padreterno .. Divenne un po' triste, e neanche lo rallegrarono gli elefanti di gelato, che servirono alla fine del banchetto, e che lui amava fino alla follia. Ma all'improvviso accadde un fatto inaspettato che, sportivamente parlando, offrì un'occasione a mio padre. A Praga viveva il pittore Vratislav Nechleba. Era celebre e rinomato come pochi altri tra gli artisti viventi. Conoscerlo voleva dire salire di un gradino nella scala sociale; e quanto a fare amicizia con lui, per un comune mortale non c'era nemmeno da sognarselo, soprattutto perché il signor Nechleba si comportava in modo stravagante e non era affatto propenso a dar subito confidenza. B1blio e8~nt;F~ole~i~Kctli lunghi, alla Fiera camSilografia di Emi/ FII/a (1913). .STORIE/PAVEL pionaria di Praga, si diresse allo stand dove mio padre vendeva i frigoriferi e si presentò: "Mi chiamo Nechleba". Il babbo non aveva ovviamente la minima idea di quale Nechleba si trattasse, conoscendo soltanto campioni di boxe, cominciando da Hermanek a Nekolny, ma si comportò come se per lui tutto fosse assolutamente chiaro. Il signor Nechleba, da sotto le spesse sopracciglia, ammiccò con gli occhi, sorrise e indicando i frigoriferi disse: "Sarei interessato a questi mostri. Caro signore, venga da me ali' Accademia". Il babbo si recò ali' Accademia e domandò al portiere: "C'è da voi un certo signor Nechleba?" "Ma certo, è un nostro professore. Il suo studio è al primo piano". Il babbo salì, suonò e venne ad aprirgli proprio quel piccolo signore dai capelli lunghi. "Ah, è lei, signore. Aspetti un momento, ho qualcosa da finire". Il babbo si sedette su una poltrona di pelle e per un poco osservò quel professore che abbelliva col pennello il viso di un uomo che sembrava un pazzo dai capelli arruffati. L'uomo del quadro non gli piaceva per niente, emanava uno strano senso d'irrequietudine che a mio padre dava fastidio. Si girò e si guardò attorno. Vide decine di quadri sui cavalletti, sui muri o semplicemente poggiati a terra: presidenti, finanzieri, artisti, personaggi biblici guardavano dalle cornici. Di colpo un nuovo mondo, a lui ignoto, gli s'aprì dinnanzi: quei volti nelle cornici lo attiravano con una forza magnetica, sconosciuta, come se tutti stessero con lui e volessero parlargli. Si alzò passeggiando per lo studio, sentendosi lui, esperto conoscitore della gente, vicino a quel mondo. Ognuna di quelle persòne appariva come viva e quasi che stesse per uscire dal quadro, tendendogli la mano per presentarsi. Mio padre si rese conto che inconsciamente osservava quei personaggi e li studiava quasi dovesse vendergli aspirapolvere o frigoriferi, e poiché capiva la gente sul loro volto leggeva la fortuna e la sventura che avevano avuto durante la loro vita. La voce del pittore lo interruppe: "Le piacciono, signor mio?" "Molto, professore, mai avrei pensato che fosse possibile dipingere con tale realtà delle persone", rispose sinceramente mio padre, il quale ignorava l'esistenza di un Leonardo da Vinci, di un Rubens e di un Rembrandt. Poi il babbo cominciò a raccontare le sue esperienze con la gente - gli occhi che hanno quando stanno per morire o per uccidere. Gli raccontò di quell'omino zoppo che ad Amburgo, in un bordello, aveva gettato contro un magnaccia un panchetto spaccandogli la testa, e il cervello era schizzato su mio padre. Gli raccontò anche degli occhi del suo amico Zuban, che in Africa fuggendo attraverso il deserto aveva bevuto la propria orina. E ancora molte altre simili storie aveva seguitato a raccontare al professore, che lo ascoltava sempre con lo stesso interesse con cui il babbo aveva osservato i suoi quadri. Infine il professore portò il babbo a casa sua, gli fece co43
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