Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

HORROR L'UOMO PIÙ SCHIVO DELLACITTA. Stefano Benni Viveva un tempo nella città di Lozd un saggio che si chiamava Ceronius ed era moltoi schivo, viveva in una caverna e passava il suo tempo a fare ombre cinesi tra le stalattiti. Un giorno un colpo di vento portò dentro la caverna il "Corriere di Lozd", il giornale in cui erano riportati gli avvenimenti della cittadina. In prima pagina Ceronius fu attratto da un'intervista in cui il savio Almedeiros asseriva di essere "l'uomo più schivo di Lozd". Ceronius avvampò d'ira. Come si permetteva Almedeiros, che viveva in centro e frequentava redazioni, di attribuirsi il titolo di uomo più schivo della città? Subito Ceronius chiamò i suoi amici, una ben scelta schiera, e tra un bicchiere di nocino e l'ombra di un papero così disse: "O miei pochi amici. Quel cialtrone di Almedèiros sostiene di essere l'uomo più schivo della città. Voi seguite da anni la mia vita solitaria, monacale, letargica. Aiutatemi: dite in giro chi è veramente il più schivo. E adesso fuori, lasciatemi alla mia solitudine". Il giorno dopo uscirono diversi articoli e un manifesto con trecento firme testimonianti che Ceronius era molto più schivo di Almedeiros. Almedeiros, nella sua stanza barricata da pile di libri montò su tutte le furie. Chiamò la televisione che invase il suo rifugio con grande orrore del savio. Almedeiros si fece riprendere con un cappuccio nero sulla testa e in venti minuti di invetBibliotecaGino Bianco tiva spiegò che da sempre l'uomo più schivo della città era lui, e Ceronius era un giovialone da bar, un esibizionista e un ciarlatano, e inoltre traduceva dal greco avendo fatto solo lo scientifico. Quando Ceronius lo seppe, balzò fuori dalla caverna e cominciò a spiegare a ogni persona che incontrava per strada perché e quanto lui era più schivo di Almedeiros. Ai giardini pubblici salì su una cassetta di frutta e parlò a lungo davanti a duemila persone, si sbronzò, ballò e finì la notte in locali equivoci. La mattina si svegliò urlando, "basta, mi avete rotto i coglioni, voglio stare da solo", e tornò soddisfatto alla caverna, dove lo attendevano seimila telegrammi di persone che volevano conoscerlo. I savi della città, cordiali o schivi che fossero, dovettero prendere posizione. Tutti conoscevano personalmente i contendenti, e questo dimostrava come i due fossero schivi in uguale misura: una valutazione non era perciò facile. Sciansus disse che solo chi era nato su un'isola poteva dirsi schivo. Padre Beniomius spegò che non tollerava predicozzi e lungaggini sulla schività in una predica di cinque ore e mezza nella cattedrale, Moranzas esaminò i rapporti tra schivismo e masturbazione, Ecolus parlò dei distributori di benzina nel deserto californiano. Si pensò che c'era solo un modo per vedere chi dei due savi era più schivo: metterli di fronte. Così fu organizzata una festa con tremila persone, e i due furono invitati quali ospiti d'onore. Ceronius venne e si rintanò sotto un tavolo. Almedeiros si chiuse alla toilette. Tutti i presenti capirono che dovevano allontanarsi, o i due schivi non si sarebbero mai incontrati. Infatti, udendo il gran silenzio, Almedeiros uscì dalla toilettes, Ceronius sbucò da sotto il tavolo, e si vennero incontro nel vasto salone. Appena furono vicini, Almedeiros disse: - Si vergogni, impostore! Se non fossi così schivo, alzerei le mani su di lei ... - Chi è lei signore? - disse Ceronius, - mi scusi ma io a questa festa non conosco nessuno ... sono molto schivo. E con un sorriso di trionfo, uscì dalla casa, e andò a festeggiare la vittoria in un ristorante per soli eremiti. IL CONTESTO GIORNALISTI GLI SFASCIATI Oreste Pivetta Ho conosciuto Giampaolo Pansa in un'epoca imprecisata intorno al sessantotto. lo ero studente del Parini, lui era, da tempo immemorabile, giornalista. L'incontro, che non è assolutamente memorabile, avvenne sulla terza pagina della "Stampa". Lui raccontava del Movimento studentesco, di Mario Capanna davanti alla Cattolica, di cortei, lacrimogeni e prime avvisaglie di maggioranze silenziose. Si capiva èhe, sotto sotto, stava dalla nostra parte. Almeno così mi pareva. Forse era troppo sottile per me. Nel gioco doppio. Ma era bello pensare che lui, dalle colonne del giornale più padronale d'Italia, non ci dava del tutto addosso. Poi, per obblighi professionali, ho continuato a seguirlo, mentre saliva al "club grandi firme", con i soliti altri, che sono poi accomunati dal così detto denominatore del "lamento" (... spiegherò poi). Invidiandolo naturalmente (in questo caso ho la presunzione di associarmi a un'altra "grande firma", Beniamino Placido, che sulle pagine "grandi firme" di "Repubblica" confessava lui stesso di provare invidia: invidia, spiegava il Placido, quando si scoprono sotto il nome di un altro cose che si sarebbero volute dire e non si son dette anche se si tratta di parole senza novità, come "cleptrocazia"). Le mie ragioni sono molto basse: invidia per chi sale, per chi ha la rubrica fissa sull' "Espresso" (ed ora "Panorama") per chi conosce i grandi, per chi da del tu a chi conta, per chi entra nei misteri, per chi ha scoperto tutto, per chi ha una soluzione per tutto, per chi è bello(?), per chi piace ai giovani e ai vecchi, invidia per chi scrive bene. Devo ammetterlo: Pansa scrive bene. Cioè possiede quella scioltezza irrigua ed allagante a volte di scrittura che rende diverso il boccone, se non amaro almeno pesante, della politica. Dovrei precisare: la "sua" politica, che viaggia tra Piazza del Gesù, via del Corso o via delle Botteghe Oscure, con localizzazioni e fermate più o meno prolungate a seconda di come tira il vento, anche se, ogni tanto, si lascia andare alla periferia, ai cancelli delle fabbriche o alle sezioni (comuniste). Ma è uno schermo: il Pansa sa di non dover tradire le origini. In fondo si diverte al pensiero di essere nato in piazza e magari in mezzo a una manifestazione del sessantotto. E ci ritorna ogni tanto, per farci capire quanta strada ha fatto, quante scale ha risalito, quanta gente (importante) ha cono15

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