Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

DISCUSSIONE La morte di Salvatore Giuliano: nella realtà, nel film di Rosi e in quello di Cimino. ~bliotecaGino Bianco e ventitre feriti gravi), diviene strumento oppressivo, intimidatorio e antidemocratico nelle mani dei reazionari di sempre, i principi e i baroni feudatari e mafiosi. Questa è la verità chiara. Quella che rimase oscura, che rimane tuttora il primo dei misteri del rinato stato democratico italiano, è la morte di Salvatore Giuliano: la parte avuta, nella sua morte (e in quella poi del suo vice e traditore Pisciotta) dai poteri dello Stato, Ministero degli Interni, Servizi Segreti, Polizia e Carabinieri (oltre a un ambiguo giornalista americano). Partendo da questo mistero, dalle oscure forze che prima mossero e poi uccisero l'incosciente Giuliano, si svolge il bellissimo film, il capolavoro di Francesco Rosi Salvatore Giuliano. "Allo spettatore viene raccontata una storia oscura da un autore che è vittima della stessa oscurità e che non vuole ingannare lo spettatore chiarendogli fatti che chiari non sono, ma gli vuole lasciare intatto ogni dubbio. Il regista pare dunque lasciare che il suo film sia montato dalla situazione, anziché montare la situazione attraverso il film", scriveva Umberto Eco ("Menabò 5", 1962: Del modo di formare come impegno sulla realtà). Quello che invece monta, e monta una ridicola impostura, è Michael Cimino attraverso il film Il Siciliano. Tenta cioè di trasformare uno stupido assassino, nemico della classe da cui proveniva, in un puro eroe alla Robin Hood, alla Diego Corrientes, alla-Pancho Villa o Zapata, in un intellettuale e ribelle sociale, protettore e benefattore del popolo, vittima innocente di forze più grandi di lui. E tenta questa operazione ricorrendo ai mezzi più volgari che la macchina cinematografica americana può facilmente mettere assieme per produrre una merce sporca ma seducente da far largamente consumare alle masse. La prima volgarità è la scelta degli attori, che attori non sono, ma manichini, fotomodelli da sartoria di grandi magazzini, statici calchi umani plastificati e impomatati, con donne nevroticamente artefatte che perfettamente loro corrispondono. Quindi il paesaggio: fotogenico, esotico, piacevole, un paesaggio siciliano visto dalla irrimediabile lontananza umana e culturale e attraverso gli occhiali di plastica di Little ltaly. Il fatto è che in questo orrendo film s'incontrano e combaciano perfettamente (pur con lo scarto temporale di quarant'anni) due mitologie: la mitologia dell'America cresciuta nella povera testa di Salvatore Giuliano con la mitologia della Sicilia (e quindi di Giuliano) cresciuta nella testa incolta e brutale del siculo-americano Cimino. Fra queste due, si inserisce una terza mitologia: quella eterna per il dollaro e la potenza economica americana di certa classe dirigente, di certa "nobiltà" isolana, di coloro cioè che ieri accoglievano nei loro palazzi Giuliano e la sua banda, accoglievano i mafiosi trafficanti di droga, che oggi accolgono i cinematografari americani potenti e di successo; e mettono a loro disposizione, per facilitare le riprese, palazzi e castelli, monumenti, chiese, piazze, strade; si offrono personalmente per essere trasformati in attori e comparse. Il tutto perché la menzogna, l'impostura si compia nel modo più profondo e più proficuo.

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