Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

DISCUSSIONE stile. Piuttosto quei conflitti servono invece a distrarre; seguono l'ambizione di rimuovere le contraddizioni dell'osservazione della realtà. Di sostituirle nella attenzione e nella memoria del lettore. Attraverso l'esibizione di gentili bisticci e cortesi incomprensioni, si promuove l'oblio dei litigi più esasperati, la loro stigmatizzazione come estremisti, forse veri, ma poco dignitosi per persone educate e civili. L'obiettivo sembra essere quello di contribuire alla fondazione di un moderno galateo. La riflessione va condotta in modo pacato e compito: dare ragione a tutte le ragioni, per scegliere un comportamento sensato e indolore, che è poi quello di limitarsi alla riflessione stessa. La maniera dell'intervento si discosta di molto dalla libellistica veemente di un Bocca, o dalla trattatistica recrin:iinante di un Biagi. I cattedratici paiono prelati di grado più elevato: sembra che ai vecchi predicatori legnosi e stopposi, che risentono di una formazione più battagliera, si voglia aggiungere un piu elevato livello. Gli Alberoni, come i Vattimo, i Della Loggia, ad esempio, sono giornalisti non per dovere, ma per missione. Se a quest'ultimi è affidato il cielo della filosofia politica, agli Alberoni è delegato il compito, più paziente e operativo, della compilazione di un manuale di buona creanza, a uso dei neo-colti (che sono succeduti ai neo-ricchi di un tempo). L'imposizione della moda, dell'abito che elimina il problema del monaco, basta fino a un certo ceto e solo per il comportamento in pubblico. La moderazione come regola e certezza, d'altra parte, non è più sufficiente. L'aspirazione centrale del lavorìo migliorista del più avanzato giornalismo è quella di articolarla, di riempirla di tutte le piccole idee e gesti e gusti che servono. Non è più il tempo dei finti Catoni (sembra suggerire Alberoni), la repubblica, ma anche il "Corriere", ha bisogno di stendere le nuove pedanti georgiche dell'agri/cultura. Il grande pubblico Quando nella monotona varietà del mercato, si riesce a intravedere la vivace apparenza di una contraddizione, ci si butta a pesce. Tanto si sa di vivere protetti dalla norma irrefutabile di una appiattita conformità, nella quale ogni opposizione è riducibile e pacificabile in un accostamento, fors'anche bizzarro, di colori. E finalmente si può appagare lo sguardo e accontentare il cliente che è in noi: comunque vada, ad acquisto terminato, si può pur sempre scegliere se farne sfoggio in pubblico o farne uso privato. Eppure è proprio la tranquilla distinzione di questi due ambiti a essere in crisi: può darsi che la stessa frequente disinvoltura con cui si passa dall'uno all'altro, li stia rendendo monocromi. Certo è che, in questo periodo almeno, "pubblico" e "privato" rappresentano la coppia di opposti più confusamente somiglianti che esistono. Sarà per questo che si insiste tanto a spacciarli come diversi: finché regge una plausibile loro distanza psicologica, nella ravvicinata, omologata, tascabile disponibilità, si potrà disporre di uno degli 'bliotecaGino Bianco ultimi, convincenti meccanismi con cui alimentare la sensazione di scelta. Una sensazione che ciascuno sa bene quanto valga per la difesa del mercato, e quindi della libertà. L'impressione generale comunque è che le grandi oscillazioni di valore, dall'uno all'altro polo, che sembrano aver caratterizzato gran parte della società e cultura contemporanea, con tanto di traumi di passaggio, dall'era delle pubbliche glorie a quella delle private virtù, oppure nella più rapida e recente tornata tra il "politico" e il "personale", si stiano attenuando. All'osservatore attento non potrà certo sfuggire la prosecuzione della legge indistruttibile dell'isocronismo, ma dovrà ammettere che il movimento si va facendo impercettibile. Mentre si scandisce un'immutata differenza di qualità, è vero che la quantità della distanza, tra pubblico e privato, si è quasi annullata. Ed è proprio questo che si celebra e festeggia, da quando il "look" è tutto lo spazio concesso all'indentità. Da quando entrare e uscire da un vestito, o da un locale, o da un rapporto, esprime quasi tutta la cinetica concessa al soggetto per la sua rappresentazione. Può darsi che contributi come quelli di Alberoni siano complici o servano a magnificare questa visione della realtà. Può darsi invece che rinchiudere l'intervento verso un privato o un pubblico, entrambi quasi per intero partecipi della ridotta sfera del "personale", sia individuare un ultimo ragionevole baluardo. Ma è vero che tale visione di realtà esiste, e conta più di un processo alle intenzioni. Anzi offre il contesto dove l'intervento volante di un giornale (o pesante di un libro) può guadagnare nuove spiegazioni, può mostrare le sue ragioni. In altre parole, si può smettere di accusare l'emittente responsabile, per sbirciare verso il ricevente irresponsabile? Il semplicismo esagerato dell'autore è davvero tutto dovuto al calcolo del minimo sforzo, oppure è anche misurato sull'obiettivo del massimo effetto? Insomma, quanto è semplicista lo scrittore e quanto è invece semplificata la realtà del pubblico? Ci deve essere una relazione fra l'autore e il suo mondo (si sarebbe detto una volta); e quindi, oggi, ci deve essere una conveniente quota di buona fede nell'ipotizzare l'immagine e la realtà del proprio pubblico. Può darsi che si debba allora ridurre lo scandalo per un libro, che pure con la somma dei fastidi dei singoli brani, fa salire l'irritazione fino al livello in cui molla la presa, in cui entra in circolo e in dimenticanza, per far posto allo spavento di una sua possibile utilità (e non commerciale efficacia), verso una parte qualunque dei suoi acquirenti. Non prendersela dunque con la solita azione consolatoria e la reazione di riconoscimento, non con la comodità di un accordo evidente da parte dei lettori, ma agitare il sospetto che perfino le disquisizioni da calendario, le ragionevolezze compìte e spente, i pochi grammi o le tracce della dialettica rappresentino, sia pure con minima incidenza, una miglioria culturale apprezzabile, per qualcosa o da qualcuno. Alla fine, se il terreno sociale è davvero tanto amorfo o malridotto (si dirà) una qualunque pioggia di apologhi,

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