DISCUSSIONE "Da qualche tempo, ambienti e persone non incoscienti né ilari sono presi dalla preoccupazione per lo smarrimento di valori comuni alla società intera, o all'una o all'altra parte di essa." e non è il caso di riprenderle qui. È pure nota, nelle condizioni di una borghesia imprenditoriale assente, o debole, o stracciona, la funzione vicaria assunta per un secolo e mezzo dai letterati e poi dagli intellettuali, ai fini della formazione di una coscienza nazionale italiana. Con le conseguenze negative che ne sono derivate. Negli anni venti e trenta, parallelamente all'affermarsi della borghesia imprenditoriale quale classe dominante, il tentativo di trasformarla infine in classe dirigente si presenta come una medaglia a doppia faccia - fascista e antifascista. Il tentativo fu opera delle sfere intellettuali superiori, con le loro due facce (e col passaggio dei singoli individui, a volte, dall'una all'altra. Con la formazione, negli anni trenta, di una cultura fascista-antifascista). Ma politicamente vincenti per vent'anni sono stati i fascisti, e la prima "modernizzazione" l'hanno fatta loro. Dopo la seconda guerra, c'è stata la parvenza di un rovesciamento-continuità: il prevalere della faccia antifascista delle sfere intellettuali superiori, l'inveramento della rivoluzione liberale. Questa parvenza è ancora l'abito, ormai scolorito, indossato dalla nostra democrazia. In realtà la rivoluzione liberale era stata sconfitta prima di nascere, con la morte di Gobetti e dei Rosselli. Era una immaginazione velleitaria, là dove intendeva essere realmente il rovescio del fascismo e pretendeva rompere alle radici sociali una continuità. Consapevoli di questo sono stati i comunisti. La grande operazione togliattiana mirava a trasferire su un altro soggetto sociale l'onere della trasformazione storica, ed a formare una nuova classe dirigente con i caratteri voluti dai rivoluzionari liberali per la borghesia imprenditoriale, ma attribuiti ora alla classe operaia, a guida di tutti i ceti popolari. L'operazione - la sola con prospettive ampie nell'Italia contemporanea - è stata però inquinata da una serie di fattori negativi, soprattutto internazionali. D'altra parte, nella formazione della III Internazionale il peso politico maggiore era stato della Russia: dove, ancor più che in Italia, in luogo di una (inesistente o debole) classe dirigente borghese, con i suoi valori universali e la sua cultura, la funzione formatrice centrale era stata assunta in proprio dall'intelligencìja. Questa condizione aveva favorito, nella pratica e nella teoria leniniane, la costruzione di un partito-intellettuale collettivo, dirigente-vicario della (in Russia debole, e poi quasi scomparsa dopo la guerra civile) classe proletarfo in ascesa. Nella situazione italiana, l'assunzione della ·co_scienzae dell'identità della classe dirigente in formazione; o presunta tale, da parte di minoranze intellettuali ora strette compatte in partito, ripeteva in qualche modo, a proposito dei proletari, quanto era già accaduto nel rapporto fra letterati-intellettuali e borghesi. Si verificava così una troppo accentuata continuità con la "rivoluzione liberale"; mentre, BibliotecaGino Bianco per altro verso, si realizzava un rapporto ambiguo con le forze politiche cattoliche. È accaduto così che settori diversi dei ceti colti assumessero la rappresentanza mentale delle diverse classi e perfino di differenti settori della medesima classe, dividendosi in gruppi divergenti ed estranei gli uni agli altri in termini più estremi di quanto lo fossero fra loro i settori di popolazione rappresentati. Intendo nella sfera dei valori morali e culturali, non in quella degli interessi pratico-economici, che al contrario fra i gruppi intellettuali superiori erano analoghi - e nel campo strettamente politico hanno poi portato alla formazione dell'omogeneità partitocratica. Si costruivano, all'interno del paese, zone di formazione culturale in lotta e - peggio - in ignoranza reciproca (non senza richiami alle tradizioni cattolica e laica) - e si trasmetteva alla gente la proiezione dei diversi settarismi. Negli anni cinquanta e fino alla metà dei sessanta, si è sviluppata sulla testa del popolo la storia di due culture, di due sistemi politico-morali separati. Due storie intellettuali parallele - principalmente di cattolici e comunisti (in comunicazione, questi ultimi, con la cosiddetta area laica). I comunisti critici, dopo la fronda degli anni cinquanta, hanno avuto un seguito di massa dalla metà dei sessanta e - da varie angolazioni - hanno indirizzato i loro attacchi ai fattori inquinanti del progetto togliattiano. Ma una volta disvelato l'inquinamento, sono emerse altre debolezze, intrinseche e profonde, alla radice di quel progetto. Gli operai dell'industria, candidati da un secolo a futura classe dirigente, acquisivano una maturità culturale che cominciava ad avvicinarli all'assunzione di una simile responsabilità: e più chiari si facevano fra loro il carattere falsamente democratico cui erano giunte le organizzazioni operaie storiche e l'usurpazione culturale degli intellettuali. Ne conseguiva non solo una richiesta di autogoverno, ma una pretesa di autonomia culturale (l'idea della rivoluzione culturale, come è stata recepita nel nostro paese). Ma al di là della pura rivendicazione di autonomia, non emergevano dalla classe operaia contenuti culturali, che non fossero da un lato l'eredità dei grandi valori borghesi (quelli che si riassumono nei principi dell'Ottantanove) e dall'altro un ritorno al populismo e all'anarchismo. Infatti in quello stesso periodo, a causa dell'evoluzione del sistema economico e delle tecnologie, gli operai dell'industria cominciavano a perdere la funzione di produttori fondamentali, e alla figura della classe operaia della tradizione marxista si andava intrecciando e sovrapponendo la più generica (e antica) figura di "popolo". Popolo governato che non accetta più tale condizione. La pretesa di essere giunti a uno stadio in cui non vi fosse più distinzione fra governanti e governati si rovesciava in una cultura illusoriamente alternativa: era il ri7
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