Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

DISCUSSIONE tONFORMISMO O MEMORIA Edoarda Masi A una visione ravvicinata e partecipe, il periodo che va dagli ultimi anni cinquanta ad oggi appare suddiviso in brani fortemente differenziati gli uni dagli altri:. fine della guerra fredda e boom economico, risveglio dell'opposizione operaia e intellettuale, era del benessere e delle rivolte giovanili, restaurazione e anni di piombo, fino alla incosciente ed ilare stagnazione del presente. Ma se tentiamo, per quanto ci è possibile, di osservare l'intero periodo in uno sguardo d'insieme, riusciremo forse a riconoscere in quei diversi momenti lo svolgersi di un processo unico e abbastanza coerente: nell'ambito del quale è avvenuta la progressiva liquidazione nella coscienza collettiva di un insieme complesso di strutture istituzionali e di sistemi di valori che, vecchi di cinquanta o cento o duecento anni, erano sembrati consolidarsi nel primo dopoguerra. . Da qualche tempo, ambienti e persone non incoscienti né ilari sono presi dalla preoccupazione per lo smarrimento di valori comuni alla società intera, o all'una o all'altra parte di essa. Non mi riferisco al lamento degli ambienti conservatori e clericali a proposito del "dissolvimento dei valori morali": è un lamento perpetuo e settario, e come tale irrilevante. Penso invece alle sfere dell'ex sinistra e del ceto pedagogico, le quali darebbero per scontato l'avvicendarsi di differenti sistemi di valori; ma non vedono oggi neppure l'embrione di una alternativa credibile al sistema dissolto o in dissolvimento. Ecco allora gli appelli lanciati in varie direzioni da intellettuali di buona fede e da sindacalisti non corrotti: per un rinnovamento (e pulizia) radicale dell'amministrazione pubblica; per una corretta e rapida amministrazione della giustizia; perché la scuola riacquisti una funzione e una funzionalità; per la rinascita fra i lavoratori dei legami di solidarietà e di fraternità e della mozione all'uguaglianza ... Sono appelli moralizzatori, nessuno oserebb~ negarne la ragionevolezza. Eppure suonano conservaton e gratuiti. Quasi che, nel vuoto del pr~s.ente, non re_st_asse che aggrapparsi a frammenti di venta della trad1Z1one intellettual-piccoloborghese, operaia, cattolico-popolare. Questi appelli non trovano eco attiva neppure fra quanti vi consentirebbero, perché non si richiamano a una omogeneità di interessi e non sono formulati da gruppi sociali consapevoli di tale omogeneità. Dovremmo cominciare col domandarci che cosa intendiamo per "formazione". La moda corrente tende a identificare questo concetto con quello di acculturazione - e cioè di distribuzione al popolo dei sottoprodotti facilmente digeribili della cultura "alta", organizzata secondo alcuni modelli prefabbricati. Questo modo d'intendere la forBibiiOÌeCaGino Bianco mazione è in contrasto con l'altro, di trasferire al pç,polo quanti più possibile gli elementi della cultura "alta", stimolandone lo sviluppo della coscienza di sé e del contesto circostante. Questi due modi derivano entrambi, direttamente o indirettamente, dalle concezioni illuministiche; corrispondono a orientamenti politici opposti, ma hanno in comune l'idea che la cultura "alta" si formi a sua volta presso minoranze illuminate, che appunto del possesso e della diffusione della cultura facciano in qualche modo una professione. Se guardiamo a qualche esempio di formazione di grandi classi dirigenti, in epoche e paesi diversi, troviamo un quadro del tutto diverso. Il ceto che detiene o conquista il potere economico, politico, militare si propone come classe dirigente (e non solo dominante) in quanto capace di porre a sé fini che a un tempo confermino e trascendano i propri interessi di classe, facendosi portatore di valori sociali universali. Penso alla classe dei letterati cinesi; o alla nobiltà del nostro medioevo, alla borghesia (incrociata con l'aristocrazia) inglese, alla borghesia nordamericana delle origini (la quale ultima era sì influenzata dal pensiero illuminista: ma stiamo ora considerando il metodo, non i contenuti). La capacità dirigente si traduce nell'opera di educazione nei confronti dei governati, nella trasmissione di valori etico-sociali, nella elaborazione e diffusione di cultura. II sistema culturale, inteso come sistema di valori, è lo stesso per i governanti e per i governati: differente è il ruolo rispettivo. Il senso fondamentale della formazione degli appartenenti alla classe dirigente sta nella loro capacità formatrice nei confronti dei governati. Ai quali perciò non è concepibile fornire una cultura di sottoprodotti; nello stesso tempo, la diversità dei ruoli esclude il trasferimento al popolo del livello culturale alto. L'unità, pur nella differenziazione di ruoli e di livelli, è possibile perché i contenuti culturali fondamentali non sono di ordine scientifico ma di ordine etico. Le nozioni trasmesse ai livelli inferiori possono essere in quantità limitata, ma è indispensabile che siano interpretate da e incluse in un sistema di valori. A chi parta dai presupposti illuministici, il vuoto del presente, la perdita di memoria collettiva consumatasi in poco più di un ventennio - l'incapacità di .guardare al passato e al futuro-, l'assenza di progetto comune che fondi e motivi il lavoro individuale sembrerebbero denunciare in primo luogo una debolezza radicale del ceto pedagogico nella sua funzione mediatrice fra chi dirige la società e la massa della gente, i ceti popolari, le generazioni successive. Ma se si esce dai limiti della cultura illuministica, e soprattutto dal suo peggior derivato - lo scientismo - si scopre che le colpe eventuali, o l'inadeguatezza, dei mediatori sono secondarie. Ed è giocoforza risalire alla non riuscita formazione di una classe dirigente in Italia. La cosa è riota, complessa, ne sono state date diverse interpretazioni,

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