Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

- Corri! Corri! Rumori d'acqua che cade, tintinna, fluisce via tranquilla. Una parete di roccia taglia il prato, e un filo d'acqua cade disegnando arabeschi bianchi sulla pietra, fino a una fontana, e scivola tranquillo oltre il bordo, si perde nell'erba. Bianco come latte, alla luna. La notte è stata lunga, e Luisu non si è mai fermato. L'alba lo trova davanti alla fontana. L'erba è verde, scura. Le pietre bianche e grigie riflettono le prime luci. L'acqua della fontana è bianca come latte. Luisu unisce le mani, si piega. Beve. È latte caldo. Un uomo si avvicina con passo da vecchio. Dondola lentamente una lanterna rossa per cacciare le ombre dal mondo. I contorni del viso sfuggono. È un prete. Si ferma alla fontana. Un uomo senza testa. La lanterna rossa si scioglie nell'aria, scompare nel nulla, e si porta dietro la mano, poi il braccio, poi la tonaca. Al posto dell'uomo esce il sole. - Torna al paese, e racconta-, un canto, la voce di una donna giovane. Al ritorno le spine e i rovi diventano cenere, come se anche loro, che vivono da sempre su questa terra, fossero creature di un incantesimo. T utti calpestano le tracce del bambino. Le donne e le brocche e i piedi pesanti dell'uomo che trascina il carro. Nessuno più muore. Non può morire, chi beve quel latte benedetto. La terra delle colline annerisce, ingrassa, si fa morbida, sputa via le spine. È terra, pronta a darsi, a farsi fecondare. Trascinano le vanghe e gli aratri. Avvolte nei fazzoletti, le sementi scampate alla fame: le più dure, le più secche. Di notte cantano, per vincere il freddo, per farsi coraggio, per i piedi che saltano di gioia. I semi germogliano, sulle colline e nelle terra di Giona Porcu. E le spighe ingrassano, sulle colline e nelle tanche. Al raccolto, sulle colline i chicchi sono grano, e nella piana di Giona Porcu sono spine rosse che ridono al sole come denti di demonio. L'avaro non ci crede. Monta a cavallo e sprona. Cavallo e cavaliere volano sul paese, abbracciati. La bestia galoppa con la bava alla bocca, non si impenna e non scalcia. Vola, come se conoscesse l'esito del viaggio e fosse impaziente. L'avaro arriva al suo grano. Smonta, si piega. Raccoglie una spiga e la stringe nel pugno, forte forte, per spezzarla e sentirne il cuore. E sente cento spine che bucano il palmo della mano e lo fanno sanguinare. Spine rosse dure come pietra e taglienti come coltelli. Giona Porcu si ferma nel gesto di raccogliere e stringere nel pugno. Trasformato in pietra. Cane e i banditi fuggono. Per strada troveranno Donna Nostra Malaria, che li concerà per le feste. A settembre il latte della fontana è acqua, e la morte riprende il suo posto nel paese. ibliotecaGino Bianco STORIE/ATZENI Teresa ha pregato tanto, e il cielo l'ha esaudita. Ha trent'anni, e ride sempre. Qualunque cosa faccia, ride. Comunque si comportino gli altri, ride. Sempre. Non è più di questa terra. Passano le stagioni e gli anni. Giona Porcu di pietra cade faccia a terra e nessuno lo raccoglie. II. Araj, vento di primavera. Una volta sola il cavallo nero di Giona Porcu ha galoppato con la bava alla bocca, senza ribellarsi.né scalciare: per accompagnare a morte il padrone che odiava. L'ha visto diventare pietra e ha nitrito come se ridesse. È volato via, e nessuno ha tentato di prenderlo - Chi avrebbe potuto? Era un demonio ... -. Si è arrampicato nel paese, si è fermato davanti a casa di tzia Cosima e ha leccato la guancia di Luisu, che fantasticava seduto davanti alla porta guardando un volo di rondini. - Voglio andare per il mondo - ha detto il bambino - per vedere come vivono gli uomini. Tu capiti a proposito. Non so come ti chiamasse il tuo padrone. Io ti chiamerò Araj. Ti piace?-. III. Boghes Traversano fiumi, valicano mo9-tagne. Luisu mangia mele e noci, suona un flauto di canna e sfida Araj a correre sul bordo dei crepacci e fra gli alberi, dove l'agilità vince sulla forza. I piedi del bambino sono piedi di capra e di volpe. Vince lui, nella foresta e sull'orlo del precipizio. Case bianche splendono al sole, lontane, oltre una piana alberata. Dagli alberi pendono frutti rossi e gialli. L'aria è profumata. C'è un uomo, accovacciato sotto un albero, col naso per aria e un fazzoletto bianco in mano. Poi un altro. E un altro. Tanti. Tutti col naso per aria. Araj si ferma davanti a un vecchio dalla gran barba sporca, e la camicia, le ragas, i piedi, lavati nel fango delle pozzanghere. - Buongiorno, signore. - saluta Luisu. E quello risponde - Ssst! - portando l'indice destro alle labbra. - Vuol dire: stai zitto e aspetta ... - pensa Luisu, e obbedisce. Poi il vecchio scrolla le spalle, deluso e chiede - Anche tu a cercare erbaluzza? -. - No, signore. Non so cosa sia l'erbaluzza, e non lo immagino neppure -. - Bravo! Ammetti la tua ignoranza e non pretendi di sai::,ernepiù di chi è nato prima. È un buon segno, ragazzo. E onestà, cioè l'opposto della presunzione ... Bravo!-. - Ti ringrazio, signore, e ti ringrazierò di più se vorrai spiegarmi cos'è quest'erbaluzza, a cosa serve, e perché la cercate in tanti ... - Chiedilo a qualcuno degli sbruffoni qui attorno. Chiediglielo. Sentirai, le risposte che sapranno dare. Un vero spasso. Vuoi sapere qual è la verità? Non sanno cosa cercano, né perché lo fanno. È così, sono ignoranti e superstiziosi. Tu dici: sono giovani, impareranno. No, rispondo io, da come hanno cominciato si vede bene che finiranno male-. 73

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==