ARAJDIMONIU Sergio A tzeni I. À nniau nì orrubiu È notte, nevica, e la neve copre il fango, i cortili, gli alberi, ogni cosa. L'alba colora le colline a oriente, le fa lucenti, rosa e sangue. La terra di Papale Porcu invece resta nera, come se la notte non .volesse lasciarla, volesse strapparla e portarla via. Ma a mezzogiorno il sole la conquista, e anche su quella terra la neve è rossa. Nevica neve rossa, e al primo fiocco che sfiora la finestra muore Papale Porcu, che aveva novant'anni da tre giorni. Soltanto il cielo non gli apparteneva, il cielo è di Nostro Signore, ma la terra, gli alberi, gli uomini, la pianura fino alle colline, tutto era suo. La ricchezza non ha dannato la sua anima. Ascoltava le preghiere dei cristiani maltrattati dalla cattiva fortuna. Mai ha negato un pasto, una moneta, un giaciglio, al vagabondo, all'ospite, al mendicante. Papale Porcu va via dal mondo, e le donne lo cantano. Sanno che è vissuto abbastanza, e hanno cantato altri morti, pure sono spaventate, tremano: mai, prima, hanno visto la neve colore del sangue. Poi Aleni Serra. Non aveva trent'anni, né marito, e muore di parto. Si segnano tutti, nella stanza, e il bambino nasce al mondo. Una koga scende dai paesi del nord, inattesa. La chiamano, e legge la vita del neonato, - Lutti e miserie, ma il Signore gli segnerà la strada, tornerà bianco di latte e vedrà il mare - Battezzano il bambino e lo chiamano Luisu. Antioco Isaia Durzu si sveglia al tramonto. Esce dall'ovile, vede la neve rossa, sente che puzza di palude, e la assaggia. Ciliegia, che appena sulla lingua comincia a marcire. Sputa via, con rabbia, e vede Lucifero che corre attorno al paese, ride, salta, maledice, rivela i giorni che arriveranno, la carestia e la fame, e lo sguardo nero, muto e attento, del messaggero che annuncerà la morte. Vivrà ancora dodici anni, Antioco Isaia, e non parlerà più. In paese diranno che il demonio gli ha cucito la bocca coi suoi aghi. Papale Porcu ha un figlio solo. Si chiama Giona e ha vissuto quarant'anni nascosto dentro casa. Nessuno lo conosce, eccetto pochi servi scelti per la bocca chiusa. Qualcuno ricorda a malapena il battesimo di un coso fasciato di bianco che frignava. Una volta ha tentato di sposarsi di nascosto. Con Teresa, una bella serva giovane. Ha mandato un'ambasciata a mezzanotte in canonica, e prete Saddi gli ha fatto rispondere che ci si sposa di giorno, davanti a Dio e agli uomini, di notte vivono topi e pipistrelli. Da quel giorno neanche Teresa è più uscita di casa. Giona Porcu, figlio di Papale Porcu e sconosciuto, diventa padrone della terra più fertile, degli alberi e dei ruscelli. L a neve si scioglie, i giorni si rincorrono, e Luisu succhia al petto di molte madri, e ingrassa, sorride. Ha i capelli scuri come terra e per tutti è figlio. Cammina, cade, poi corre sulle gambe malferme. Compie un anno, poi due. Giona Porcu esce di casa a cavallo. Ha gli occhi spalanibIioteCaGino Bianco cati, neri come la notte. Cavalca una bestia bizzosa, che si impenna e nitrisce, scalcia, demonio che vuole disarcionare il cavaliere. Giona Porcu non cade da cavallo. Il fucile luccica come la scimitarra di un demonio mussulmano. E uccide un uomo che ha rubato quattro pecore. Tzia Cosima, una vecchia donna sola, segue Luisu come un'ombra, e il bambino si affeziona e la chiama mammai. Ha un giardino a basilico e pomodori, con conigli e galline, e uno dei conigli, bianco, con orecchie rosa, aspetta per ore su uno sgabello i rientri di Luisu dai vagabondaggi in paese - che lo portano dappertutto ma non a casa di Giona Porcu, chiusa dal portale nuovo -. Ogni mattina nel giardino tzia Cosima comanda: - Chiudi gli occhi bitzinné - e Luisu li chiude, ma non del tutto, e vede fra le ciglia la mano bianca di mammai che fruga nella paglia e cerca le uova coperte di piume bianche. Sente la voce calda e scura che canta un rosario di parole sconosciute. Le uova sono tiepide sulle palpebre del bambino. La magia lo difenderà dal male, nei giorni di carestia e in quelli di abbondanza, fino alla fine. Compie tre anni, e quattro, e cinque. Un arco di pietre gialle introduceva al cortile di casa: il vecchio Papale sedeva su una sedia impagliata, sotto un limone, fra amici e mendicanti. Dalla porta di cucina arrivavano caffè e pistoccus, minestrone e vino rosso, e capretto e vernaccia nei giorni comandati. Chiunque era benvenuto, non mancavano noci e mandarini, d'inverno, e susine e meloni, d'estate, o fichi bianchi e neri, ravanelli e castagne, ogni ben di Dio. Ma Giona Porcu ha fatto costruire un grande portale nero, l'ha messo a ostruire l'ingresso e l'ha rinforzato con sbarre e paletti. I mendicanti bussano, e lui non apre. Finché un vecchio girovago, un uomo gentile con una lunga barba bianca, disegna sui ciottoli del vicolo, proprio davanti al portale nuovo, un segno bianco di gesso che vuole dire: - Qui abita un uomo avaro e cattivo -. Giona Porcu non lo cancella, e più nessuno bussa. Luisu impara a odiare; guardando quel portale. E si avventura in campagna, assieme ai bambini più grandi. Chiunque entrasse nella campagna di Papale, fosse pure per staccare pere o uva fino a saziarsi, era il benvenuto. Il raccolto era una festa, le cuoche preparavano pentole di malloreddus e spillavano acquavite per tutti. Pagava i lavoranti con sacchi colmi. Giona Porcu ha costruito i muretti, ha chiuso la terra e ha messo di guardia uomini armati, difficili da ingannare, sospettosi, prudenti, violenti. Solo i bambini riescono a farla franca ... E Luisu è il più svelto a saltare, strappare, rubare, scappare via di corsa, in silenzio, colle orecchie tese come una volpe. Compie sei anni, e sette. I nverno. Il vento sradica i cespugli e li fa vorticare nei vicoli colle foglie cadute. Dentro casa è buio, e caldo. Cosima ha i piedi sul braciere, e Luisu si accuccia sulla stuoia. - Mammai, cantami un'annin69
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