LAPRODUZIONEDELNUOVO NELLANARRATIVAAMERICANADEGLIANNI OTTANTA Mario Corona Da qualche tempo si assiste, qui da noi in Italia, a un ritorno di interesse per la letteratura·americana quale non si registrava da una ventina d'anni e forse più. Gli scrittori più significativi del quindicennio che si può far iniziare intorno al I965, i cosiddetti postmoderni, nel nostro paese non hanno attecchito, e rischiano ormai di finire fuori gioco, almeno per qualche tempo: penso a Donald Barthelme, emblematicamente soppiantato dal fratello Frederick, a William Gass, a Robert Coover, a Stanley Elkin, anche - e in questo caso direi che ci abbiamo perso parecchio - a Thomas Pynchon, che dei postmoderni può essere considerato una sorta di precursore, quando non si voglia risalire fino a John Barth e a John Hawkes (I). Nemmeno in America, del resto, questi autori hanno raggiunto una larga notorietà, né la desideravano. Abbiamo dunque saltato una generazione. Dopo le cotte postbelliche procurateci dall'immortale Medusa Mondadori (Hemingway, Faulkner, Fitzgerald, Dos Passos & Co.); dopo i Beat, che però affascinarono un pubblico settoriale, giovanile e inquieto; dopo gli ebrei (Bellow, Malamud, Salinger, Mailer, Roth ... già più rispettabili: Bellow arriva al Nobel); dopo Capote, McCullers, Styron, McCarthy, Updike, e dopo la frattura del '68 e la conseguente eclissi della letteratura intesa come fiction, sembrò per molto tempo che nulla di particolarmente attraente o nuovo ci venisse da quelle sponde. I cultori della letteratura sperimentale, se{j-reflexive, fenomenologica, facevano prima a guardare oltralpe anziché oltreoceano. E in casa c'era pur sempre Calvino. Da un paio d'anni, improvvisamente, tutto sembra essersi rimesso in moto. Arriva Leavitt; seguono Mclnerney, Ellis, Hempel, Minot; si ripesca Carver. Ecco il minimalismo, mentre si annunciano altre novità. Notevole frastuono editoriale, come è giusto, da parte di Mondadori, Bompiani, Garzanti, Pironti; querimonie talvolta acide levate da un certo numero di scrittori nostrani: Arbasino, "L'Espresso" 9.3.86, e poi dappertutto e in ogni occasione; Biondi, qua e là sul "Giornale"; Arpino, "Il Giornale" 17.5.87; Porziom ''Corriere della Sera" 7.6.87. Non mancano tuttavia gli apprezzamenti ragionati, che non vuol dire necessariamente favorevoli: FrutteroLucentini, "La Stampa" 4.2.86; Bulgheroni, "L'indice dei libri", aprile '86 e febbraio '87; Barilli, "Alfabeta", dicembre '86 e giugno '87; Placido, "Repubblica" 14.1.87; Sabbadini, "L'Indice dei libri", febbraio '87; e ora Romano Giachetti, nella terza parte dell'informatissimo volume Lo scrittore americano (Garzanti, I987) che leggo mentre sto ultimando questo scritto e che tocca molti spunti affini ai miei, anche se diversamente valutati. Prima di entrare nella mischia, proporrei alcune considerazioni preliminari molto ovvie, anche banali, ma che mi paiono incontrovertibili: I) L'interesse per la recente narrativa americana è stimolato dalla comparsa di una vera e propria nuova leva di scrittori e scrittrici fra i venti e i trent'.anni. Giusto mentre scrivo esce la versione italiana dell'antologia di Debra Spark, 20 Under 30 (Scribner's, I986; Americana Anni '80, con prefazione di Fernanda Pivano, Guanda, 1987). I magnifici "venti sotto i trenta" sono: Kate Wheeler, Heidi Jon Schmidt, Marjorie Sandor, Leigh Allison Wilson, Ron Tanner, Brett Lott, David Leavitt, Rand Burkert, Robin Hemley, N.d.R. - 1 "minimalisti" fanno discutere: amati e imitati o rifiutati e insultati, vendono, e le pagine culturali delle nostre gazzette continuano a occuparsi di loro. Ce ne occupiamo anche noi, che abbiamo pubblicato tra i primi i loro maestri, Paley e Carver, quando la moda era ancora lontana. L'intervento di Corona (dell'estate '87), sarà seguito da altri. Anche su altre correnti e altri nomi della letteratura statunitense di oggi. 6 'bliotecaGino Bianco Michelle Carter, Jesse Lee Kercheval, David Updike (figlio di John), Lorrie Moore, Mona Simpson, Ehud Havazelet, Dean Albarelli, Michelle Herman, Ann Patchett, Emily Listfield, Susan Minot. Una leva insolitamente folta che in Italia conosciamo finora solo in parte. Dei suoi esponenti, alcuni vengono solitamente annoverati, a torto o a ragione, fra i minimalisti, ed è su questi ultimi che intendo soffermarmi più a lungo. 2) Le prove d'esordio di questi giovani - minimalisti e non - sono di buona o ottima qualità tecnica. Sanno scrivere, conoscono il mestiere; nascono bravi, o quanto meno bravini. 3) Le notizie biografiche, pur sommarie, ci dicono che quasi tutti sono stati a scuola di creative writing. 4) Il genere prediletto è quello del racconto. Anche i romanzi sono talvolta suddivisi in brevi scene (Ellis), se non addirittura strutturati come una serie di racconti (Minot). 5) Hemingway, immerso nell'eclissi che spesso segue la morte di un artista, è improvvisamente risorto come ispiratore dei minimalisti, auspice Raymond Carver. 6) Le opere dei nuovi scrittori si indirizzano senza imbarazzi a un generico pubblico middle class verso il quale non si manifestano più polemica, separatezza o, tanto meno, irrisione. 7) In America sono riconoscibili alcuni canali editoriali che hanno favorito una efficace presentazione dei giovani a un vasto pubblico. 8) Soprattutto in Italia, la loro immagine pubblica si avvicina molto a quella dei fashion models. Alice Adams, Frederick Barthelme, Ann Beattie, Elizabeth Benedici, Andre Dubus, Bret Easton Ellis, Richard Ford, John L'Heureux, Amy Hempel, Jay Mclnerney, Bobbie Ann Mason, Alice Munro, Jayne Ann Phillips, James Robison, Mary Robinson, Elizabeth Tallent, Tobias Wolff. Questi gli scrittori (e le scrittrici, insolitamente numerose) che vengono più spesso denominati "minimalisti". Raymond Carver (I 939) ne è considerato il padre, o fratello maggiore, e Hemingway l'ispiratore ultimo. David Leaviti si trova talvolta associato al gruppo, insieme a qualche altro. I minimalisti costituiscono una parte della nouvelle vague statunitense che sta frangendosi sulle nostre sponde. Ma insieme ai minimalisti e ai giovanissimi di Debra Spark vorrei segnalare tre donne molto diverse tra loro, di cui dovremmo presto sentir parlare, o riparlare: la prima è Grace Paley (1922), attiva già dal '56, da sempre apprezzatissima fra i colleghi scrittori; di lei conoscemmo nell'82 per merito de La Tartaruga i racconti Enormi cambiamenti a/l'ultimo momento (Enormous Changes at the Last Minute, 1974), e solo l'anno scorso, nella bella collezione Astrea della Giunti, sono usciti i primi racconti, Piccoli contrattempi del vivere (The Liii/e Disturbances of Man, I959), che per certi versi, come si vedrà, anticipano la tecnica narrativa dei minimalisti (2). Di lei Carver ha addirittura detto: "La radice del movimento attuale è Grace Paley" (Giachetti, p. 226); e Leavitt: "Negli anni cinquanta si fece avanti Grace Paley, che cominciò tutto" (Giachetti, p. 239). Le altre due scrittrici provengono dalla "Village scene", West e East. Tama Janowitz, vistosa morettona trentenne, amica di Andy Warhol, è autrice del romanzo American Dad ( 1981, e ripubblicato nel giugno di quest'anno); dei racconti The Slaves of New York (1986), di cui ella stessa ha approntato uno spot pubblicitario, definito "il primo video letterario"; e di A Cannibal in Manhallan, un romanzo ancora in progress, paradossale e divertente. Kathy Acker, trentotto anni, capelli alla marine, bodybuilder, ex-stripteaseuse, tatuata, orecchini a sfare, nerovestita, come è ovvio, vive a Londra "perché New York è troppo cara", ma resta vic_inaal circuito punk newyorkese
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