Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

sotto il pergolato grasso d'uve e intorno alle altissime palme, come nuovo continente: in pochi metri allora smarrirsi, la foresta con il suo ordine verde e il garbuglio, ma c'era l'erba potente che tutti vi reggeva. Di fuori l'evento più violento, e dentro l'orto - invincibile intrico familiare - dondolava il vostro embrione, là in disparte, in così breve terreno dove pigolavano altre storie decisive. E che quella matassa più non sia sbrogliata se ciò che più conta è l'esser folto: l'esiguità del luogo e l'ascensione. Miele Di dileguata casa e rabbuiata memoria. Anche Pierina senza forze a metà del pendio che cercava cicoria, muso della pazienza, è andata andata con la sua dedizione dentro il ricordo, forse ianua cae/i, e le impronte dicono per di qua, più in qua dove con tremito e dita nelle spropositate nebbie voi speranti a ritroso trovate gli spaghi e le noci, le vicinanze da poco, così per appena essere e rimanere. Questo solamente dice la compagnia, il vostro coro grave che quasi per niente si sente: "non son rose non sono mica rose, non". S'incupisce il chiacchierìo ma ancora non finisce e giù in questo oscuro, magari, senza parere sarà come il miele. Periglio L'orto universo che su noi sta ripiegato e dunque le dalie, la menta, un pomodoro, con tutte le mosche della terra e i maggiolini e il matto invisibile che grida. Ma noi briciole ancora e paura più avanti sfonderemo quel muro di pannocchie per andare vicino - da dietro i cavolfiori - allo scalino consunto, semiombra della cucina nella terra del periglio e infine sopravvivere (che cosa ci ha ferito, quale spada? Che qui vengano tutti gli amici in un punto, potenti). Poi le sue parole "apostolorum del bue ladro ibliotecaGino Bianco POESIA/ROSSI tamburello secondo, dio dolore ... " e il matto che è uscito, e noi nella tempesta dei troppi semi dei fiori tumultuanti. Sua dannazione e il nostro venir grandi. Trincea Ecco l'asino per l'aria mansueto che fa la giravolta t; il suo bel rispuntare così indolore ai limiti del mondo! Anche voi, anche voi desideranti del levarsi da terra, un po' sprigionarsi magari in un letto di segale e di avena sul verde più alto e più verde, quando col buio compare la bollente camomilla e le lacrime vengono del pentimento. E come insieme si resta con l'acciottolato, con la casa ulcerata, l'avvento di adesso e sole le cose dette penultime, perché l'immagine certa è la trincea. Così in un milagro, Bepì e la Rosalia - anime valicanti, sempre invitta salmerìa - stanno sulle sedie, borbottano del novembre. Confini Fiaba comincia che deboli si ritorna dove masona trabonta e per le spelate pertiche della vecchiezza si cammina e cammina giù sulle fonghe dell'ombressa, nel troglodire tombolìno dove sta ancora la culla di legno che donda, che sì che no, le zemarìe, le gran barine con ancora il bavagliolo e l'impàro del cucchiaio più le piane pianelle e i guai dell'inciampare. Così è fatta la nuova avventura, i confini del mondo. Brucia ancora - lei storta candela - tra i dieci fazzoletti, un bottone, la scodella e per il tinello ripassa in gloria muta - com'è la nullezza più alta che ci sia? - Attilia Colombo, da ciascuno differente magra geròla di quase. E speri anche lei in quella fuma da niente: che dopo le ciuffe della sbandonìa felisi e contenti saremo tutti in pase. 61

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