Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

POESIA/ROSSI dalla finestra opposta, un abbaino. Ma l'odio per gli amici era passato e con quello ogni mia dipendenza da loro. Non odiavo piu nessuno, ero tornata a appartenermi - non mi appoggiavo ad alcuna benevolenza d'altri. Mano a mano che il silenzio estendendosi regnava assoluto mi colse la trionfante sensazione di essere di nuovo intera irriducibile felice. Volli perfino scrivere un poema: "Io, Giulia Innocenti, nata altrove da genitori nati altrove a quarant'anni, in pessima salute comincio e non la smetterò finché non muoio ... " Quando gli amici vennero davvero erano ancora peggio di una volta: nasi ad uncino, sopracciglia alzate, vestiti grigi, un'aria da padroni ... mi parve ·che volessero sapere ma parlavano d'altro. Certamente mi credevano in colpa. Lo capivo da certi sguardi, certi ammicamenti. Si misero a osservare delle stampe: "È bella questa, dove l'hai trovata?" Dalla parete una tigre indecifrabile ricambiava gli sguardi con ferocia ben calibrata, su uno sfondo fitto di cactus e pietruzze triangolari. "Me l'ha mandata Irene dal Brasile." "Come sta?" "Molto bene." Poi quelli se ne andarono. Ed infine così come chi vada sillabando · una lingua perduta, da imparare, poco a poco, annotando quel che è sopito, dentro, io vado collegando alle parole separate le cose. Ora li vedo, a tratti, i miei disastri: come fossero smalti, miniature, incipit colorati, da seguire fino al perfetto, nitido finale. Ora leggo la lettera d'Irene: la sua tigre fedele e immaginaria vive, a mezz'aria, sospesa in uno sguardo. Ora è Imelda che visita i miei sogni: il viso pallidissimo e la bocca sottile, ma segnata con•il rossétto, a cuore, mi parla ancora con le sue parole 0cibliotecaGino Bianco (>Overe,logorate e trasparenti. E da questo silenzio popolato di voci che vi scrivo - Imelda, Irene, voi che mi parlate, se mi parlate, vivo. MIELE NO Tiziano Rossi Magie Che se lei qui nel nero più nero fluire delle discariche e dove innumerabili sono i residui della ghisa lei fosse così piccola da credere ancora al mio declamare baritonale, intatta come perla celata che divampa che si sente perfino il suo cuore, irregolare ma fosse insieme tanto cresciuta da volersi per di qua valorosa salvarsi e salvare, quasi Incarnazione o figura somigliante, e comunque non più muto servizio di servizio, allora - nella carenza dei miei occhi - lei pronta a guizzarsi dentro altre magie guidata solamente da polverìo di miraggi e di sussurri lungo l'oscuro declivio che i bàndoli nasconde, facendo dodici passi a sinistra per aggirare i dismessi carburatori e legandosi con me a un'unta cordetta, sapiente butterebbe su per aria questo sasso per indovinare quella svolta che - yahoo! - ci libererà dalla strega Cavolessa, sempre che con coraggiose piroette di sbieco si approdasse fino al bidone di latta, dove io - signore di pipa e di tabacco - e lei - mia nipotina Caterina - capaci di reggere su dritto il debole fiammifero e la fiamma come persona di ferro sussistere sapremmo anche al penultimo sconquasso, e poi così via e così via Matassa Nel greppo d'ortensie covati e nei muschi e dalle cinque dalie comandati (o la lattuga?), fulminando fendendo le sponde di menta, di salvia strisciavate per il cespuglio di bosso, vicini alla fontanella striminzita che piangeva,

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