vivevano quei tali, che facevano? "Niente di male, sono brave persone." Nel suo mondo erano tutti cosi bravi che l'intera vicenda era inspiegabile. Il figlio tuttavia di questi tali non voleva saperne. Come mai? A casa ripensando a Imelda - soprannominata Cristopietà da tutti nel reparto - mi curavo l'insonnia; ma di giorno quando uscivo di casa mi accadeva di notare espressioni sufficienti, occhi ipertiroidei, narici enormi nei passanti, negli amici; salutavo però in ossequio alle regole civili, chiacchieravo fingendo buon umore ... o forse non fingevo; in verità era bello scambiare due parole. Soltanto dopo, a casa, mi assaliva nuovamente il disgusto ... passeggiavo tra quattro muri e indirizzavo a quegli ignoti o noti, frasi sibilline. Degli amici detestavo i cambiamenti: i baffi che qualcuno aveva fatto crescere, o tagliare ... Un sorriso che prima m'era parso benevolo mutava senso e aspetto diventava furbastro, ebete, orrendo. Nessuno piu veniva a salutarmi - il telefono tacque per incanto - nella mia vita allora subentrò una gran pace, come un grande prato sotto il sole d'estate, a mezzogiorno. Da sola, nella casa riparata al sicuro da sguardi minacciosi, da raucedini endemiche, aggettivi superflui, lo assorbivo, quel silenzio. E senza che volessi, ecco mi venne incontro il mio passato: una collina l'altalena, il cortile ... e delle frasi lette o ascoltate. Questa per esempio scritta nel Cinquecento, da Montaigne: (l'avevo letto, sì, come un romanzo quel volume, saltando tutte le citazioni dal latino) "In tutta la mia vita non c'è stato un dolore che un libro non potesse cancellare." Ma in me, quale dolore c'era, che lo dovessi dimenticare? Strano, la prigione li aveva cancellati, i miei dolori. jt)ilc) ~ anC31niQd~ÌartCO POESIA/TAROZZI quella frase affiorava, insieme a un'altra: "Scrivilo Giulia, scrivilo nel libro!" Il libro - indecifrato - della mia vita, da rammemorare? "Scrivilo Giulia, finché sei in tempo!" esortavo me stessa con varianti opportune ma sempre imperative. Eh sì, io lo dovevo completare il cahier de doléance, l'accumularsi di disastri che avevano segnato la mia vita. "I disastri che amavo come se ... " Ma il resto della frase si perdeva. Eppure in me le frasi affioravano spesso, assai piu chiare delle immagini. Queste scomparivano non solo dal ricordo, anche dai sogni. Mi accadeva talvolta di sognare ma si trattava quasi solamente di parole, enunciate da volti inespressivi, in primo piano: frammenti di preghiere, il Padre Nostro in tedesco e in inglese: "geheiligt werde, the power and the glory ... " (un ricordo di Fraulein e di Misses) o aggettivi sospesi, senza oggetto: intatto, inalienabile, invincibile ... Ma pur sfuocato c'era nei miei sogni un luogo ricorrente: una gran stanza (il granaio di quando ero bambina?) con una scala laterale in legno. Lì sedevo da sola, sui gradini e Irene argomentava a bassa voce (non ero sola dunque) inascoltati consigli. D'improvviso il campanello risuonava furioso. Infine aprivo: entravano gli amici, ma per portarmi via. Perché da mesi ero rinchiusa in quella grande stanza. Qppure - era lo stesso sogno - dormivo sopra un letto singolare un materasso posato su dei legni per terra; e lì qualcuno, inginocchiato a lato sussurrava: "Sono venuti, sono venuti a prenderti." Mi svegliavo d'un tratto. Chi era venuto? I becchini di Pinocchio? Pure non c'era angoscia nei miei sogni. Da sveglia m'ingegnavo a ordinare le carte - vecchi diarii e bollette, quaderni impolverati. Ascoltavo il silenzio dietro i vetri della stanza che dava sul giardino o spiavo i rumori della- piazza 59
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