Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

POESIA/TAROZZI DENTRO (Studio dal vero) Bianca Tarozzi Quando uscii di prigione ritrovai, non per mia colpa, gli amici di prima. Anche la casa, strano, era rimasta com'era sempre stata, ancora mia. E fuori del portone, la piazzetta. E gli amici parevano rimasti sempre uguali a se stessi. Quand'ero dentro mi avevano scritto: cartoline. Ma Irene mi aveva regalato una focaccia fatta a forma di cuore, per Natale. La focaccia era stata sbriciolata per il controllo; le briciole, squisite, erano sufficienti a consolare. C'era qualcuno su cui poter contare allora - c'era chi mi aspettava. Invece, dopo, Irene era partita. Gli amici mi dicevano: "Poteva capitare a chiunque." Ma era vero?" Pareva non avessero alcunché da temere. Lo strano era che mai come quando ero dentro mi erò sentita al caldo, riparata, parte di una comune umanità. Dividevo la stanza con Imelda - maniaca depressiva - messa li perché il mio umore invece era costante: né esaltato né triste - solamente silenzioso direi. Ma l'ascoltavo: una donnetta tutta rattrappita ... · cinquant'anni, mi parve. Un'igienista. Si lavava spessissimo. Piangeva sospirando una specie di preghiera fatta di due parole - solamente "Cristo pietà" che ripeteva con varie sfumature - a volte solo come intercalare, come se avesse detto "So ist eben das Leben." Piangeva; non del fatto d'esser dentro - ch'era per lei motivo di stupore - invece il suo dolore era dovuto a "motivi familiari". Vedova: "Da dieci anni ma è come fosse ieri." Con un figlio operaio, una nuora e dei nipoti. Nella foto a colori una famiglia dall'aria rispettabile. Però soffriva molto lei, per quella nuora: "Mi critica, ma non con le parole. - b . a e~are; i<riti 0 B ~n CO 58 Con le altre compagne si parlava poco, di fretta - e tuttavia bastava per sapere parecchio di ciascuna: parenti, amori, figli, precedenti penali. A volte c'era chi aveva delle crisi. Le sentivo gridare: "Basta, basta!" Di certo le sentivano anche fuori. Dalla finestra, in alto, si vedeva un gran palazzo giallo: era lontano per distinguere qualcosa dietro i vetri. E là forse viveva chi guardava dall'alto la prigione, chi sentiva gridare, chi viveva come noi la sua vita, con dolore, lassu, sospesa, scandita dalle ore. Una cosa bizzarra a San Giovanni era che tutte noi, le prigioniere, eravamo innocenti. Proclamata questa innocenza, creduta fino in fondo. Anch'io naturalmente ... Tuttavia perché eravamo dentro? Di che cosa ci si accusava? Oppure: in che momento la cosa, l'abitudine, l'innocua ossessione fantastica era stata dichiarata colpevole, nefasta? Una volta di notte mi svegliai e la donnetta accanto a me piangeva ancora piu del solito. Piangendo mi raccontò il suo sogno. Suo marito era tornato a casa, finalmente e lei tutta stupita lo guardava "come se fosse stato Gesu Cristo." Seduta sopra il letto, ma di lato, le gambe ciondolanti, si tirava su i calzini, tirava su col naso. (Dormiva coi calzini: "È per igiene." Calzettini di filo, filo bianco e li lavava tutti i giorni, aveva sempre il ricambio.) "Sono tornato Imelda, mi diceva. Lo vedevo, era li. .. " E piangeva. Ma sì, ma quel marito cos'aveva di tanto straordinario? Ah, come lui non ne trovavi un altro. Sì, ma com'era, che cosa faceva? L'autista. E poi? Poi le voleva bene. Piu del figlio. Era un marito, era una perfezione, aveva avuto perfino una medaglia ... Sì ma perché lei si trovava dentro? Un piacere agli amici del marito ... Che favori chiedevano, di cosa

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