Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

Jean Améry. dagli Stati Uniti. Fu sopportata grazie soprattutto al suo amico Maurice Schumann, ma nessuno pensò mai di affidarle incarichi importanti. Quale valore avesse per lei la lotta reale è un interrogativo che dobbiamo porci. In quel periodo, ormai da tempo non credeva più alla lotta antifascista, né tanto meno alla rivoluzione, speranza di tutti coloro che gridavano il motto del giornale clandestino "Com bat": "De la resistance à la rèvolution". "Marx aveva spiegato che la religione era l'oppio dei popoli", scrisse Simone Weil. "Non è vero, la rivoluzione è l'oppio. Le speranze rivoluzionarie sono degli eccitanti. Tutti i sistemi finali sono totalmente sbagliati". Ormai sappiamo che c'è della verità in questa affermazione. D'altra parte è evidente che una tale affermazione in giorni in cui la lotta antifascista aveva perlomeno un fine relativo, non potesse essere che una verità parziale. Comunque, per lei il problema non era il mondo, bensì Dio. La conversione, nel I938, dell'ebrea cresciuta in un ambiente illuminato, era iniziata con l'ascolto di una messa gregoriana durante una funzione pasquale. Nel corso di quest'esperienza mistica, la convertita soffrì di emicranie lancinanti. Il dolore caratterizzò i cinque anni che le vennero ancora concessi; ne danno testimonianza sconvolgente e sgomenta i libri scritti durante questa via crucis e pubblicati dopo la sua morte, L 'attente de Dieu e Lettre à un ré/igieux dedicato al domenicano Perrin. Il processo di separazione dalla realtà può essere seguito come un'anamnesi e qui le interpretazioni teologiche più raffinate - l'evocazione della gnosi, di Santa Teresa d'Avila e di Pascal - possono modificare ben poco. Simone Weil non si sottrasse solamente alle richieste del quotidiano, non solo al cornrnon sense, bensì alla stessa logica che è rispecchiamento dell'essere. Cristo non diventò il suo "piatto preferito", per usare un'espressione cinica e illuminante di Heine, bensì l'ossigeno della sua respirazione intellettuale. Non argomentava, si accontentava piuttosto di asserzioni improvvise del tipo: "La sola presenza di Cristo, può spiegare lo scaturire del pensiero, o delle azioni trascendenti della giustizia, della comprensione del dolore, della carità, dell' amore per il prossimo. Credere che possano manifestarsi là dove Cristo è assente, è sacrilegio, blasfemia." Così non può esserci alcuna salvezza in questo mondo: non con Dio, poiché egli può solo essere atteso, invano, per sempre, ma non può essere raggiunto attraverso un paziente avvicinarsi. Utopia è sacrilegio. Null'altro resta se non l'immolazione. SAGGI/AMÉRY in base al referto del coroner per "arresto cardiaco conseguenza di una turbercolosi polmonare e di insufficienza alimentare". "Suicidio, esito di una nevrosi ossessiva religiosa", sarebbe stato il referto non consentito dal suo empirismo professionale. Le sue opere più significative furono pubblicate dopo la morte che, in quanto morte di una martire nazionale, zittì in Francia ogni tentativo critico. Il velo della morte si trasformò in aureola, non solo nel suo paese ma in tutto il mondo. Sarebbe stato perciò di cattivo gusto, o peggio ancora blasfemo, esprimersi sulla mancanza di sistematicità della sua opera. Chi potrebbe pretendere da una mistica predestinata al martirio una sistematizzazione della sua esperienza di Dio quale ci si aspetta da un qualsiasi professore universitario di teologia? In maggior misura mancava il coraggio di avvicinarsi alle sue asserzioni politiche: non aveva forse portato la bandiera rossa durante gli scioperi, non era stata in Spagna, non era forse stata. disposta a rischiare la vita per la Resistenza? Allora, tutto ciò bastava. Oggi non più, perché, come dice Voltaire: "Ai vivi è dovuto rispetto; ai morti null'altro che la verità .." Simone Weil nei primi anni del dopoguerra continuò a vivere al di là della morte. Solo ora è morta veramente e la verità può reclamare i suoi diritti. Così dalle nuvole di incenso che la circondavano, emergono aspetti che in piena luce non appaiono del tutto perfetti, tanto più che anticipano, in modo spiacevole, quello che ai nostri giorni viene consigliato da una sinistra che ha perduto se stessa. Lo spirito delle corporazioni, l'esprit des corporations viene detto nel L 'enracinement, deve essere risuscitato. Questo era allora l'influsso della révolution nationale di Pétain. Nella Francia liberata, pensava Simone Weil, i grandi complessi industriali devono essere decentrati. Manifatture di piccole dimensioni, strutturate in modo arcaico e distribuite a distanza sul territorio, dovrebbero, come forze produttive e mezzi di produzione, coprire e nutrire nello stesso tempo la nazione. Anche tutto questo era Vichy e la sinistra • si è abbandonata da allora almeno cento volte ad analoghi progetti di un'utopia dallo sguardo rivolto al passato. 'Il lavoro manuale preferibilmente agricolo deve avere un orario ridotto, ma nel contempo avere un carattere quasi sacrale. Superamento dell'alienazione o nostalgia regressiva per lo storicamente esaurito? Quest'ultimo naturalmente, non il primo. "Quando il giovane operaio", scrisse Simone Weil, "comincia a pensare di autonomizzarsi è verosimilmente maturo per il radicamento". Contro illuminazioni del genere non c'è rimedio nelle aride pianure della ragione umana. In ogni caso vanno ammoniti intellettuali stanchi di civiltà, che proiettano la loro nausea interiore sugli spazi del sociale, dall' esercitare una influenza ch(j non sia in grado di produrre qualcosa di positivo. È possibile amare l'essere umano Simone Weil. È giusto commiserarla. La pensatrice non può interessare nessuno che abbia come obiettivo l'educazione della umanità. (traduzione di Sergio Fabian) Simone Weil morì il 24 agosto I943 in un ospedale inglese, Copyright "Merkur" I978. ibliotecaGino Bianco 57

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