SIMONEWEIL AL DI LÀ DELLALEGGENDA Jean Améry Tutte le contraddizioni si risolvono in Dio, affermano con Nicola Cusano i teologi. Non così su questa terra miserabile. Lacerano individuo e società. Simone Weil è l'esempio tragico dell'impotenza del deus absconditus dinanzi alle contraddizioni mondane. La sua sete di assoluto la prosciugò letteralmente;-il relativo: origini, condizione sociale, educazione, fu il suo destino. Voleva consacrarsi agli altri, il suo egocentrismo la imprigionò quasi fosse fusa nell'ambra. Desiderò l'eterno - fu segnata dal tempo che ne fece alla fine un animale sacrificale. Il suo spirito aveva dimora in qualche luogo lassù, nell'aere rarefatto dell'incontaminato - il suo aspetto fisico era trascurato, tanto da sembrare ad alcuni sudicia. Odiava l'ebraismo ed era, sia nella struttura caratteriale che nell'aspetto, ebrea in modo singolare. Avrebbe voluto essere un'operaia, era però incapace di svolgere in modo soddisfacente la più semplice attività manuale. Si sentiva predestinata all'eroismo; quando però partì per la Spagna, per partecipare alla guerra civile, si ustionò goffamente con dell'olio bollente e dovette essere rimbrillava come una stella nella notte del tempo, vanno annoverati T.S. Eliot, Gabriel Marce!, Maurice Schumann, Dietrich von Hildebrandt. Fu - e così rimase fino alla morte - un oggetto prezioso, che il solo sfiorare sarebbe stato blasfemia. Il prestigio della sua morte l'ha tenuta fuori dal dibattito critico. Ma è ora, per quanto difficoltoso possa essere un tale proposito, di penetrare il groviglio della leggenda, per arrivare a una definizione della sua figura (perché ciò che fu e ciò che fece, troppo perfettamente si inserisce in una corrente neoirrazionalistica le cui deleterie conseguenze non sono ancora date a vedere). Il destino della nascita già portava in sé le potenzialità fattesi reali, della sua esistenza e del suo tragico morire. Nasce nel 1909 a Parigi, dove la tensione sociale era scoppiata in un paese nel suo insieme ancora desideroso di idillio pastorale. Jaurés era già all'opera. Le ondate del processo Dreyfus si erano appena placate. Un giovanotto, Léon Blum, aveva da poco abbandonato il suo estetismo per schierarsi dalla parte di coloro che erano ancora realmente i dannati di questa terra. "Tre elementi contrassegnano l'esistenza di questa donna fuori dal comune: una acuta intelligenza, una determinazione feroce patriata in tutta fretta dai genitori preoccupati. Solo la morte le riuscì. Quando venne sepolta a Ashford, in Inghilterra, l'ardente mistica cristiana non era battezzata e nessun prete era presente per benedire le sue spoglie. A causa di un allarme aereo, il religioso aveva perso il treno. Le leggende che ne hanno completamente ricoperto esistenza e operato rendono assai difficile la sua comprensione. Dove avrebbe dovua mondare gli uomini dalla lordura terrena, una propensione senza limite alla sofferenza." Il padre. Bernhard Weil, medico agiato e rispettato di antica famiglia ebreo-alsaziana, praticava a Parigi. La madre Salomea (Selma, chiamata anche "Mime") era nata a Rostov sul Don e proveniva dalla Galizia austriaca. È in questo modo che si diventa un diverso nel cuore della Francia. Alsaziani ed ebrei non potranno mai essere veri français de France. Quando l'essere alsaziani si to trovar posto la biografia, si è allargata l'agiografia. Charles de Gaulle, che ben conosceva gli uomini, la definì semplicemente folle. Ma Camus, schiacciato dal trascendente sino alla sostanza trascendentale della condizione umana, trascorse un'ora di meditazione nella sua camera parigina, prima di salire sull'aereo che lo avrebbe portato a Stoccolma, a ritirare il premio Nobel. Il filosofo Alain riconosceva in lei l'allieva più dotata di talento. Tra coloro per i quali * Si tratta di uno degli ultimi testi di Jean Améry. Quando lo lessi, l'Autore non era più tra noi. Rimane perciò senza risposta il perché di un congedarsi così intransigente proprio dalla figura che avrebbe potuto essere sua sorella spirituale. Così egualmente conseguenti nell'impegno al sacrificio, nella durezza verso se stessi, nella passione per chi soffre, nella timidezza davanti all'amore, "nello schermire dell'Io con se stesso, dell'Io con l'altro di me", come egli una volta mi scrisse. Una parola di commiato dunque, per sottolineare ancora una volta che per lui si trattava di un ben diverso conedo~a.se 1,tesso? [Mf1;,/<Jl_r} 8 . s- lu IOLeca\.:Jlno 1anco unisce con l'indefinitezza ebraicà, si è doppiamente macchiati e non basterebbe essere nati e cresciuti cento volte nella capitale. Mi trovo pienamente d'accordo con l'autore ebreofrancese Paul Giniewski, che, in un libro pubblicato recentemente, interpreta l'esistenza di Simone Weil come pesantemente segnata dalle sue origini. È sufficiente leggere i suoi testi e la produzione critica, parallelamente alle memorie di Simone di Beauvoir, di un anno più vecchia, per essere immediatamente consapevoli della grande differenza di spessore esistenziale. Nella Beauvoir, indiscussa "française de France", tutto è evidente, fino a giungere alla manifesta protesta femminista e di estrema sinistra. Nell'ebrea di origine alsaziano-galiziana, anche la cosa apparentemente più naturale diventa problematica. All'una viene riconosciuto il suo esserci, indipendentemente dal fatto che sia stimata o contestata; l'altra viene messa in dubbio persino da coloro che la sopravvalutano in modo esagerato. Il minimo che si possa dire è che Simone Weil si sentiva a disagio nella sua pelle, sensazione che si comunicava a quasi
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==