INCONTRI/GARBOLI '' Lo scrittore-medico è portatore della propria malattia e ne è l'esorcista; gli scrittori-cavie vengono trascinati dal proprio demonio, senza esserne padroni né consapevoli." Non un uomo di carne e di sangue, amico e compagno di Garbo/i, ma un personaggio di fantasia, più che di memoria. Era vero, e a pensarci bene, è sempre così molti mi chiedono come mai io non abbia mai scritto un romanzo. Non ho alcun interesse per ciò che è immaginario, no so dare realtà a ciò che è immaginario. Il mio problema è proprio l'opposto: è ciò che è reale che mi diventa, tra le mani, non volendo, immaginario. Anche davanti al lavoro che ho fatto su Pascoli è andata così: in presenza di quel numero di documenti anche minimi, cominciavo a dubitare dei dati. I dati, nella mia edizione delle Poesie famigliari sono numerosissimi, proprio per convincermi che erano reali. Più affollavo i dati, i documenti, ed esercitavo su di loro esclusivamente il controllo, più eliminavo l'ermeneutica e l'interpretazione mi attenevo alla scabra documentazione, facendo l'archivista e il positivista, e più mi trovavo di fronte a un fenomeno immaginario, a una realtà immaginaria. È questo che a me interessa: come mai ciò che è reale si dispone, tende all'immaginario? Perché entra in un presente che non è stato il suo. Il rapporto dello storico con ciò che dallo storico viene inquisito è un rapporto che appartiene al regno del tempo. Quanto più studiamo ciò che è avvenuto, quanto più accumuliamo dei dati che ci devono dare una rappresentazione di ciò che è avvenuto, tanto più noi costruiamo degli universi immaginari su quei dati, universi che non corrispondono assolutamente a nulla di ciò che è realmente avvenuto. Prima di tutto perché i nostri dati sono sempre parziali: noi lavoriamo infatti su mappe intervallate da chiazze bianche, di cui non sappiamo·,nulla; e, nel rimettere insieme il paesaggio, noi costruiamo insieme un paesaggio che non corrisponde a quello che si è realizzato. In secondo luogo, noi possiamo farci un'idea di quel che è avvenuto, ma quel che è avvenuto non è mai il vissuto. Il vissuto non lo sapremo mai, cosa che il Manzoni aveva ben capito. Tant'è vero che Manzoni riteneva che il poeta è colui che cerca ciò che sta dietro i fatti. I promessi sposi sono esattamente questo: una meditazione su ciò che c'è dietro la Storia. A me non interessa ricostruire l'immaginario sullo storico, a me succede che una volta dato lo "storico", lo "storico" mi diventa immaginario. lo ne sento tutta l'immaginarietà. Allora che cos'è l'immaginarietà che io sento? Secondo me questo diventa un problema di tempo, di rapporto tra i tempi. Il libro che sto scrivendo è su questo, una sorta di critica della storiografia. Mi chiedo se la storia sia qualcosa di più che un genere letterario. Non è un interesse metafisico, non è sapere o definire che cosa è la storia. È piuttosto un interesse disciplinare: che cosa dà la storia, che cosa fa uno storico, qual è il pezzo di realtà che somministra quando fa fino in fondo il suo dovere di storico. li temporale è terminato. Dalle finestre aperte adesso si vede pascolare un gregge di pecore sparso per i prati circostanti. Prima di andarcene, gli domandiamo se non crede che valga anche per lui un'affermazione spesso ripetuta, "se la criticanon sia un modo di nascondere se stessi dietro gli altri, e magari senza accorgersene": lo non mi nascondo dietro Pascoli, mi manifesto. Non esiste ibliotecaGino Bianco un libro, o addirittura una parola, che non sia autobiografica. Come si fa a uscire da se stessi? È impossibile. Ma io non scelgo di parlare di un altro per parlare di me. In questo non mi riconosco: voglio parlare di un altro e capire un altro. Se poi, nel viaggio che devo percorrere per arrivare al traguardo di un altro, mi capita di percorrere simultaneamente un viaggio per arrivare a un punto di me stesso, questo è una cosa che mi porto dietro, un Anchise che mi porto sulle spalle ma non so di avere. Può anche essermi utile portare il mio Anchise sulle spalle, ma la mia meta resta il traguardo dell'altro, l'altro. Quanto c'è di autobiografico nel libro di Pascoli io lo so benissimo. Il padre, tanto per cominciare. Anche mio padre è stato ucciso. NOn con una fucilata, con una pallottola, però è stato ucciso. Di conseguenza ho un'esperienza che è un elemento analogo all'esperienza del Pascoli, ma l'analogia non è rivolta a me. Quello che c'è di autobiografico è stato solo lo strumento. O meglio: la fucilata metaforica che ha colpito mio padre, e quello che ne è venuto a me, formano lo stampo nel quale io posso colare il piombo fuso che mi dà la chiave per aprire una serratura che non è mia. Che cosa fa di diverso un attore? D'altronde, pensare di riuscire a eclissare l'io nella prassi critica è un'illusione. C'è in primo piano un certo tipo di interesse formale, scientifico, basato sullo smontaggio dell'oggetto letterario. Anche il rapporto tra Ida, Maria e Giovanni come impossibile sublimazione incestuosa è un rapporto che è stato vissuto da me: ma non a livello familiare bensì erotico, in una situazione completamente eterogenea, che però mi ha prestato lo stampo per poter versare la famosa sostanza plumbea. Devo tuttavia riconoscere che questa consapevolezza interviene solo in un secondo momento. Sulle prime, io non scelgo mai l'oggetto dei miei interessi scientifici sulla base di affinità elettive. Tra me e Pascoli non c'è alcuna affinità elettiva, per esempio, e così pure tra me e Penna, o tra me Delfini. Tuttavia, in tutti gli oggetti che ho trattato criticamente, ho finito per ritrovare simultaneamente un frammento perduto del mio io. L'unico interesse elettivo, che è partito da me, per un oggetto di studio in sé, è stato Dante, quando ero ragazzo. Ma in tutti gli altri casi, a cominciare da Pascoli, il caso ha svolto un ruolo preponderante. Eppure, se mi volto a considerare tutti questi casi della mia vita, non posso fare a meno di riconoscere in essi una costante. Qualcosa che definirei una strategia magica. Non so se malefica o benefica, ma che non dipende certo dal mio interesse. E che non investe solo me... qualcosa che doveva venire fuori. Ecco, secondo me nel caso ci deve essere qualche strategia magica, di cui io a volte mi sento non tanto protagonista, ma oggetto. Arrivare a un certo punto di me stesso... percorrere un viaggio per arrivare a un certo punto di me stesso, che so che mi aspetta, e se dovessi dire quale-è, non saprei dirlo, ma so che m'aspetta. So che c'è un punto di me stesso che prima o poi raggiungerò, anche se forse non desidero raggiungerlo perché a quel punto sarà finita. La critica è un viaggio di decifrazione: sono tutte tappe di uno stesso viaggio. È la ricerca dal vaticinio: il viaggio che si fa per andare a sentire la risposta di un oracolo, ma anche il viaggio di ritorno, il viaggio lunghissimo, interminabile, durante il quale la risposta viene verificata. 53
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