Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

SULL'ALTOPIANO QUATTRORACCONTI Andrea Zanzotto Parlami ancora Si allargava solenne e tuttavia leggera e soffice sul tagliere, il vapore profumato saliva verso le travi e, poco dopo, la nonna, dato di piglio al filo che serviva a tagliare, fissato al manico della bella piattaforma di legno, cominciava senza paura di scottarsi a distribuirci le fette caldissime. Ai grandi prima e a noi più piccoli dopo, e ciascuno aveva il suo cantuccio di formaggio in mano e il suo taglierino, ciascuno trovava il suo angolo, in cucina o in cortile, dove appartarsi a mangiare. Era quando ritornava il cugino dal!' America, el sefior Bio Da Rolt. Era stato espulso di là per certe risse, appena arrivato alla fattoria paterna si era levato gli stivali e aveva fatto uscire dalle loro fodere una pioggia di monete d'oro. Si mangiava polenta, in quel giorno, all'aperto sull'aia, polenta pura di grana finissima, sotto un cielo che prometteva estate. Noi stavamo gustando il forte e caldo nutrimento, il cugino si accarezzava gli stivali e faceva scintillare le monete, ci raccontava di laggiù, e il suo cappellaccio di paglia sembrava fargli da testimonio; la nonna guardava soltanto lui, il più vecchio dei suoi nipoti, attenta, col suo cocuzzoletto candido che tentennava ad esprimere curiosità, affetto e disappunto. E poi il cibo delle mattine di domenica, le campanelle fresche nel pallore eccelso dell'alba, la fetta di polenta e il cartoccino di zucchero, la messa e la strada fatta con le scarpe in spalla: io vi voglio ancora, mie mattine, e nelle vostre ombre incristallite dal profumo della notte mi siedo tra i cespugli e intingo nello zucchero la fredda polenta, gelatinosa come torta di crema; e il mio cuore palpita più che per qualunque amore mentre essa e lo zucchero si fondono nella mia bocca e giù nel petto con l'anima dolente. O polenta e cannella. Cannella, tristezza, cannella, acre solitudine. No, non la voglio con la polenta, preferisco una mela piccola e giallina, a costo di far conoscenza col vermiciattolo che vi è dentro. Parlami ancora di te, polenta, dimmi come mi proteggevi mentre per meglio assimilarti ti facevo a pallottole e ti stringevo forte nel pugno, e tu uscivi spiaccicata tra le dita, donde la mia lingua ti coglieva! II cugino Bio in pochi giorni aveva perduto il suo denaro al gioco o lo aveva regalato; per questo s'era messo a fare il manovale e la nonna gli portava da mangiare: una gabbia da lucherini piena colma di fette accatastate, e poi l'involtino del formaggio in tasca. Bio stava in conversazione, durante il breve riposo, con una ragazzotta, che alla vista della polenta egli dimenticava; come dimenticava gl'inconvenienti di questa vita, il sole aspro e il sudore, appena il buon cibo gli s'insinuava nelle viscere: e che era, nella polenta, nella sua fitta struttura, quella puntina di formaggio che la trapanava? Un nulla, cui non meritava che il gusto s'indirizzasse. L'odore del campo frusciante di canne, di foglie taglienti, di cartocci, come una jungla benigna, le barbe traboccanti con il calore delle piogge estive, l'edificarsi audace delle pannocchie attraverso le tempeste e i soli: tutto questo che era 8°~ f c5 w~tèadGi'fi{oie a A cano un nuovo senso e godimento in cui fervevano anche il palato e la mente. E una volta la padrona di casa gli aveva detto: "Bio, eccovi due salsicciotti e intanto, se volete, accomodatevi, cominciate pure voi". Lui aveva adocchiato la polenta per quattordici persone che gli fumava davanti, aveva cominciato a mangiare e si era accorto che quei salsicciotti erano un bene degno veramente di sposarsi con la polenta, di divenirne, se essa era il mondo, il granello di senape fecondatore. Ma poco dopo si era visto costretto ad alzarsi da tavola, ancora con un salsicciotto e mezzo davanti, mentre il tagliere ostentava ormai solo squallore e nudità. Bio aveva chiesto; quasi con vergogna, che so? un mezzo pane, per finire il companatico; ma la signora lo aveva come risvegliato col suo grido che deprecava la volatilizzazione della polenta riservata al padrone e ai figli. Il cugino non era mai più stato chiamato presso quella famiglia, ormai nessuno accettava più le sue proposte, "per una giornata, qualche soldo e un boccone da mangiare". Aveva poi finito di screditarsi nella gita con i soci del "Mutuo Soccorso", perché, quando era stato portato in tavola il piatto con la pastasciutta per venti, liberatosi repentinamente dei pantaloni, era balzato sulla pastasciutta, vi si era seduto sopra e aveva invitato gli altri a prendersi pure la loro parte. Così aveva assimilato quella montagnola, ma in paese ci si era molto stupiti che avesse mangiato tanto volume senza che fosse polenta; non lo si credeva capace di tradire, neppure momentaneamente, la sua passione. Ma perché tu mai, anima mia, indugi tanto su questi ricordi? Vuoi forse, per loro mezzo, assicurarti che esisti, che sei sempre te stessa, vuoi che lo splendore mai del tutto offuscato della polenta ti riporti fuori dal vorticoso dissolversi del tempo? Ecco, è vero: quella domestica voluttà, quell'immagine sempre riconoscibile ti richiama dal sopore delle tue distrazioni di farfalla, dal tuo interromperti come fiato di lucciola: o vaga, o precaria, o impalpabile riflesso delle tenebre eterne. E io ripenso a quando ero come ammalato di una fanciulla mia compaesana, che abitava in una valletta, donde scaturiva un vivo filo d'acqua. La fanciulla stava, biondissima, sotto un ciliegio, su un prato in declivio, e il ruscello sembrava svilupparsi dall'ombra dell'albero che oscurava, dolcemente inquieta, una zona d'erba. Ella stava sbocconcellando una fetta di polenta, il padre mi aveva subito invitato in casa, io avevo accettato di cenare con loro. E avevo mangiato polenta e formaggio, poco, poco formaggio, avevo bevuto un vinello rosso che sembrava di rosa più che di uva, poi una mela aveva coronato di tersi curvi riflessi il deserto del mio piatto, del mio cuore. La ragazza aveva mostrato qualche simpatia per me, la sua anima era certamente come quegli schietti ciottoli bianchi che si vedevano in fondo alle correnti del ruscello. Così mi era accaduto, quando ero giovane, ma già allora di mio cugino nulla rimaneva se non la memoria, perché era ripartito; anche della nonna, che mi aveva prediletto sempre perché ero orfano, non restava in me, solo in me, che il gesto con cui versava la polenta sul tagliere, o il chinarsi del

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