IL MIO PROCESSO COMECRIMINALEDI GUERRA Leo Szilard Sto giusto per chiudere l'uscio della mia stanza d'albergo e andarmene a letto, quando sento bussare: apro e ti vedo un ufficiale russo e un giovanotto, un civile, russo anche lui. Una cosa simile me l'ero in verità aspettata fin dal momento in cui il Presidente aveva firmato l'atto di resa incondizionata e i russi avevano sbarcato un corpo d'occupazione a New York. L'ufficiale mi tese qualcosa che aveva l'aria di un mandato di cattura e mi annunciò che ero in arresto come criminale di guerra, per la mia attività connessa con la bomba atomica durante la Seconda guerra mondiale. Fuori, un'automobile ci aspettava e i due mi dissero che mi avrebbero portato a Long Island, al Laboratorio nazionale di Brookhaven. Era chiaro che stavano facendo una retata di tutti gli scienziati che avevano lavorato nel campo dell'energia atomica. Come fummo nell'auto, il giovanotto si presentò e mi disse di essere un fisico e membro del Soviet di Mosca. Io non avevo mai sentito il suo nome prima e dopo d'allora non son mai più riuscito a ricordarmelo. Si capiva che aveva una gran voglia di éhiacchierare. Mi disse che lui e gli altri scienziati russi erano proprio tanto dispiaciuti che il tipo di virus usato avesse ucciso un numero così spropositato di bambini. Era stata una vera fortuna, disse, che la prima incursione fosse limitata alla zona del New Jersey e che la rapida cessazione delle ostilità avesse reso inutili incursioni di più vasta portata. I piani sovietici prevedevano - così disse - che quel virus fosse immagazzinato e tenuto in riserva per casi di emergenza. Intanto si studiava un altro virus, diverso dal primo per cinque ulteriori gradi mutazionali; ma era ancora allo stadio della coltura sperimentale: appunto questo virus assai più perfezionato e potente avrebbe dovuto essere adoperato nel caso di una guerra vera e propria. Ai bambini non avrebbe fatto niente, ma avrebbe in prevalenza ammazzato adulti tra i venti e i quarant'anni. Ma la guerra era scoppiata troppo presto, e la Russia si era vista costretta a far uso delle riserve che aveva sotto mano al momento. Disse che a tutti gli scienziati arrestati sarebbe stata data la possibilità di scegliere il trasferimento in Russia, nel qual caso non avrebbero dovuto subire nessun processo per crimini di guerra; ma se io avessi deciso di affrontare l'alea d'un processo, lui personalmente si augurava che ne uscissi assolto e che in seguito fossi disposto a collaborare con i russi, qui, negli Stati Uniti. Disse anche che i russi desideravano ardentemente l'appoggio e la collaborazione della gente e non dei soli comunisti americani, perché avevano intenzione di costituire in America un regime politico collaborazionistico. Dal momento che l'appoggio dei comunisti era scontato, i russi, spiegò il giovanotto, avrebbero dedicato tutte le simpatie a coloro della cui collaborazione non potevano essere automaticamente certi. "Naturalmente, per i primi mesi, ci appoggeremo ai comunisti", disse, "ma non sarà possibile fidarsi a lungo di elementi incalliti nell'opposizione e nella cospirazione. È difficile lavorare con gente che non ha il senso dell'umorismo", aggiunse dopo un attimo di riflessione. Mi raccontò che non avrebbe costretto nessuno scienziato ad andare in Russia e che chi era innocente se decideva di anBibliotecaGino Bianco darci non doveva farlo solo per la paura di un processo per crimini di guerra, giacché, disse, la Russia avrebbe fatto tutto il possibile per garantire l'imparzialità e la correttezza dei processi. "Certo", aggiunse non senza una certa logica, "il risultato di un processo, pur in buona fede, è sempre un po' un azzardo". Mi disse che secondo lui la Russia tra un paio di settimane avrebbe cambiato idea sulla questione del governo mondiale; che avrebbe finito per caldeggiarne la costituzione, almeno in via di principio, e che avrebbe operato validamente per un rafforzamento immediato delle Nazioni Unite. Il tribunale che si stava· costituendo per giudicare i criminali di guerra non sarebbe stato un fantoccio in mano dei russi, ma anzi, disse, sarebbe stato composto da rappresentanti di tutte le nazioni che non erano scese in guerra contro la Russia. Fui sorpreso di sentirgli dire che secondo lui la Gran Bretagna avrebbe dato incarico al suo Lord Procuratore generale di sedere nel collegio giudicante, e, devo essere sincero, in quel momento pensai che raccontasse delle storie, anche se, certo, la cosa non era tecnicamente impossibile dato che il governo inglese di coalizione s'era affrettato a dichiarare la neutralità dell'isola ventiquattr'ore prima dello scoppio della guerra. Le previsioni del giovanotto russo ebbero conferma la mattina dopo quando i giornali riferirono il discorso del primo ministro inglese, il quale aveva detto che la Gran Bretagna, avendo partecipato anche al processo di Norimberga, non poteva ora tirarsi indietro senza sentirsi colpevole di doppiezza e di immoralità. Comunque le chiacchiere che quel giovanotto mi veniva raccontando, mi furono in 'qualche modo utili veramente: infatti mi diedero il tempo di riassestare le idee e di decidere la linea di difesa da prendere. Questa faccenda della Russia però mi seccava un po'. Ho passato l'infanzia in Ungheria, ho vissuto in Germania e in Inghilterra prima di trasferirmi negli Stati Uniti, e penso che un po' di emigrazione faccia bene all'uomo. Però, a cinquant'anni non si è più tanto svelti ad imparare le lingue. Quanti anni mi sarebbero occorsi per impossessarmi del russo almeno quel tanto che bastasse a saper girare una frase e dire una malignità senza risultare offensivo? No, non avevo nessuna voglia di andare in Russia. E meno ancora volevo trovarmi nella situazione di subire le simpatie interessate dei russi o di dover rifiutare seccamente qualche carica importante che gli potesse saltare in testa d'offrirmi. Non volevo cascargli nelle braccia, ma non volevo neanche fare a braccio di ferro con i russi. Ci pensai su un po', a questo dilemma, e stabilii che il modo migliore per cavarmi dagli impicci era di dire la verità e di suscitar dunque i sospetti dei russi. Non dovetti aspettar molto per attuare il mio piano d'azione. La mattina dopo, a Brookhaven, fui interrogato da un ufficiale russo. Sulle prime ebbe un atteggiamento benevolo. La prima domanda, o quasi, che mi fece, fu perché non avessi lavorato nel campo dell'energia atomica nel periodo precedente alla Terza guerra mondiale. Quando io gli dissi senza mentire che avevo avuto cinque buone e valide ragioni e le elencai una 33
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