teatrali che cercano un proprio originale equilibrio tra il teatro di parola europeo - le sue convenzioni drammaturgiche esceniche - e il carattere orale e rituale della rappresentazione tradizionale. Sintesi che in alcuni casi dà grandi risultati. Un'utile occasione per riflettere su tali problematiche è stata la prima rassegna di Teatro Africano, che si è svolta alla fihe di settembre al Salone PierLombardo di Milano e al Teatro Carignano di Torino, dove sono stati rappresentati quattro lavori assai interessanti: Jero's Metamorphosis di Wole Soyinka, Jankariwo di Ben Tomoloju, Qu'est devenu Jgnoumba le chasseur? di Sylvain Bemba e Antoine m 'a vendu son destin di Sony Labou Tansi; opere di cui, a cura di Egi Yolterrani, sono stati raccolti i testi - in lingua originale con traduzione a fianco - nel bel volume Teatro africano (Einaudi, pp. 334, Lit. 20.000). I quattro spettacoli sono stati messi in scena da una compagnia nigeriana, Kakaaki Performers di Lagos, e da due compagnie congolesi, l'Equipe Ngunga e il Rocado Zulu Theatre, entrambe di Brazzaville. I quattro autori hanno età ed esperienze differenti; due (Soyinka e Tomoloju) provengono da un paese anglofono, la Nigeria, e due (Labou Tansi e Bemba) da un paese francofono, la Repubblica Popolare del Congo. Soyinka, premio Nobel per la letteratura I986, è l'unico dei quattro già conosciuto qui in Italia; degli altri tre, i due congolesi hanno presentato le loro opere in Francia e in America, mentre Tomoloju fino a ora non aveva mai acconsentito a diffondere le proprie opere all'estero. Anche i lavori presentati alla rassegna sono tra loro diversi per scelte e caratteri: si va dalla sarcastica analisi che Soyinka fa delle sette religiose e dei falsi profeti che proliferano di questi tempi nella caotica e violenta realtà di Lagos, all'animismo ancestrale presente nella pièce di Bemba, al centro della quale sta un BibliotecaGino Bianco villaggio ai bordi della foresta turbato dalla scomparsa di un mitico cacciatore; dalla ridicola e tragicomica vicenda che Labou Tansi ha pensato per il capo di stato Antoine, prigioniero delle sue stesse trame e dei suoi deliri, agli intrallazzi di piccolo cabotaggio di un funzionario governativo e di sua moglie, i quali - come avviene nell'opera di Tomoloju - per arricchirsi e trafficare trascurano il figlio progressivamente emarginato dalla famiglia e dalla comunità di villaggio. Allo stesso modo le tecniche utilizzate variano da un teatro quasi del tutto rispettoso dei canoni e delle convenzioni del teatro occidentale - è il caso di Soyinka - a un'azione teatrale che fa costantemente ricorso alla ritualità drammatica dell'Africa arcaica dei misteri della foresta, degli uomini-leopardo, delle maschere, delle danze e dei talking drums, come fa Bemba, che addirittura si richiama ad una forma di teatro terapeutico, chiamato Kinguisila, la cui tradizione è presente in tutta l' Africa centrale. Ma proprio la varietà dei caratteri e delle scelte dà più valore a questo interessante panorama del moderno teatro di parola africano, quello nato nella realtà postcoloniale e da noi più trascurato; teatro che si sta conquistando un proprio spazio nelle sale delle capitali africane e sul quale è possibile fare qualche considerazione. Innanzitutto a proposito del testo scritto, per il quale gli autori, invece delle tradizionali lingue materne, hanno scelto le lingue ereditate dai colonizzatori, l'inglese e il francese, quali più sicuri e utilizzabili strumenti letterari. Certo questa scelta ha molteplici spiegazioni: la frammentazione linguistica dei paesi africani che non dispongono di lingue materne comuni a tutta la popolazione; il fatto che raramente le lingue materne hanno una forma scritta; la realtà di una scolarizzazione avvenuta per mezzo delle lingue europee, che quindi si offrono come le uniche lingue di cultura disponibili in grado di superare gli antagoAntoine m'a vendu son destin di Sony Labou Tansi, Compagnia Rocado Zulu. IL CONTESTO nismi linguistici presenti nelle giovani nazioni africane; l'occasione, infine, che si offre agli autori di rivolgersi ad un pubblico sovranazionale comprendente sia il pubblico di altri paesi africani sia quello occidentale, che più di ogni altro è in grado di sostenere economicamente il mercato librario legato alla produzione africana. È certo però che la scelta delle lingue europee finisce con l'allontanare da questo teatro una buona fascia delle popolazioni locali, quella non scolarizzata (che poi in genere è la stessa che difficilmente dispone delle risorse economiche per pagarsi l'ingresso in un teatro), che quindi non potrà godere delle novità presenti in queste opere, per molti aspetti lontane e diverse dalle rappresentazioni tradizionali. L'adozione delle lingue straniere non avviene però passivamente e alcuni drammaturghi, come ad esempio Tomoloju, non rinunciano ad augurarsi "un teatro totalmente in lingua africana", un teatro "popolare" che sappia "essere destinato al popolo (... ) senza rinunciare alle esperienze, ai risultati del teatro letterario, alla sua lezione". Nel frattempo, come ben emerge nei testi delle quattro opere di cui stiamo parlando, l'adozione del francese e dell'inglese avviene in maniera critica, nel senso che quelle lingue sono sottoposte a tensioni e contaminazioni di vario genere; gli autori, infatti, sono alla ricerca di un uso creativo dello strumento linguistico, nel tentativo di inventare, come dice Labou Tansi, "un linguaggio tropicale, lussureggiante e fuori dalla linea retta". La lingua allora, è a volte letteratissima e ricercata, a volte interrotta da sequenze in lingue africane, altre volte ancora diventa pidgin o petit-nègre, lingua bastarda, incrocio tra lingue europee e lingue materne, tra lessico· occidentale e sintassi africana, in cui la deformazione fonologica e lo stravolgimento sintagmatico diventano tratto dominante. Tali momenti di tensione linguistica non sono poi altro che il risultato di alchimie culturali e cognitive che si concretizzano in lingue che "derivano un proprio andamento, un proprio ritmo e una propria sonorità particolari dalla sovrapposizione comunque forzosa di schemi verbali e mentali tra loro differenziati e non sempre conciliabili" (Bianchi). Tale connittualità linguistica diventa ancora più evidente se si tiene conto di quanto sono lontani alcuni aspetti di queste pièces dalla cultura inscritta all'interno delle lingue europee. Non a caso questo teatro fa riferimento a coordinate spazio-temporali eccentriche rispetto a quelle della tradizione 19
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