Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

ILCONTESTO CONSIGLI/SCONSIGLI CHEDISDEnA LAPERPLESSITÀ! Grazia Cherchi A che cosa servono le recensioni? Secondo alcuni, a evitare la lettura dei libri: dopo aver dato loro una scorsa, si è in grado di "chiacchierare" del libro come se ... e si è a posto. Già, tutto è chiacchiera: si legga il divertente racconto di Michael Kruger Perché Pechino? (Einaudi, L. 16.000) sui professionisti della chiacchiera "costantemente in viaggio per tormentare il mondo con opinioni e punti di vista, dal livello più aito a quello più basso, a seconda del compenso e della posizione". Ecco chi è L'amante senza fissa dimora del penultimo romanzo di Fruttero & Lucentini, altro che l' "ebreo errante"! (e in ogni caso oggi sarebbe stato più appropriato semmai il "palestinese errante"). Il protagonista di Perché Pechino? avendo incautamente scritto una specie di articolo-postilla su Confucio in un giornale aziendale ted~sco, viene immantinente invitato al primo congresso internazionale su Confucio a Pechino, che fino a quel momento era stata "la macchia bianca sulla carta geografica della chiacchiera. Qui si parlava cinese o niente. Qui c'erano soltanto opinioni cinesi. A Pechino non c'era nessun complesso di Edipo. A Pechino non si voleva sapere nulla del tardo Schopenhauer". E invece ... Tornando alle recensioni, mi sembra difficile che possano essere utilizzate come sostitutivo della lettura, dato che servono perlopiù da pretesto a chi le scrive Bi ioteca Gino Bianco per parlare quasi solo di sé. Esce un libro il cui autore è un amico o un ex amico e il recensore ne approfitta per darsi alle rimembranze: andiamo tanto d'accordo, andavamo tanto d'accordo, ci telefoniamo tutti i giorni, ci siamo tolti il saluto: interessantissimo, niente da dire. Inoltre, anche se le recensioni si occupassero realmente del libro, per essere utili dovrebbe esistere ancora la "chiacchiera" sui libri, che a me sembra ormai al tramonto. Recentemente in casa di ex lettori mi sono sentita completamente isolata non potendo, per mancata visione, dire la mia su una certa trasmissione televisiva, e quando ho cercato di spostare il discorso su un bel libro che avevo appena letto, sono stata ascoltata solo per educazione: un tempo avevamo lo zio matto che voleva suonare il violino - e via! glielo si lasciava suonare! - ora c'è quest'ospite con la "fissa" dei libri. Lasciamola dire e poi torniamo a chiederci: Celentano provoca o non provoca? Interessantissimo, niente da dire. Eppure, eppure, si comincia ad avvertire, anche se a uno stato ancora molto embrionale, una crisi di rigetto nei confronti dei sostitutivi del libro, TV e giornali, o meglio ancora supplementi dei _giornali (attenzione! Occorre aumentare il numero dei contenitori di rifiuti! Uno degli scorsi sabati mentre io vi gettavo "La Stampa", tenendo "Tuttolibri", contemporaneamente un passante vi gettava "Tuttolibri": ed ecco il quotidiano torinese interamente ricostituito, fresco di stampa, nel cestino, dal cui fondo occhieggiavano "ViviMilano" e "TuttoMilano"). Conto molto sullo snobismo di massa che dà addosso al vincitore: io non ci sarò probabilmente più, ma oggi riesco benissimo (prima no) a fantasticare su donne e uomini intenti a passare la serata in casa con un libro in mano, magari ascoltando come sottofondo la radio. Ma chiudo anch'io con le chiacchiere e torno al bel libro cui accennavo prima. Si tratta di Uccello della vita, uccello della morte (Serra e Riva, L. 22.000) di Jonathan Maslow, un naturalista americano che, in compagnia di un fotografo, fa un viaggio, con un visto di trenta giorni, in Guatemala, alla ricerca dell' "uc- . .celio della vita'', il mitico quetzal, simbolo, dal tempo dei maya, del paese, di meravigliosa bellezza e ora minacciato di estinzione (come quasi tutto il meglio). Attraverso questo viaggio pericoloso è tormentatissimo, Maslow ci dà, trasversa!- mente, un'immagine terribile del Guatemala roso dalla miseria, crivellato dalle mitragliate sparate a casaccio dagli squadroni della morte. Ecco ancora una volta ribadita la funzione insostituibile della narrativa: onestamente, chi di noi avrebbe il tempo o la voglia di sciropparsi un lungo saggio o un lungo documentario sul Guatemala? Grazie a questo "romanzo", siamo invece trasportati, con tutti i sensi vigili e la fantasia accesa, in quella terra sventurata. Dove il quetzal è praticamente estinto - Maslow riesce a intravederlo solo per un attimo - mentre sono onnipresenti gli zopilotes, gli avvoltoi, saldamente piantati sulla pattumiera guatemalteca ("la strada è la loro sala da pranzo"), nuovo emblema del suo presente e del suo futuro. Un libro da non lasciarsi sfuggire. Che cosa è successo a Gianni Celati? L'anno scorso avevo letto, con un certo qual imbarazzo e una certa qual noia i suoi racconti (Narratori delle pianure) e quando giorni fa ho letto Quattro novelle sulle apparenze, uscito il mese scorso da Feltrinelli, ho sentito il bisogno di andarmi a riguardare Le avventure di Guizzardi e La banda dei sospiri (Einaudi}, due dei suoi libri degli anni '70. Che romanzi incantevoli per invenzione, estro, comicità d'alto timbro! E ora? Ora a Celati è venuta la mania di "renderci perplessi": come se ce ne fosse bisogno! (mi viene in mente Tolstoj che diceva di Andreev: "Andreev vuol farci paura, ma noi abbiamo già paura!"). Per di più si interroga sui massimi problemi, quasi fosse-fossimo degli adolescenti che ancora si aspettano risposte (ogni tanto però ha ancora qualche scatto del Celati d'antan; per esempio nei rapporti padre-figlio, anzi tra un padre e "la bestia giovanile" del1 'ultimo racconto, Scomparsa di un uomo lodevole). "Ma mi faccia il piacere!" vien fatto di dire, con Totò, leggendo questo depresso Celati. Ma cordialmente, con anticastima che si vorrebbe poter ancora esternare a uno dei pochi nostri scrittori dotati, e originalri-1ente dotati. Si spera che ritorni a quel suo filone di sventata e irresistibile follia: altrimenti, come a pag. 116 delle sue Qua//ro novelle sulle apparenze: " ... Era una lettura noiosissima. Come dev'essere bello poter essere cosi noioso, dicevo. Cosi noioso che tutti ti abbandonano perché non trovano in te niente da scoprire, nessuna attesa di accadimenti imprevisti; ti guardano come una scarpa, un sasso o un albero ecc."

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