CINQUEPERCENTOSESSO UN VIAGGIOA MOSCA fan McEwan I nostri ospiti a Mosca (vestito, cravatta, calze e scarpe grigi) accolgono all'aeroporto la delegazione di "End" invitata dal Comitato Sovietico per la Pace osservando che dal nostro aspetto trasandato ci avevano subito identificato come i pacifisti inglesi che attendevano. La critica suscita nel nostro gruppo il dibattito di gran lunga più serio che si protrarrà per l'intera settimana. Il tema è: gli uomini di pace devono fare uso di un abbigliamento autorevole? L'impressione generale è che l'abbigliamento sottomesso ci porterà più lontano. Personalmente ne dubito. Che viaggiare renda la mente angusta è un fatto indiscutibile: i primi due giorni sono dedicati alla verifica degli stereotipi che i giornalisti hanno distribuito dal mazzo: lì vediamo una figura curva e isolata attraversare lungo un sentiero fangoso un'inesplicabile spianata desertica incorniciata da grattacieli; per le strade l'edonismo di bar, caffé o sale da té ha del tutto abdicato in favore di una serie di code ordinate; una misera vetrina mette in mostra abiti che sembrano spruzzati di una polvere speciale; la penuria di tergicristalli è appropriatamente compensata da una sovrapproduzione di cetrioli e di gelato alla vaniglia; gli interni sono sempre un po' meno illuminati del necessario e si ha l'impressione di avere qualcosa che scricchiola sotto i piedi; negli alberghi per turisti sono operanti tutte le più spudorate procedure per spremere valuta estera e le carte American Express sono molto ben accolte al bar infestato da finlandesi ubriachi. Questo potrebbe bastare. In più, nel nostro alb{!rgo- una festosa torta nuziale stalinista grande come una città, dove regna un lussuoso e cavernoso sfacelo (ma non c'è niente che scricchioli sui pavimenti)-, a ogni pianerottolo sono parcheggiate delle signore che, orologio alla mano, controllano le entrate e le uscite; la direzione, conscia delle aspettative, si è dedicata a rimuovere i tappi dai lavandini e a fornire sei fogli per volta di lucente, ottimistica carta igienica. Su queste basi, tutti i pensieri tetri del genere "come ce la faranno a resistere?" vengono esauriti nei primi due giorni, dopo di che si può passare a qualcos'altro. Mosca non è tanto male, per essere una grande città. Le strade principali sono ampie - solo un buon duecentista le può attraversare senza danni-, perciò c'è molto cielo. Il traffico è abbastanza sporadico, perciò c'è molta aria. Si può passeggiare ovunque, tutti forniscono le indicazioni sulla straI da con gentilezza, i taxi sono economici, la metropolitana ; è una serie di cattedrali sotterranee collegate da binari e !on- ' tano dal centro si trovano vie ornate di stucchi cadenti, molti alberi e splendide chiese in rovina, ora riconosciute come parte del retaggio e dunque meritevoli di cure. Ci sono chioschi dei gelati e ombrelli variopinti sotto i quali la gente si ripara dalla pioggia consumando uno spuntino - unico segno BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE visibile, per il momento, del nuovo pensiero. I segni udibili sono più consistenti: la parola perestrojka (quattro sillabe e mezzo) è su ogni bocca, sia ufficiale che dissidente, poiché ci troviamo nella primavera (pieno inverno) sovietica cioè, come ognuno può immaginare, nella stagione più adatta a un tale fenomeno. Ogni giorno sfrecciamo per la città a bordo di sgangherate berline per parlare di perestrojka (a proposito,dire glasnost è molto datato). All'interno di stanze confortevoli sediamo con i membri di vari Istituti Sovietici, i quali dissimulano dietro modi impeccabili la loro stanchezza di dovere intrattenere ancora un altro gruppo pacifista occidentale e il loro scarso gradimento verso il vestire sottomesso. D'altra parte, possono essere anche piuttosto duri. In un dibattito, così il presidente introduce il suo discorso: "Qui in Unione Sovietica abbiamo più democrazia di voi e ora ne vogliamo di più ... " Poi, mi rivolge uno sguardo attraverso il tavolo: "E lei la smetta di guardarmi in quel modo!" Un elevato piano morale è da loro raggiunto molto in fretta: ci ricordano le "loro" varie iniziative unilaterali, compresa la moratoria sugli esperimenti nucleari. Perché "andiamo" con i piedi di piombo? Perché "stiamo" facendo tutta questa confusione sulla opzione doppio zero? "Siamo" tanto attaccati alle armi nucleari? Inizialmente abbassiamo la testa: si tratta delle stesse spiacevoli domande cui ci piacerebbe rispondere. La contrizione, però, ci rende presto irritabili; posso vederlo negli altri e sentirlo in me stesso. Non è forse questo, più o meno, l'ordine politico, economico e militare che ha permesso uno Stalin? E non è forse adesso, e per sua stessa ammissione, un sistema antidemocratico, inefficiente, paranoide e intollerante (perché, se no, avrebbe bisogno di una così vasta ristrutturazione?) Una lieve titubanza da parte occidentale non è una cosa comprensibile? Con grande forza, mi sembra, cozziamo contro il recinto esterno del nuovo pensiero. A proposito del cambiamento in Europa orientale, ci viene ricordato che Solidarnosc era manovrata dalla CIA e che, in ogni caso, non è stata mai un movimento di massa; che l'esercito sovietico, animato da sentimenti amichevoli, entrò in Cecoslovacchia rispondendo all'urgente appello del proletariato ceco; che, infine, l'insurrezione ungherese era pericolosamente controrivoluzionaria. Noi tutti cominciamo a essere un po' meno gentili e ognuno per questo si sente un po' più felice. La perestrojka, infatti, è una strana cosa: le idee occidentali sulla liberalizzazione non possono esserle applicate. Qui abbiamo una democratizzazione ordinata dall'alto, dunque paradossale: è un concetto rivoluzionario, uno squillo di tromba nel vecchio stile leninista. Continuamente si sente fare riferimento ai "nemici della perestrojka", ma può suonare troppo formale: un redatto~e c'informa che le sua rivista una volta pubblicava solo poesie e racconti da buttare nella spazzatura, mentre adesso P~~- blica solo cose eccellenti. La perestrojka può essere co~rciuva. Un membro del Comitato Sovietico per la Pace Cl rac13
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