DISCUSSIONE le preferenze rispetto ai criteri di organizzazione e fruizione del tempo libero. È qui che "la Repubblica" vince su tutta la linea: nell'orientare attraverso le pagine della cultura, quelle dell'informazione musicale e cinematografica, radiotelevisiva e teatrale, quelle di cronaca e di "vita moderna" (e il loro ridondare su tutto il giornale) l'atteggiamento intellettuale di un segmento di lettori decisamente qualificato. Qualificato perché ad alto tasso di istruzione e di informazione, dotato di una quota notevole di competenza politica e di passione attivistica, di disponibilità al "nuovo" e al "cosmopolita" ma, insieme, convenzionale nell'approccio verso la politica e la cultura. Altrove ("Il piccione viaggiatore" numero I, 1986) ho individuato il paradigma sociale di quella figura nel "militante della CgilScuola di Ancona": una esemplare combinazione di residuale (spesso solo verboso) impegno politico, eclettismo culturale e reducismo come civetteria e come tic nervoso. Il tutto intrecciato a una appassionata dedizione alla "modernità" e alla "post-modernità": un erratico e nevrotico sbandare tra le mediocri frustrazioni del Bobo di Sergio Staino, l'ipocondria da bar di Guido Ceronetti e l'ottimismo ilare di Marisa Bellisario. Grazie a questo peregrinare, il "militante della Cgil-Scuola di Ancona" si è trasformato nel "militante di Repubblica" (senza, necessariamente, dimettersi dal sindacato di categoria). Ora, sulla sua mostruosa fisionomia a patchwork - resa permeabile da una identificazione di gusti e di preferenze con il modello culturale fornito dal giornale nel suo complesso (a proposito di Ilona Staller e del proibizionismo in materia di droghe, della rivolta di Porto Azzurro e della questione del garantismo) - agisce potentemente la "chiamata alle armi" nel Golfo Persico. E trova singolare disponibilità. Per un motivo, innanzitutto: perché quella "chiamata" ricorre a motivazioni e a un linguaggio anch'essi puntualmente coerenti con il modello culturale prima citato. Questi, in sintesi, i processi che vengono attivati: a) Meccanismo "Scurdammoce 'o passato". Quella figura sociale prima tratteggiata è sensibilissima alle operazioni di deformazione-ridicolizzazione di ciò che si è fatto e di ciò che si è stati. Una posizione (poniamo, antimilitarista) viene più agevolmente abbandonata se risulta inchiodata a una scenografia logora, verso la quale si nutrono com.plessi e imbarazzi. Ci si può vergognar più leggiadramente dell'antimilitarismo pregresso se si accetta che venga identificato con le biciclette bianche, i provos olandesi e Umberto Napolitano - Gianni Morandi ("C'era un ragazzo che come me ... "). b) Meccanismo più realista del re. L'ansia del neofita, notoriamente, produce eccessi di zelo e sbracamenti. Se il sincrono è un irrisolto rapporto col proprio passato, l'auto-terapia ha da essere, giocoforza, traumatica. Il sostegno alla spedizione nel Golfo diventa, 'bliotecaGino Bianco allora, una opzione ideologica, una scelta di valore, una dichiarazione di schieramento - al di là, persino, di qualunque considerazione politico-diplomatica e di qualunque valutazione strategica. e) Meccanismo Hi Tech, ovvero dell'Efficienza. Il militante di "Repubblica" che crede di dover riscattare (e farsi perdonare) un passato di sciatteria e pressapochismo, ha assunto la tecnocrazia come valore primario. E ritiene, probabilmente in buona fede, che l'efficienza sia quella di Cesare Romiti e degli Stati Maggiori. La spedizione nel Golfo gli appare, dunque, come una felice combinazione di decisionismo politico e di tecnologia bellica, di studi ali' Accademia di Modena e di giochi di simulazione. L'importanza di questi meccanismi, in apparenza così "sovrastrutturali", consiste nel fatto che - agendo Sll un piano non immediatamente politico - incontrano meno resistenze e difese. D'altra parte, la loro efficacia è misurata sull'identità dei destinatari, indifferenti (se non ostili) a un messaggio convenzionalmente patriotticomilitare; ma sensibilissimi, lo si è detto, a tutto ciò che si propone come "innovazione" culturale e di mentalità. È su quello "sfondo" di un senso comune di sinistra - prima banalmente pacifista e, poi, giocondamente interventista e tecnocratico - che passa il messaggio bellico delle lobbies politiche e militari. Ciò può accadere perché quel senso comune poggia sul vuoto. O meglio, su.due buchi. Primo buco: l'assenza nel nostro paese di un pensiero politico non violento e antimilitarista, dotato di un seguito di massa. Quei pochi che si sono mossi in tale direzione (Capitini, Pontara, Don Milani), hanno costituito delle eccezioni talmente singolari da essere rimosse, con nonchalance, da una ideologia di sinistra tutta insurrezionalista - bellicista. Di conseguenza, la cultura marxista, così come quella riformista e, per converso, quella cattolica, hanno ignorato quegli apporti critici e hanno fatto il deserto intorno a loro, relegandoli in una dimensione "pre 0 politica". Il Partito radicale, eh.e ha avuto il grande merito di raccogliere parte di quella tradizione teorica e culturale, ha scelto - da un certo momento in poi - di trascurare le forme "di movimento" (di azione collettiva) che quell'ispirazione iniziava ad assumere; e ha, piuttosto, privilegiato una interpretazione della nonviolenza come tecnica di pressione, individuale ½ di piccolo grupc po, immediatamente finalizzata a una proiezione istituzionale. Secondo buco: l'assenza nel nostro paese di un'analisi scientifica della "questione militare". Solo di recente, grazie al lavoro di Fabrizio Battistèlli e del suo '' Archivio disarmo", si è iniziato a studiare il '.'complesso militareindustriale" italiano. In assenza di una tale analisi e di una riflessione, ancora tutta da fare, sul nesso pace - sicurezza e sul sistema di rapporti nord-sud, è inevitabile che l'antimilitarismo
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