Linea d'ombra - anno V - n. 21 - novembre 1987

DISCUSSIONE "E così, inopinatamente, è successo che, nel corso del mese di settembre, l'Italia vivesse la sua stagione bellica. Non ancora la sua Epopea Militare, ma ci si è andati vicini." ambienti colti, statistiche ufficiali da cui risulta che negli ultimi anni il numero percentuale di omicidi in USA è di ventisei volte quello degli omicidi in Francia. Nessuno sembra fare qualche collegamento fra il sistema economico e culturale e questi dati di fatto. La legalità e la morale di una classe dirigente possono essere rifiutate e condannate dai subalterni nel momento della ribellione, in nome di una nuova legalità e di una nuova morale. Ma quando una classe dominante afferma per metodo due verità opposte, vive ed opera in un sistema di doppia verità, non si definisce come classe dirigente. Priva essa stessa di valori da trasmettere, non è in grado di intraprendere alcuna opera di educazione dei governati. Ma essa ha bisogno di ottenere comunque l'obbedienza. Allora viene propagandato il conformismo - cioè l'osservanza esteriore di determinati comportamenti dichiarati ammessi o doverosi, acriticamente, e solo in quanto vengono definiti tali da chi organizza la produzione e dai suoi pubblicitari. Si sviluppa fra i governati un infantilismo dogmatico, accompagnato da una sorta di logica duale, per cui a qualsiasi domanda la risposta è sempre e solo sì o no, come nei test sociologici o attitudinali, c'è sempre un comportamento giusto e uno sbagliato, a proposito di qualsiasi cosa grande o piccola. È vanificato il concetto stesso di libertà individuale, con la mitomania dei modelli. Il gusto è ridotto alla moda (in corrispondenza alla mercificazione universale). Qualsiasi tuo comportamento, ove non ne riproduca altri, è equiparato alla proposizione di un modello: si dà per implicito il tuo rifiuto, in altri, di comportamenti diversi nelle medesime circostanze. La ricerca del conformismo supplisce all'incapacità a orientarsi secondo principi soggettivi, giacché alla gente non viene trasmesso alcun valore, ad eccezione dell'obbligo di non essere diversi dagli altri. È evidente che, in queste condizioni, l'istanza dominante non può essere quella etica universale. E tuttavia continuo a dissentire da chi propone appelli generici a destinatari generici: anche se i contenuti degli appelli coinvolgono gli interessi primari degli uomini in quanto tali, indipendentemente dalla loro collocazione sociale - come quando si tratta della salvezza della vita sul pianeta. Perfino un'azione senza speranza deve avere i caratteri dell'efficacia, della non astrattezza. Allora - il cerchio si chiude - la libertà estrema e astratta, che è pure il vuoto, dipende dall'assenza di un soggetto dirigente, formatore e autoformatore, e di ben definiti ceti di governati, destinatari della formazione e costruttori alla base del sistema stesso che dà loro forma. Anteporre il discorso sui valori alla costituzione di una realtà sociale è velleitario. Oggi come oggi, mi sembra che il solo compito da assumere, come ceti colti, uomini di buona volontà, sia qualcosa Biblioteca Gino Bianco di analogo a quanto fecero i monaci medioevali: conservare ostinatamente la memoria, affinché il patrimonio accumulato nel passato possa tornare utile in un domani non impossibile, se pure estremamente incerto. I BELLICOSI Luigi Manconi E così, inopinatamente, è successo che, nel corso del mese di settembre, l'Italia vivesse la sua stagione bellica. Non ancora la sua Epopea Militare, ma - va detto - ci si è andati vicini. I grandi apparati della comunicazione e della formazione di senso comune, quegli opinion makers autoritari e suadenti costituiti dalle prime pagine dei quotidiani e dai titoli dei telegiornali, sono stati quasi unanimi nel comunicare un messaggio e un clima inequivocabili. In estrema sintesi, questo il loro senso: la spedizione militare nel Golfo Persico è politicamente motivata e razionale; l'opposizione alla spedizione militare è immotivata e irrazionale. A dirigere questa "campagna d'opinione" è stato - come prevedibile - il quotidiano "la Repubblica", e già questo fatto merita una ri- ·. flessione. Come prevedibile: si tratta, infatti, dell'esito finale di un processo estremamente lineare e coerente che muove da lontano e che rivela, sullo sfondo e alle radici, un'opzione culturale talmente solida e articolata da assumere la forma di una vera e propria "ideologia italiana". Ma perché concentrare il discorso su "Repubblica"? Ovvio. Proprio perché la sua straordinaria forza, direi la sua potenza, fa di esso uno strumento unico di comunicazione e di orientamento delle idee; e perché, soprattutto, lo strato più sensibile e attivo del suo target è costituito da gente "che conosciamo bene". Vale a dire, proprio da "noi". Uno strato che ha avuto con "Repubblica" un rapporto definibile "di militanza" - richiesta di identificazione, domanda di riconoscimento, aspettativa di mobilitazione ideale e civile-, fino a quando l'emergere compatto della "linea politica" del quotidiano non ha reso conflittual~ quel rapporto (senza, peraltro, intaccarne l'intensità). E rimasto - fortissimo - il residuo più tenace della sindrome militante. Vale a dire la frustrazione: un grado di delusione nei confronti delle attese avvilite (posizioni non con: divise, scelte impreviste, mutamenti di rotta) che SI riscontra solo nel rapporto altrettanto "militante" che c~rre tra "l'Unità" e "Il Manifesto" e i rispettivi lettori. E tuttavia, l'investimento politico-emotivo non _siesauriva: subiva un classico processo di spostamento. S, conc~ntrava, dunque - se possibile, con ancor più trepido affidamento - sul piano del gusto. Di quel gusto, p_er ~a~recisione, che governa i consumi culturali, gli stlh di vita, 9

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