l'sUVt:Mtll<t: IYtj/ - NUMt:KU "LI LIRE 6.000 mensile di storie, immagini, discussioni
PrimoLevi OpereI Se questo è un uomo, La tregua, Il sistema periodico, I sommersi e i salvati. I libri che hanno fatto di Levi un «classico» contemporaneo. Introduzione di Cesare Cases. Con una cronologia a cura di Ernesto Ferrero. «Biblioteca dell'Orsa», pp. LXV-827, L. 42 000 MichaelKruger PerchéPechino? Due romanzi brevi sui professionisti della culturaspettacolo e sulla società della chiacchiera. Traduzione di Silvia Bortoli. «Supercoralli», pp. 150, L. 15 ooo Nella collana «Scrittori tradotti da scrittori» grandi interpreti per grandi classici: Lavitadellaforesta diW.H.Hudson nellatraduzione diEugenioMontale A cura di M. A. Grignani e di Rossana Bonadei. pp, 342, L. '18 000 io eca Gino 1anco I trelibridiTartarino diAlphonseDaudet nella traduzione di Aldo Palazzeschl Con un saggio di Antonio Faeti sul «mistero Daudet». pp. 610, L. 24 000 JackLondon LacrocieradelloSnark Una avventura vera: London, marinaio improvvisato, attraversa il Pacifico a vela. Traduzioni di M. L. Giartosio de Courten e Piero Arlorio. «Gli struzzi», pp. 261, L. 12 ooo L'artedellacucina inItalia A cura di Emilio Faccioli La civiltà della tavola dal '400 all'8oo nei libri di ricette. Ingredienti, tecniche, gusti, riti, mentalità: quasi un capitolo di storia d'Italia vista attraverso l'arte gastronomica. «I millenni», pp. xxxiv-878, L. 70 000 GernotGruber LafortunadiMozart Due secoli di ricezione mozartiana, dal mito che avvolge il Requiem adAmadeus. Traduzione di Mirella Torre. «Saggi», pp. x1-265, L. 26 ooo ErnstH.Gombrich Antichimaestri, nuoveletture Giotto, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Giulio Romano reinterpretati alla luce delle piu recenti acquisizioni. «Saggi», pp. 200, L. 30 ooo Storiad'Italia. Leregioni LeMarche a cura di Sergio Anselmi Dall'universo della mezzadria all'odierna realtà dei distretti industriali, la vicenda esemplare di una regione che ha saputo uscire dalla marginalità. «Biblioteca di cultura storica», pp. xxx-876 con 50 tavole fuori testo, L. 95 ooo Modellidicittà Strutture e funzioni politiche A cura di Pietro Rossi Una storia comparata dei diversi modelli di città, considerati sotto il profilo politico, dal mondo antico a oggi, nei vari continenti. «Biblioteca di cultura storica», pp. xx1-581 con 22 il!. nel testo e 25 tavole fuori testo, L. 60 ooo Per i ragazzi: GianniRodari GliesamidiArlecchino Nove testi teatrali nati da un esperimento che ha coinvolto genitori, insegnanti, uomini di spettacolo e gli stessi bambini. «Gli struzzi», pp. 189, L. 10 ooo RobertoPiumini Lostralisco L'amicizia tra un pittore e un bambino: una storia che ha il profumo della vera poesia. Illustrazioni di Cecco Mariniello. «Libri per ragazzi», pp. 85, L. 14 000
-- CHISENEINTENDE ======== --- LOCHIAMAVA ========== "ILDEVOTO-OLI" ' -- ORALOCHIAMERA-- "ILNUOVODEVOTO-OLI" --- ELOTROVA--- - NELLEMIGLIORILIBRERIELa tradizione che si rinnova, che muta ... per rimanere fedele a se stessa. Grazie a un lungo e accurato lavoro di Gian Carlo Oli, coadiuvato da un'autorevole équipe di docenti universitari, di esperti delle varie discipline e di artisti di valore, vede oggi la luce questa nuova, preziosa e indispensabile opera in 2 volumi. NUOVOVOCABOLARIOILLUSTRATO DELLALINGUAITALIANA 150.000LEMMI, 6.740ILLUSTRAZIONI,96 TAVOLEA COLORI PERESSEREIN SINTONIACONLAREALTÀLINGUISTICAE CULTURALEIN CUIVIVIAMO ALSERVIZIODELLALINGUAITALIANA Biblioteca Gino Bianco L
Per chi scrive Giornalisti, saggisti, romanzieri, traduttori, possono dimenticarela vecchiamacchina da scriveree adottare Macintosh (Macintosh Plus™, Macintosh SE™, Macintosh II™) come nuova tastiera, archivio, agenda personale, biblioteca, terminal~~er comunicare con le banche dati d1 tutto il mondo, posta elettronica ("Salve Hans, traducimi questo pezzo al più presto, quando torno 'sta sera a casa vorrei trovare la traduzione sul mio video.") "Ciao Marina, ho trovato due locali ok - zona Brera ti lascio la piantina sul video, fammi sapere cosa ne pensi, love Roberto") - Intanto Macintosh TM immagazzina pagine su pagine, corregge quante volte si vuole, sillaba i testi automaticamente, impagina con la rapidità del fulmine. Lasciando spazio a foto, titoli, didascalie. E poi costruisce in tempo reale grafici, tabelle, box, pubblicità. Premete il tasto di "Stampa" e il vostro ultimo racconto esce già definitivamenteimpaginato per andare dal tipografo. Macintosh conserva nella sua memoria centinaia di pagine. Ma anche migliaia, se vi occorre. Il nuovo Macintosh li è la macchina più perfezionata per la gestione di grosse quantità di dati, sia in termini di capacità che in Bibl1oleèa 0t~ino Bianco Voletetrasformarv Per gli editori Macintosh™ è il computer "da scrivania" che fa diventare tutti editori. Appie®EDIT (Macintosh TM è il pezzo centrale del sistema) fa tutto il lavoro di composizione, correzione e impaginazione. Appie®EDIT è il più affermato sistema di editoria elettronica esistente, in grado di realizzare qualunque tipo di documento o stampato, dalla bozza inizialealla stampa finale: libri, riviste, cataloghi, manuali, relazioni, listini, ecc. Appie®EDIT taglia tutti i passaggi intermedi fra lo scritto e la pellicoladefinitiva da mandare in stampa. Concentra sul suo schermo tutte le funzioni: battitura, correzione bozze, menabò, impaginato iniziale, controllo impaginato, tagli, aggiunte, impaginato definitivo, montaggi... Insomma nessuna lavorazioneda fare fuori azienda e quindi costi di produzione ridotti all'osso. Il sistemaAppie®EDIT offre tre modelli di computer da scrivania: Macintosh Plus, Macintosh SE e Macintosh li, più la sofisticata stampante Laser Writer™ a tecnologia Laser in grado di stampare con ben 35 Macintosh Plus, trasforma in "editori e/e/Ironici" seri/lori, tradul/ori, giornalisti, copy writer, ma anche intere redazioni, caporedallori, grafici, creativi, art-director, fotocomposi/ori, tipografi ... caratteri tipografici diversi qualunque lay-out definitivo su carta, pellicola, buste, etichette... Per pubblicitàe grafica Macintosh™ è il mezzo in assoluto più versatile e veloceper partire da un'idea "creativa" e ·.......................................•••• ·····················································-
in editorielettronici? arrivare al lay-out finale. "Head line", "body copy", marchi originali, stili, cprpi, elaborazioni grafiche, disegni, retini, vengonogestiti tutti sullo schermo di Macintosh ™ (anche a colori) con una facilità e una immediatezzainimmaginabiliper un grafico pubblicitario, un copywriter o un creativo in genere abituati a una notevole dipendenza da fornitori esterni. Prime stesure di testo, lay-out provvisorio, simulazionedel testo, reprocamera, montaggi, bromografo, negativi, typon, forbici, strisciate, colla, tipometro, sono tutti momenti e strumenti che vengono dimenticati. Macintosh compone testi, elabora corpi, crea logo, cambia in tempo reale giustezza, stili, impaginazioni, ingrandisce, rimpicciolisce,corregge, disegna a due e tre dimensioni e alla fine fornisce le pellicoledefinitive per la stampa (anche a 4 colori). La s1ampan1e LaserWriler: in poche ore lui/o un numero come queslo di Linea d'Ombra già pronlo in pellicola da ponare in lipografia. Il sistemaAppie®EDIT Macintosh è ormai una scelta affidabile e sicura, come testimoniano le migliaia di aziende presso le quali è già in uso (nel mondo ne sono stati comprati oltre I milione, forse anche per via del suo accessibilissimoprezzo: dai 3 ai I O milioni di lire a seconda del modello scelto). Documenti e programmi sono infatti raffigurati da "icone", cioè immagini stilizzateche riconosceretea prima vista: cartellette per gli scritti, blocknotes, archivi, calcolatrici, un cestino per la carta. Anche il linguaggiousato per i comandi vi sarà familiare. Tutti i comandi infatti sono scritti in italiano e sulla scrivania un dispositivochiamato "mouse" (puntatore) selezionaper voi i programmi, apre i documenti, aziona le procedure. Scoprirete come sia possibile pilotare uno dei computer più potenti con i gesti più istintivi: e così in poche ore si impara ad usare un programma pronti per capire il successivo. Ma Macintosh è anche un sistema aperto: in rete si possono collegare senza speciali interventi fino a 32 sistemidiversi. Inoltre inserendo un'altra scheda viene aperta la comunicazionecon praticamente qualsiasi altro "mainframe" o minicomputer: IBM, Digitai, Data Generai, Hewlett-Packard, Prime... Tutto questo è Appie®EDIT. Vi pare poco? A noi no. Ma se volete sapere tutto su Appie®EDIT venite alla CAT ("Computer Advanced Technologies" di Milano) l'Appie Center che ha fornito e installato i Macintosh alla redazione di "Linea d'Ombra". COMPUTER ADVANCED TECHNOLOGIES Via San Vittore, 6 20123 Milano tel. (02) 87.19.46
Franua F ldini Goffredo Fofi 400 pagine e100 fotografie, molte delle quali . rarissime. · TULLIOPIRONTIEDITORE I I L'unico vero, grande scrittore postmoderno Jay Mc lnerney Bizzarro, brillante, toccante, e serio come la morte. Ti ferma il cuore, come se stessi sentendo il rumore di un enorme ghiacciaio che comincia a rompersi. The New York Times DAVID YALLOP 10IUl~IL1(;111()1[2~1( i~,I~1r1rI~~,~,o 11)1111:21111)1 La storia di Fatty Arbuckle Ma in un giorno di settembre del 1921 cessarono le risate. D'un colpo, quello che· era-stato un éH· vertimento innocente, ven;ne.. de• nunciato co_me « un'altra orgia di ubriachi a Hollywood », ovvero cc un altro sconvolgente ·esempio di depravazione sessuale». BUSTER KEATON TULLIOPIRONJIEDITORE ~ MAURIZIODIGIACOMO CHE COS'È L'OPUS DEI: UNA « MASSONERIA BIANCA:»? UN'ORGANIZZA- .ZIONE ANALOGA ALLA SCIOLTA - i, P2 »? OPPURE UNA FORMA DI... IN APPENDICE IL' FINORA SCONOSCIUTO « SUMMARlUM » (TESTO LATINO TRADOTTO A FRONTE) DELLE «COSTITUZIONI» DEL 16 GIUGNO 1950 E IL «CODICE» DI DIRITTO PARTICOLARE TULLIOPIRONTIEDITORE
Direuore Goffredo Foti Gruppo redazionale Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Beoni, Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Cesare Cases, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Franco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Stefano De Matteis, Bruno Falcetto,. Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacché, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lerner, Claudio Lolli, Marco Lombardo Radice, Maria Maderna, Luigi Manconi, Danilo Manera, Edoarda Masi, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Gianandrea Piccioli, Bruno Pischedda, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Gianni Volpi. Direzione editoriale Lia Sacerdote Progetto Grafico Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche Fulvia Farassino, Nino Perrone Pubblicità Emanuela Merli Via Giolitti, 40 - l0123 Torino Tel. 011/832255 Hanno inoltre collaborato a questo numero: Adelina Aletti, Pasquale Alferi, Antonio Aliverti, Carlo Cavallone, Roberto Cazzola, Camilla Cederna, Paola Costa, Giorgio Ferrari, Silvio Guarnieri, Pii in Hutter, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Grazia Neri, Laura Novati, Emanuela Re, Alfredo Salsano, il Teatro Pier Lombardo di Milano, il Teatro Viaggio di Bergamo, la Warner Bros. italiana, la rivista inglese "End Journal" e le librerie Feltrinelli di via Manzoni, Milano Libri, La nuova corsia di Milano. I saggi e interventi di carallere scientifico vengono pubblicati con il concorso del "Proget/o Cultura Monledison". Edilore Linea d'Ombra Edizioni srl Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Tel. 02/6690931-6691132 Forocomposizione e mon1aggi multiCOMPOS snc Dislribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. Via Famagosta, 75 - Milano Telefono 02/8467545-8464950 Distribuzione nelle librerie POE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 S1ampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco (Ml) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA mensile di slOrie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo Ill/70% Numero 21 - Lire 6.000 Abbonamenti Abbonamento a 10 numeri: ITALIA: L. 50.000 da versare a mezzo assegno bancario o cl c postale n. 54140207 intestato a Linea d'Ombra ESTERO: L. 70.000 I manoscrilli non vengono restituiti. Si risponde a discrezionedella redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesra. BibliotecaGino Bianco ,LINDE'AOMBRA anno V novembre 1987 numero 21 Sommario EDITORIALI 6 9 11 13 Edoarda Masi Luigi Manconi Goffredo Fofi fan McEwan Conformismo o memoria I bellicosi Oltre il Vietnam Cinque per cento sesso. Un viaggio a Mosca ILCONTESTO 15 Horror {S. Benni), Consigli/Sconsigli {G. Cherchi), I numeri {D. Fa, A. Sofri), Teatro {F. Gambaro), Musica {A. Baricco), Arte {A. Negri), Dai lettori {M. Sangiorgi, R. Rosa), Antologia {S. Kubrick). POESIA . 58 60 Bianca Tarozzi Tiziano Rossi Dentro (Studio dal vero) Miele e no STORIE . 25 29 44 46 67 68 69 Stanley Kubrick, Michael Herr, Gustav Hasf ord da Full metal jacket a cura di Mimmo Lombezzi Legione straniera C. Drummond de Andrade Racconti plausibili Andrea Zanzatto Sull'altopiano. Quattro racconti. Giovanni Guaita La capra Raul Montanari Azzurro Sergio Atzeni Araj dimoniu (prima pane) NARRARLEASCIENZA 33 Leo Szilard li mio processo come criminale di guerra INCONTRI 37 51 Friedrich Durrenmatt Cesare Garbali li caso, la scienza, la legge a cura di Klaus Davi Saturno o della misantropia a cura di Luca Coppola e Giovanni Dellerchi SAGGI 54 62 76 78 79 Jean Améry Mario Corona Giulio Ferroni Simone Weil al di là della leggenda La produzione del nuovo. Note sulla narrativa americana degli anni Ottanta. Strade per la "ragione critica" La copertina di questo numero è di Andrea Rauch, da una foto di lavorazione di Full metal jacket (Warner Bros.). La redazione consiglia Gli autori di questo numero
DISCUSSIONE tONFORMISMO O MEMORIA Edoarda Masi A una visione ravvicinata e partecipe, il periodo che va dagli ultimi anni cinquanta ad oggi appare suddiviso in brani fortemente differenziati gli uni dagli altri:. fine della guerra fredda e boom economico, risveglio dell'opposizione operaia e intellettuale, era del benessere e delle rivolte giovanili, restaurazione e anni di piombo, fino alla incosciente ed ilare stagnazione del presente. Ma se tentiamo, per quanto ci è possibile, di osservare l'intero periodo in uno sguardo d'insieme, riusciremo forse a riconoscere in quei diversi momenti lo svolgersi di un processo unico e abbastanza coerente: nell'ambito del quale è avvenuta la progressiva liquidazione nella coscienza collettiva di un insieme complesso di strutture istituzionali e di sistemi di valori che, vecchi di cinquanta o cento o duecento anni, erano sembrati consolidarsi nel primo dopoguerra. . Da qualche tempo, ambienti e persone non incoscienti né ilari sono presi dalla preoccupazione per lo smarrimento di valori comuni alla società intera, o all'una o all'altra parte di essa. Non mi riferisco al lamento degli ambienti conservatori e clericali a proposito del "dissolvimento dei valori morali": è un lamento perpetuo e settario, e come tale irrilevante. Penso invece alle sfere dell'ex sinistra e del ceto pedagogico, le quali darebbero per scontato l'avvicendarsi di differenti sistemi di valori; ma non vedono oggi neppure l'embrione di una alternativa credibile al sistema dissolto o in dissolvimento. Ecco allora gli appelli lanciati in varie direzioni da intellettuali di buona fede e da sindacalisti non corrotti: per un rinnovamento (e pulizia) radicale dell'amministrazione pubblica; per una corretta e rapida amministrazione della giustizia; perché la scuola riacquisti una funzione e una funzionalità; per la rinascita fra i lavoratori dei legami di solidarietà e di fraternità e della mozione all'uguaglianza ... Sono appelli moralizzatori, nessuno oserebb~ negarne la ragionevolezza. Eppure suonano conservaton e gratuiti. Quasi che, nel vuoto del pr~s.ente, non re_st_asse che aggrapparsi a frammenti di venta della trad1Z1one intellettual-piccoloborghese, operaia, cattolico-popolare. Questi appelli non trovano eco attiva neppure fra quanti vi consentirebbero, perché non si richiamano a una omogeneità di interessi e non sono formulati da gruppi sociali consapevoli di tale omogeneità. Dovremmo cominciare col domandarci che cosa intendiamo per "formazione". La moda corrente tende a identificare questo concetto con quello di acculturazione - e cioè di distribuzione al popolo dei sottoprodotti facilmente digeribili della cultura "alta", organizzata secondo alcuni modelli prefabbricati. Questo modo d'intendere la forBibiiOÌeCaGino Bianco mazione è in contrasto con l'altro, di trasferire al pç,polo quanti più possibile gli elementi della cultura "alta", stimolandone lo sviluppo della coscienza di sé e del contesto circostante. Questi due modi derivano entrambi, direttamente o indirettamente, dalle concezioni illuministiche; corrispondono a orientamenti politici opposti, ma hanno in comune l'idea che la cultura "alta" si formi a sua volta presso minoranze illuminate, che appunto del possesso e della diffusione della cultura facciano in qualche modo una professione. Se guardiamo a qualche esempio di formazione di grandi classi dirigenti, in epoche e paesi diversi, troviamo un quadro del tutto diverso. Il ceto che detiene o conquista il potere economico, politico, militare si propone come classe dirigente (e non solo dominante) in quanto capace di porre a sé fini che a un tempo confermino e trascendano i propri interessi di classe, facendosi portatore di valori sociali universali. Penso alla classe dei letterati cinesi; o alla nobiltà del nostro medioevo, alla borghesia (incrociata con l'aristocrazia) inglese, alla borghesia nordamericana delle origini (la quale ultima era sì influenzata dal pensiero illuminista: ma stiamo ora considerando il metodo, non i contenuti). La capacità dirigente si traduce nell'opera di educazione nei confronti dei governati, nella trasmissione di valori etico-sociali, nella elaborazione e diffusione di cultura. II sistema culturale, inteso come sistema di valori, è lo stesso per i governanti e per i governati: differente è il ruolo rispettivo. Il senso fondamentale della formazione degli appartenenti alla classe dirigente sta nella loro capacità formatrice nei confronti dei governati. Ai quali perciò non è concepibile fornire una cultura di sottoprodotti; nello stesso tempo, la diversità dei ruoli esclude il trasferimento al popolo del livello culturale alto. L'unità, pur nella differenziazione di ruoli e di livelli, è possibile perché i contenuti culturali fondamentali non sono di ordine scientifico ma di ordine etico. Le nozioni trasmesse ai livelli inferiori possono essere in quantità limitata, ma è indispensabile che siano interpretate da e incluse in un sistema di valori. A chi parta dai presupposti illuministici, il vuoto del presente, la perdita di memoria collettiva consumatasi in poco più di un ventennio - l'incapacità di .guardare al passato e al futuro-, l'assenza di progetto comune che fondi e motivi il lavoro individuale sembrerebbero denunciare in primo luogo una debolezza radicale del ceto pedagogico nella sua funzione mediatrice fra chi dirige la società e la massa della gente, i ceti popolari, le generazioni successive. Ma se si esce dai limiti della cultura illuministica, e soprattutto dal suo peggior derivato - lo scientismo - si scopre che le colpe eventuali, o l'inadeguatezza, dei mediatori sono secondarie. Ed è giocoforza risalire alla non riuscita formazione di una classe dirigente in Italia. La cosa è riota, complessa, ne sono state date diverse interpretazioni,
DISCUSSIONE "Da qualche tempo, ambienti e persone non incoscienti né ilari sono presi dalla preoccupazione per lo smarrimento di valori comuni alla società intera, o all'una o all'altra parte di essa." e non è il caso di riprenderle qui. È pure nota, nelle condizioni di una borghesia imprenditoriale assente, o debole, o stracciona, la funzione vicaria assunta per un secolo e mezzo dai letterati e poi dagli intellettuali, ai fini della formazione di una coscienza nazionale italiana. Con le conseguenze negative che ne sono derivate. Negli anni venti e trenta, parallelamente all'affermarsi della borghesia imprenditoriale quale classe dominante, il tentativo di trasformarla infine in classe dirigente si presenta come una medaglia a doppia faccia - fascista e antifascista. Il tentativo fu opera delle sfere intellettuali superiori, con le loro due facce (e col passaggio dei singoli individui, a volte, dall'una all'altra. Con la formazione, negli anni trenta, di una cultura fascista-antifascista). Ma politicamente vincenti per vent'anni sono stati i fascisti, e la prima "modernizzazione" l'hanno fatta loro. Dopo la seconda guerra, c'è stata la parvenza di un rovesciamento-continuità: il prevalere della faccia antifascista delle sfere intellettuali superiori, l'inveramento della rivoluzione liberale. Questa parvenza è ancora l'abito, ormai scolorito, indossato dalla nostra democrazia. In realtà la rivoluzione liberale era stata sconfitta prima di nascere, con la morte di Gobetti e dei Rosselli. Era una immaginazione velleitaria, là dove intendeva essere realmente il rovescio del fascismo e pretendeva rompere alle radici sociali una continuità. Consapevoli di questo sono stati i comunisti. La grande operazione togliattiana mirava a trasferire su un altro soggetto sociale l'onere della trasformazione storica, ed a formare una nuova classe dirigente con i caratteri voluti dai rivoluzionari liberali per la borghesia imprenditoriale, ma attribuiti ora alla classe operaia, a guida di tutti i ceti popolari. L'operazione - la sola con prospettive ampie nell'Italia contemporanea - è stata però inquinata da una serie di fattori negativi, soprattutto internazionali. D'altra parte, nella formazione della III Internazionale il peso politico maggiore era stato della Russia: dove, ancor più che in Italia, in luogo di una (inesistente o debole) classe dirigente borghese, con i suoi valori universali e la sua cultura, la funzione formatrice centrale era stata assunta in proprio dall'intelligencìja. Questa condizione aveva favorito, nella pratica e nella teoria leniniane, la costruzione di un partito-intellettuale collettivo, dirigente-vicario della (in Russia debole, e poi quasi scomparsa dopo la guerra civile) classe proletarfo in ascesa. Nella situazione italiana, l'assunzione della ·co_scienzae dell'identità della classe dirigente in formazione; o presunta tale, da parte di minoranze intellettuali ora strette compatte in partito, ripeteva in qualche modo, a proposito dei proletari, quanto era già accaduto nel rapporto fra letterati-intellettuali e borghesi. Si verificava così una troppo accentuata continuità con la "rivoluzione liberale"; mentre, BibliotecaGino Bianco per altro verso, si realizzava un rapporto ambiguo con le forze politiche cattoliche. È accaduto così che settori diversi dei ceti colti assumessero la rappresentanza mentale delle diverse classi e perfino di differenti settori della medesima classe, dividendosi in gruppi divergenti ed estranei gli uni agli altri in termini più estremi di quanto lo fossero fra loro i settori di popolazione rappresentati. Intendo nella sfera dei valori morali e culturali, non in quella degli interessi pratico-economici, che al contrario fra i gruppi intellettuali superiori erano analoghi - e nel campo strettamente politico hanno poi portato alla formazione dell'omogeneità partitocratica. Si costruivano, all'interno del paese, zone di formazione culturale in lotta e - peggio - in ignoranza reciproca (non senza richiami alle tradizioni cattolica e laica) - e si trasmetteva alla gente la proiezione dei diversi settarismi. Negli anni cinquanta e fino alla metà dei sessanta, si è sviluppata sulla testa del popolo la storia di due culture, di due sistemi politico-morali separati. Due storie intellettuali parallele - principalmente di cattolici e comunisti (in comunicazione, questi ultimi, con la cosiddetta area laica). I comunisti critici, dopo la fronda degli anni cinquanta, hanno avuto un seguito di massa dalla metà dei sessanta e - da varie angolazioni - hanno indirizzato i loro attacchi ai fattori inquinanti del progetto togliattiano. Ma una volta disvelato l'inquinamento, sono emerse altre debolezze, intrinseche e profonde, alla radice di quel progetto. Gli operai dell'industria, candidati da un secolo a futura classe dirigente, acquisivano una maturità culturale che cominciava ad avvicinarli all'assunzione di una simile responsabilità: e più chiari si facevano fra loro il carattere falsamente democratico cui erano giunte le organizzazioni operaie storiche e l'usurpazione culturale degli intellettuali. Ne conseguiva non solo una richiesta di autogoverno, ma una pretesa di autonomia culturale (l'idea della rivoluzione culturale, come è stata recepita nel nostro paese). Ma al di là della pura rivendicazione di autonomia, non emergevano dalla classe operaia contenuti culturali, che non fossero da un lato l'eredità dei grandi valori borghesi (quelli che si riassumono nei principi dell'Ottantanove) e dall'altro un ritorno al populismo e all'anarchismo. Infatti in quello stesso periodo, a causa dell'evoluzione del sistema economico e delle tecnologie, gli operai dell'industria cominciavano a perdere la funzione di produttori fondamentali, e alla figura della classe operaia della tradizione marxista si andava intrecciando e sovrapponendo la più generica (e antica) figura di "popolo". Popolo governato che non accetta più tale condizione. La pretesa di essere giunti a uno stadio in cui non vi fosse più distinzione fra governanti e governati si rovesciava in una cultura illusoriamente alternativa: era il ri7
DISCUSSIONE torno a saggezze popolari preborghesi, o a quell'insieme di sottoprodotti delle culture dominanti dei vari periodi, che costituisce la cosiddetta cultura popolare. L'incapacità di produrre valori culturali nuovi da parte della classe operaia (e quindi di assumere finalmente l'abito della classe dirigente) era anche collegata alla coscienza sempre più diffusa del carattere non socialista del cosiddetto socialismo reale, e con ciò alla caduta di un'ipotesi praticabile di modo di produzione e di direzione della società alternativo a quello capitalistico. Anche i principi dell'Ottantanove sembravano rovesciarsi nel loro contrario, non solo nella evoluzione capitalistica oggetto della critica di Marx, ma nella stessa loro assunzione nella tradizione marxista: nella dialettica storica reale l'illuminismo finiva col negare se stesso - come i teorici di Francoforte avevano lucidamente esposto già dagli anni della guerra. L'indebolirsi del filone illuministico-hegeliano-marxista, in assenza di alternative, contribuiva ulteriormente a rafforzare le tendenze neopopuliste. Parallelamente all'ingresso della cultura cattolica "di sinistra" nel movimento popolare. Si è allora esaurita, almeno in parte, la separazione rigida fra le due culture cattolica e laica, e si è verificata una certa fusione fra le due. Ma senza che l'apporto cattolico riuscisse a tradursi in un contributo fecondo. I cattolici italiani, a differenza dei cristiani protestanti, non hanno in proprio una cultura borghese - dalla quale è pur necessario muovere, anche per negarla; hanno favorito quindi il ritorno ad un populismo medioevaleggiante. Dal1'altro lato, per i cattolici più "aperti" e "progressisti" la grande conquista è stata di sovrapporre, in qualche modo, i principi della rivoluzione francese al qlttolicesimo medioevale e in parte a quello tridentino - cosa che non aiuta i laici e i comunisti a fare passi avanti. Soprattutto, non aiuta ad affrontare la grande problematica della dialettica dell'illuminismo, che da teorico-filosofica si è oggi tradotta in questione pratica - etica e politica. L'incontro delle due culture nel movimento popolare avvenne nella confusione. E preludeva allo sgretolarsi dei valori di entrambe (Dio è morto, Marx è morto ... ). Pare un incontro nell'inesistenza. Il terreno era aperto allo scetticismo, al disfacimento e alla penetrazione di valori e culture estranee - alla colonizzazione. La proposizione in sé e per sé di valori etici collettivi, senza neppure un destinatario preciso dell'opera di formazione, suona falsa e irrealistica se non è preceduta, a monte, da ben più ampie proposte di distruzionericostruzione culturale: previa l'analisi della società presente e dei suoi condizionamenti, in primo luogo quelli imposti dal modo di produzione. Occorre partire dalla constatazione del carattere non fenomenico, ma addirittura di vernice illusoria delle certezze B•bliotecaGino Bianco che parrebbero regolare la società: lo Stato sociale, il moderno civismo; e anche la scomparsa delle differenziazioni nette e dei conflitti fra le classi (motivata a volte semplicisticamente con il venir meno della centralità degli operai dell'industria e degli altri lavoratori manuali). La pubblica morale condanna la violenza, l'oppressione, la sopraffazione degli individui - ivi inclusi lo sfruttamento e l'alienazione imposti da padroni capitalistici. Nei paesi industrializzati europei, di cui il nostro fa parte, legislazioni adeguate, democratiche e socialdemocratiche, e benessere accresciuto hanno ufficialmente posto rimedio a quelle forme di oppressione e di violenza. La parvenza generalmente accreditata è quella di una classe dirigente, di derivazione borghese, che si è autoregolata ed ha regolato la società. Una coscienza corrispondente a questo mutamento si è diffusa fra la gente, favorita dall'acculturazione e dal mito della modernità come condizione civile. Questi risultati sono ottenuti attraverso uno spostamento geografico delle zone di oppressione e di violenza, così che il superamento del colonialismo appare l'enorme men- . zogna del nostro tempo - a meno che per superamento non si voglia intendere l'estensione e l'approfondimento del sistema coloniale, ben oltre quel che era stato nel secolo scorso ad opera di singole nazioni europee. Ma sospendiamo ora questo discorso, e limitiamoci a quanto accade fra noi. Contemporaneamente all'estendersi nella sfera visibile - etica, politica, giuridica - del sistema di valori civici a cui ho accennato, le pratiche oppressive, alienanti, sfruttatrici hanno cominciato a crescere, fino a ingigantirsi, nella sfera sotterranea e occulta, spesso illegale.Nota a tutti come un'ovvietà, e ad un tempo rimossa dalla coscienza collettiva. Il sistema economico capitalistico procede secondo i metodi di sempre ma nell'illegalità, condannato da parte della morale collettiva che gli stessi capitalisti, il ceto politico e i loro pubblicitari mostrano di condividere e propagandano. Il capitalismo opera come pura delinquenza: mafia, droga, speculazione edilizia, traffico d'armi, lavoro nero. E non si tratta di settori marginali. Con i riflessi fra la gente comune: la delinquenza spicciola dei governati, la perdita di motivazione a comportamenti onesti, specie in campo economico. Una vera e proprio schizofrenia si rileva nelia valutazione della grande potenza colonizzatrice, gli Stati Uniti d' America. Da un lato, si dà per scontata la superiorità di quella cultura, e la si prende a modello.. Intendo cultura nell'accezione più ampia, quella che inclùde i modi di produzione e il modo di vita, i sistemi d'istruzione e la ricerca scientifica, l'arte e la letteratura, i rapporti interumani, i valori etici fondamentali, la visione del mondo. D'altro lato : per fare solo due esempi - circolano rèportages come quello di Furio Colombo, dove si dà documentazione degli orrendi delitti compiuti comunemente da giovani nordamericani, in sostanza con l'approvazione .o quanto meno la non disapprovazione dell'ambiente circostante; si leggono sulla "New Yor~ Review of Books, che circola largamente nei nostri
DISCUSSIONE "E così, inopinatamente, è successo che, nel corso del mese di settembre, l'Italia vivesse la sua stagione bellica. Non ancora la sua Epopea Militare, ma ci si è andati vicini." ambienti colti, statistiche ufficiali da cui risulta che negli ultimi anni il numero percentuale di omicidi in USA è di ventisei volte quello degli omicidi in Francia. Nessuno sembra fare qualche collegamento fra il sistema economico e culturale e questi dati di fatto. La legalità e la morale di una classe dirigente possono essere rifiutate e condannate dai subalterni nel momento della ribellione, in nome di una nuova legalità e di una nuova morale. Ma quando una classe dominante afferma per metodo due verità opposte, vive ed opera in un sistema di doppia verità, non si definisce come classe dirigente. Priva essa stessa di valori da trasmettere, non è in grado di intraprendere alcuna opera di educazione dei governati. Ma essa ha bisogno di ottenere comunque l'obbedienza. Allora viene propagandato il conformismo - cioè l'osservanza esteriore di determinati comportamenti dichiarati ammessi o doverosi, acriticamente, e solo in quanto vengono definiti tali da chi organizza la produzione e dai suoi pubblicitari. Si sviluppa fra i governati un infantilismo dogmatico, accompagnato da una sorta di logica duale, per cui a qualsiasi domanda la risposta è sempre e solo sì o no, come nei test sociologici o attitudinali, c'è sempre un comportamento giusto e uno sbagliato, a proposito di qualsiasi cosa grande o piccola. È vanificato il concetto stesso di libertà individuale, con la mitomania dei modelli. Il gusto è ridotto alla moda (in corrispondenza alla mercificazione universale). Qualsiasi tuo comportamento, ove non ne riproduca altri, è equiparato alla proposizione di un modello: si dà per implicito il tuo rifiuto, in altri, di comportamenti diversi nelle medesime circostanze. La ricerca del conformismo supplisce all'incapacità a orientarsi secondo principi soggettivi, giacché alla gente non viene trasmesso alcun valore, ad eccezione dell'obbligo di non essere diversi dagli altri. È evidente che, in queste condizioni, l'istanza dominante non può essere quella etica universale. E tuttavia continuo a dissentire da chi propone appelli generici a destinatari generici: anche se i contenuti degli appelli coinvolgono gli interessi primari degli uomini in quanto tali, indipendentemente dalla loro collocazione sociale - come quando si tratta della salvezza della vita sul pianeta. Perfino un'azione senza speranza deve avere i caratteri dell'efficacia, della non astrattezza. Allora - il cerchio si chiude - la libertà estrema e astratta, che è pure il vuoto, dipende dall'assenza di un soggetto dirigente, formatore e autoformatore, e di ben definiti ceti di governati, destinatari della formazione e costruttori alla base del sistema stesso che dà loro forma. Anteporre il discorso sui valori alla costituzione di una realtà sociale è velleitario. Oggi come oggi, mi sembra che il solo compito da assumere, come ceti colti, uomini di buona volontà, sia qualcosa Biblioteca Gino Bianco di analogo a quanto fecero i monaci medioevali: conservare ostinatamente la memoria, affinché il patrimonio accumulato nel passato possa tornare utile in un domani non impossibile, se pure estremamente incerto. I BELLICOSI Luigi Manconi E così, inopinatamente, è successo che, nel corso del mese di settembre, l'Italia vivesse la sua stagione bellica. Non ancora la sua Epopea Militare, ma - va detto - ci si è andati vicini. I grandi apparati della comunicazione e della formazione di senso comune, quegli opinion makers autoritari e suadenti costituiti dalle prime pagine dei quotidiani e dai titoli dei telegiornali, sono stati quasi unanimi nel comunicare un messaggio e un clima inequivocabili. In estrema sintesi, questo il loro senso: la spedizione militare nel Golfo Persico è politicamente motivata e razionale; l'opposizione alla spedizione militare è immotivata e irrazionale. A dirigere questa "campagna d'opinione" è stato - come prevedibile - il quotidiano "la Repubblica", e già questo fatto merita una ri- ·. flessione. Come prevedibile: si tratta, infatti, dell'esito finale di un processo estremamente lineare e coerente che muove da lontano e che rivela, sullo sfondo e alle radici, un'opzione culturale talmente solida e articolata da assumere la forma di una vera e propria "ideologia italiana". Ma perché concentrare il discorso su "Repubblica"? Ovvio. Proprio perché la sua straordinaria forza, direi la sua potenza, fa di esso uno strumento unico di comunicazione e di orientamento delle idee; e perché, soprattutto, lo strato più sensibile e attivo del suo target è costituito da gente "che conosciamo bene". Vale a dire, proprio da "noi". Uno strato che ha avuto con "Repubblica" un rapporto definibile "di militanza" - richiesta di identificazione, domanda di riconoscimento, aspettativa di mobilitazione ideale e civile-, fino a quando l'emergere compatto della "linea politica" del quotidiano non ha reso conflittual~ quel rapporto (senza, peraltro, intaccarne l'intensità). E rimasto - fortissimo - il residuo più tenace della sindrome militante. Vale a dire la frustrazione: un grado di delusione nei confronti delle attese avvilite (posizioni non con: divise, scelte impreviste, mutamenti di rotta) che SI riscontra solo nel rapporto altrettanto "militante" che c~rre tra "l'Unità" e "Il Manifesto" e i rispettivi lettori. E tuttavia, l'investimento politico-emotivo non _siesauriva: subiva un classico processo di spostamento. S, conc~ntrava, dunque - se possibile, con ancor più trepido affidamento - sul piano del gusto. Di quel gusto, p_er ~a~recisione, che governa i consumi culturali, gli stlh di vita, 9
DISCUSSIONE le preferenze rispetto ai criteri di organizzazione e fruizione del tempo libero. È qui che "la Repubblica" vince su tutta la linea: nell'orientare attraverso le pagine della cultura, quelle dell'informazione musicale e cinematografica, radiotelevisiva e teatrale, quelle di cronaca e di "vita moderna" (e il loro ridondare su tutto il giornale) l'atteggiamento intellettuale di un segmento di lettori decisamente qualificato. Qualificato perché ad alto tasso di istruzione e di informazione, dotato di una quota notevole di competenza politica e di passione attivistica, di disponibilità al "nuovo" e al "cosmopolita" ma, insieme, convenzionale nell'approccio verso la politica e la cultura. Altrove ("Il piccione viaggiatore" numero I, 1986) ho individuato il paradigma sociale di quella figura nel "militante della CgilScuola di Ancona": una esemplare combinazione di residuale (spesso solo verboso) impegno politico, eclettismo culturale e reducismo come civetteria e come tic nervoso. Il tutto intrecciato a una appassionata dedizione alla "modernità" e alla "post-modernità": un erratico e nevrotico sbandare tra le mediocri frustrazioni del Bobo di Sergio Staino, l'ipocondria da bar di Guido Ceronetti e l'ottimismo ilare di Marisa Bellisario. Grazie a questo peregrinare, il "militante della Cgil-Scuola di Ancona" si è trasformato nel "militante di Repubblica" (senza, necessariamente, dimettersi dal sindacato di categoria). Ora, sulla sua mostruosa fisionomia a patchwork - resa permeabile da una identificazione di gusti e di preferenze con il modello culturale fornito dal giornale nel suo complesso (a proposito di Ilona Staller e del proibizionismo in materia di droghe, della rivolta di Porto Azzurro e della questione del garantismo) - agisce potentemente la "chiamata alle armi" nel Golfo Persico. E trova singolare disponibilità. Per un motivo, innanzitutto: perché quella "chiamata" ricorre a motivazioni e a un linguaggio anch'essi puntualmente coerenti con il modello culturale prima citato. Questi, in sintesi, i processi che vengono attivati: a) Meccanismo "Scurdammoce 'o passato". Quella figura sociale prima tratteggiata è sensibilissima alle operazioni di deformazione-ridicolizzazione di ciò che si è fatto e di ciò che si è stati. Una posizione (poniamo, antimilitarista) viene più agevolmente abbandonata se risulta inchiodata a una scenografia logora, verso la quale si nutrono com.plessi e imbarazzi. Ci si può vergognar più leggiadramente dell'antimilitarismo pregresso se si accetta che venga identificato con le biciclette bianche, i provos olandesi e Umberto Napolitano - Gianni Morandi ("C'era un ragazzo che come me ... "). b) Meccanismo più realista del re. L'ansia del neofita, notoriamente, produce eccessi di zelo e sbracamenti. Se il sincrono è un irrisolto rapporto col proprio passato, l'auto-terapia ha da essere, giocoforza, traumatica. Il sostegno alla spedizione nel Golfo diventa, 'bliotecaGino Bianco allora, una opzione ideologica, una scelta di valore, una dichiarazione di schieramento - al di là, persino, di qualunque considerazione politico-diplomatica e di qualunque valutazione strategica. e) Meccanismo Hi Tech, ovvero dell'Efficienza. Il militante di "Repubblica" che crede di dover riscattare (e farsi perdonare) un passato di sciatteria e pressapochismo, ha assunto la tecnocrazia come valore primario. E ritiene, probabilmente in buona fede, che l'efficienza sia quella di Cesare Romiti e degli Stati Maggiori. La spedizione nel Golfo gli appare, dunque, come una felice combinazione di decisionismo politico e di tecnologia bellica, di studi ali' Accademia di Modena e di giochi di simulazione. L'importanza di questi meccanismi, in apparenza così "sovrastrutturali", consiste nel fatto che - agendo Sll un piano non immediatamente politico - incontrano meno resistenze e difese. D'altra parte, la loro efficacia è misurata sull'identità dei destinatari, indifferenti (se non ostili) a un messaggio convenzionalmente patriotticomilitare; ma sensibilissimi, lo si è detto, a tutto ciò che si propone come "innovazione" culturale e di mentalità. È su quello "sfondo" di un senso comune di sinistra - prima banalmente pacifista e, poi, giocondamente interventista e tecnocratico - che passa il messaggio bellico delle lobbies politiche e militari. Ciò può accadere perché quel senso comune poggia sul vuoto. O meglio, su.due buchi. Primo buco: l'assenza nel nostro paese di un pensiero politico non violento e antimilitarista, dotato di un seguito di massa. Quei pochi che si sono mossi in tale direzione (Capitini, Pontara, Don Milani), hanno costituito delle eccezioni talmente singolari da essere rimosse, con nonchalance, da una ideologia di sinistra tutta insurrezionalista - bellicista. Di conseguenza, la cultura marxista, così come quella riformista e, per converso, quella cattolica, hanno ignorato quegli apporti critici e hanno fatto il deserto intorno a loro, relegandoli in una dimensione "pre 0 politica". Il Partito radicale, eh.e ha avuto il grande merito di raccogliere parte di quella tradizione teorica e culturale, ha scelto - da un certo momento in poi - di trascurare le forme "di movimento" (di azione collettiva) che quell'ispirazione iniziava ad assumere; e ha, piuttosto, privilegiato una interpretazione della nonviolenza come tecnica di pressione, individuale ½ di piccolo grupc po, immediatamente finalizzata a una proiezione istituzionale. Secondo buco: l'assenza nel nostro paese di un'analisi scientifica della "questione militare". Solo di recente, grazie al lavoro di Fabrizio Battistèlli e del suo '' Archivio disarmo", si è iniziato a studiare il '.'complesso militareindustriale" italiano. In assenza di una tale analisi e di una riflessione, ancora tutta da fare, sul nesso pace - sicurezza e sul sistema di rapporti nord-sud, è inevitabile che l'antimilitarismo
DISCUSSIONE "... un bravo ragazzo qualsiasi di cui l'esercito farà un soldato, cioè, come dice la voce del narratore fuori campo, 'non un robot, ma un killer'." si riduca a vocazione irenista e querimoniosa. E altrettanto inevitabile è che, all'opposto, la nuova "ideologia italiana" (risultato fatale dell'incontro, imminentissimo, tra craxismo e scalfarismo) ricorra - per irrobustirsi e galvanizzarsi - a performances ginniche e a esercitazioni belliche. OLTREIL VIETNAM Goffredo Fofi Lontano il tempo di Berretti verdi. Durante la guerra del Vietnam solo John Wayne portò a termine un grosso film su di essa, a suo smaccato, ignobile, patriottardo sostegno. Ma successivamente il cinema americano si è rifatto ampiamente ed è stato un diluvio di film sul durante e sul dopo, su storie di plotoni e di singoli, di renitenti e di reduci, di là e di qui dell'oceano; spesso non così facili da interpretare (anche da digerire) nella loro morale per uno spettatore europeo e di sinistra, essendo comunque film americani, di un paese che la guerra l'aveva fatta e le piaghe le aveva ancora tutte aperte, e dove il Vietnam significava una rottura così grave da rendere indispensabile vuoi, per il potere, dimenticarla o nasconderla, vuoi, successivamente, esaltarla revanscisticamente (e non tanto per la sconfitta subita quanto per la piaga aperta in patria, e per quello che essa aveva comportato di spaccatura e di rivolta interna), vuoi, per i più inquieti, interpretarla, darle un significato nel bene o nel male, farci i conti, darsene ragione per poter andare avanti. Pur sempre (a destra, o a sinistra, o al centro) da americani. Platoon è l'esempio classico di certa puttaneria "americana" e cinematografara: superspettacolo, grandi capacità di narrare l'azione e l'orrore della giungla, protagonisti l'apprendistato di un innocente e, mi voglio rovinare!, due Rambo due, uno buono e uno cattivo. Coppola, che aveva dedicato al Vietnam Apocalypse Now, già quasi dieci anni fa, ha avuto l'accortezza di fare un film "piccolo" e molto solido, il contrario di Apocalypse perché film di tradizione e di interni, e che dà fiato a quella propensione al melodramma che è tipica di Coppola quasi sempre. Giardini di pietra è un film molto compatto, è un film molto "pieno", su un leit-motiv rituale: i funerali dei giovani morti in Vietnam nel cimitero militare di Arlington, a Washington. Protagonisti i vecchi militari che officiano, con dei giovanissimi dai compiti di perfetti automi cerimoniali, a rappresentare lo stato fossa dopo fossa. Il Vietnam non lo si vede che in televisione, nelle sezioni ultime del film e della stessa Washington vediamo poco. Gli ambienti sono ridotti e monotoni: una caserma, un appartamento. E i personaggi anche, sono pochi: due vecchi commilitoni, bianco e nero, che ne hanno viste tante e il bianco ossessionato da tutte quelle morti, che vorrebbe aiutare i giovani, come i sergenti duri di tradizione BibliotecaGino Bianco hollywoodiana, a essere più preparati agli orrori che vedranno, alle vere regole da imparare per sopravvivere nella giungla; la donna del bianco, giornalista al "Washington Post", dunque sinistrorsa, che discute non solo il metodo, ma il fondo stesso della guerra, da lei definito un "genocidio"; e un ragazzo, che smania di andare in guerra, che naturalmente, morirà, alla fine, quando riuscirà a essere spedito in Vietnam. Ora è sua la bara che viene calata nella fossa, ora è per lui l'estremo rituale ossessivo e risibile, ma con una sua ragione (di risarcimento della nazione, che fa un bel funerale a chi ha spedito a fare una pessima morte). Il melodramma di Coppola ha lo spessore di psicologie monocordi ma credibili, di un dialogo di sofferta tensione, di sviluppi che sanno dove portarci, di una costruzione avvincente. Al punto che alla fine, magari arrabbiandoci con noi stessi, finiamo per versare anche noi una furtiva lacrima su quella vita perduta. Per uno della mia generazione (quella di Coppola, ma da qui, senza guerre e con altri miti) può sembrare paradossale commuoversi per dei portatori di orrori come furono gli americani in Vietnam e per la morte di un infatuato fessotto come il ragazzo del film. Per uno della generazione dopo, più americana degli americani, più stelle e strisce che Reagan, non sarebbe strano: l'adesione è ora totale, e semmai c'è lo sconcerto di dover poi quadrare questo film e Platoon, e magari il Kubrick, e magari gli Stallone/Eastwood ... Che a me succeda di commuovermi non vuol dire automaticamente che aderisco alla morale del film, ma più semplicemente che si aderisce alla sua capacità di romanzo, vuol dire che un "buon romanzo" sa sempre farci entrare nelle ragioni dei suoi personaggi, nella loro umanità e nella loro crisi. Ben diverso è il caso di Kubrick, ben più grande la sua· ambizione (anche più di quella di Coppola in Apocalypse, che era comunque "un film sul Vietnam"). A Kubrick interessa la guerra non da oggi. Dei suoi rari film tre l'hanno a protagonista, e due la incrociano più e più volte, e negli altri si parla comunque di conflitto, interindividuale o di gruppo, di disagio di una civiltà che predispone all'aggressività e alla violenza. In Fear and desire si assisteva, come nella seconda parte di Full metal jacket, al gioco del caso e dei doppi (il nemico chi è, se non un pezzo di noi?) in una giungla-labirinto-ring; in Orizzonti di gloria alla contrappozione tra la miseria dei semidei, generali che decidono vita e morte della truppa da un bel castello del '700, e il caos di una trincea brulicante del '14-'18; in Stranamore alla logica dell'errore, tarlo e sotterranea condanna, o vocazione, del progetto "razionale" di chi detiene il potere atomico, il più ''potere di tutti''. Poi Spartacus, corpo a corpo e battaglie ordinatissime, la guerriglia contro la guerra, e la sconfitta della prima, e in Barry Lyndon, la guerra come "continuazione della politica in altri modi" e viceversa, e sempre strumento di classi. In Full metal jacket, più che in Vietnam, siamo nell'astrazione 11
DISCUSSIONE più spinta, siamo alla sintesi quasi didascalica di una visione del mondo (e della guerra), che è il Vietnam ma anche molto di più: la guerra e ogni guerra. Sin dal titolo, però, questo film rimanda a un film che di guerra non era, Arancia meccanica (o meglio "arancia a orologeria", Clockwork orange come nell'originale) e non credo sia una scelta casuale. Come se !"arancia ad orologeria" fosse il concentrato di una violenza privata e la "pallottola superblindata" a cui si riferisce il Full metal jacket del titolo, il concentrato di una violenza istituzionale, quella che la collettività (lo stato, il potere, i popoli a esso supini o consenzienti) delega ai militari. Anche Alex, il protagonista di Arancia meccanica, era un Joker come il protagonista di Full metal anche se un asociale la cui violenza e aggressività si tentava alla fine di incanalare al "servizio della società". Joker è "sociale", è un bravo ragazzo qualsiasi di cui l'esercito farà un soldato, cioè, come dice la voce del narratore fuori campo, "non un robot, ma un killer". Il film di Kubrick racconta questa trasformazione in due·parti nettissimamente distinte, di durata quasi identica e di struttura similare:. un breve, folgorante, sintetico ed esplosivo preambolo; il "corpo" di una ripetizione che porta per gradi, nella prima parte, alla perdita di un'identità e alla sostituzione con un'altra, e di un movimento nella seconda parte, che avvicina, sul terreno della guerra, al momento della verità che è l'omicidio, nel corso di una conclusiva azione di commando contro un cecchino: una "rivelazione finale", un punto estremo dopo il quale non c'è ritorno. La diversità sta nel modo in cui i due "corpi" vengono affrontati. Nel primo si assiste a un prolungato, velocissimo, ossessivo ripetersi di una sola situazione a gradi successivi: l'addestramento a opera di un sergente di inaudita violenza . verbale e di logica inoppugnabile. Una sorta di trattato di pedagogia militare nazista, non fosse che il nazismo voleva '.l'uomo-macchina e i marines (il "corpo" dei marines) vuole 'l'individuo killer. Con assoluta chiarezza, l'individuo "civi- ; le" viene spossessato, riabilitato fisicamente, psichicamente . ! lavato, e infine riciclato. Il punto culmine di quest'addestra- ! mento sta forse nella preghiera al fucile: il solo buco (dice : il sergente) per la sessualità del soldato, ma anche membro '.virile, amico, strumento di Dio, un sacro maschile-femminile non più freudiano perché iper-freudiano. Nel "corpo militare", il plotone, è necessario un capro espiatorio perché il corpo si unisca, e questi è Leonard il ciccione: È lui però la rotella che fa cilecca: non diventa uomo per il tramite dello spossessamento e indurimento: diventa matto. Di qui il rapido, agghiacciante finale. Seconda parte: preambolo rapidissimo a Da Nang. Basta una breve sequenza a dire tutto: il rapporto coloniale tra americani e vietnamiti; l'assurdità di essere lì; dall'altra parte, la prostituzione e la corruzione introdotte dagli USA. Siamo all'epoca dell'offensiva del Tet, il nostro Joker è giornalista-militare per "Stars and Stripes", ha il battesimÒ s· liotecaGino Bianco del fuoco, vede massacri e risponde a un generale che lo aggredisce perché oltre a portare scritto sull'elmetto born to kill ha il distintivo dei pacifisti: "Duality of man, you know ... Jung ... ", Poi, a Hue l'azione di guerriglia urbana in un quartiere di macerie fumanti, contro il cecchino nascosto che uccide due di loro. E la rivelazione, quando lo si prende; ma più ancora del fatto che si tratti di una ragazzina vietcong diventa importante per lo spettatore il paradosso che vede ribaltati gli "omaggi" del sergente istruttore a Oswald a Charles Whitman che non potevano essere che marines per essere tiratori così bravi, perché il tiratore per eccellenza è qui un'adolescente nemica, presumibilmente poco addestrata. Ora il Joker uccide e ora può dire (voce off, chiusura del film): "sono vivo, non ho più paura". Sono un uomo, sono un marine. C'è una grande varietà, nel film, di riferimenti a un'antropologia comune americana (e non solo) determinata dai media. Si nomina spesso John Wayne e rock, fumetti, tv, la canzone degli Amici di Mickey Mouse, sono le basi della cultura dei giovani che vi agiscono. Il quasi giornalista Joker che qualcosa di più ha letto, ha letto quanto gli serve a nobilitare la sua marcia verso l'integrazione tra gli omicidi. In lui Kubrick si distanzia e si spiega, e la sua normalità è in fondo ciò che veramente gli interessa. Non la macchina della guerra qui conta ma il paradosso dell'individuo che della sua individualità viene spogliato per essere rivestito da un'altra, anzi corazzato in una full metal jacket che ne faccia individuo/arma, pallottola e fucile, "negretto e grilletto", buco e fallo, autosufficiente e mortale portatore di morte. La "dualità dell'uomo" allora, più che quella di Jung, è quella di una pratica e di un'ideologia chiara e spedita, la prima la stessa da Alessandro il Grande al Vietnam - e confusa e di copertura la seconda (anche il pacifismo sembra dire Kubrick), perché "disarmata". La dualità è così anche quella del regista, che non solo mostra come si può fare di un generico ometto un marine e cioè un killer, ma sembra credere a questa come a una necessità e una condanna, a qualcosa di obbligato e irrimediabile per ogni società. Avesse anche ragione, bisognerebbe riuscire a fargli cambiare parere. Ma è solo da acquisizioni di questo tipo, e non dalla non violenza inattiva di tanti pseudo sognatori, peraltro sostenitori di dubbie accettazioni e alleanze, che si dovrebbe partire. "Duality of man, you know ... ".
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