Linea d'ombra - anno V - n. 20 - ottobre 1987

DISCUSSIONE "La fase più recente dell'esperienza verde italiana ne ha distorto alcuni significativi caratteri originari e ha potenziato e moltiplicato gli aspetti più discutibili e ambigui." co "impolitico" un po' aristocratico, delle associazioni ambientaliste storiche (come Italia Nostra o il WWF), alla militanza disincantata dei nuovi gruppi, quasi tutti sospinti fin lf dall'onda piu lunga del '68 e dei suoi dintorni. Erano, si rammenti, gli anni del piombo e del riflusso; gli spari echeg- .giavano intorno e la marea rischiava sempre di sommergerle, ma infine le isolette sono rimaste in superficie. Il lavoro dell'arcipelago produceva qualche effetto locale (qualche area verde salvata, qualche lotta urbana yincente, qualche nucleo di contro-informazione e ricerca, come le Università Verdi o la rete di riviste e bollettini), mentre sul piano globale riusciva a malapena a limitare i danni del Piano Energetico Nazionale (cioè a impedire la previsione di un maggior numero di centrali nucleari in Italia, inizialmente proposte a decine). Nel complesso, però, la condizione dei Verdi era di sostanziale inermità e marginalità. Le cose sono mutate d'improvviso con l'affiorare spaventoso della crisi ecologica, tradottasi in una sequenza impressionante di disastri locali e diffusi e infine esplosa, con l'impatto di uno choc collettivo, nei giorni di Cernobyl. Dall'85 in poi, una crescente attenzione si è concentrata sulle tematiche verdi, spingendo quello che era uno sparso ·arcipelago a darsi forma e linea politica. È a questo punto ·che cominciano i problemi, e che emerge una specifica fragi- :lità dei Verdi italiani. Contrariamente a quel che spesso s'in- ,tende, non è una fragilità politica. Al contrario, la forma ·politica assunta dal movimento verde è quanto di piu smaliziato e sofisticato abbia prodotto l'azione collettiva in questi anni. Esso si dispone strutturalmente e organicamente su diversi livelli: il movimento vero e proprio, l'arcipelago, attraverso una rete di gruppi, associazioni, centri di intervento, documentazione e informazione, attiva e ramificata in molte regioni; il livello istituzionale, con la presenza di 114 consiglieri regionali, provinciali e comunali e, ora, di 13 deputati e 2 senatori; l'ambito dei mass-media, frequentato con estrema disinvoltura, efficacia e, per cosi dire, famigliarità dai Verdi (che sono la prima forza politica ad avere, in un certo senso, incorporato lo strumento dei mass-media come tribuna interna e come tramite per rivolgersi all'esterno: i veri dibattiti tra i Verdi avvengono li, e spcsso le vere battaglie e campagne politiche, piu che nella realtà, vengono giocate dentro i media, secondo una tendenza ormai diffusa ma che i Verdi sembrano aver fatta propria con piena naturalezza). Su questi tre poli - movimento, istituzioni, mass-mç_dìgt - i Verdi giocano oggi le proprie iniziative e la propria identità. È un gioco, si diceva, sofisticato e moderno, ma gravido di incognite e di rischi. Il principale dei quali è appunto l'emergere, sul piano dell'identità culturale, di una preoccupante fragilità e inadeguatezza dei Verdi. Non dunque, l'ingenuità o la sprovvedutezza politica ne rappresenta il limite: non ci sono, o· sono pochissime, le candide colombe e gli inermi agnelli; vi sono ipvece, in prevalenza, volpi, lupi, orsacchiotti, corvi, falchi, talpe, serpi e altre specie tutt'altro che ingenue. E va bene cosi: sull'arca, infatti c'è posto per tutti. Ma a patto BibliotecaGino Bianco che nessuno venga a vendere ombrelli, speculando sulla pioggia, e che ci si avvii in una comune ricerca di nuovi riferimenti. È questa la specifica e grave fragilità dei Verdi italiani: è una fragilità culturale, non recente, marcatamente esasperata dalla tendenza (piu o meno consapevole) a lasciarsi fagocitare dal gioco dei mass-media soprattutto, e forse, in prospettiva, della Politica. Di questa fragilità e di questa tendenza è uno specchio, suo malgrado, la recente pubblicazione di una Antologia verde, curata da Enzo Tiezzi e Mario Passi, due esponenti di rilievo della Lega Ambiente (l'associazione ambientalista piu influente nel movimento). Vi si ritrovano i pregi e i limiti della vicenda culturale verde. Essa si è costituita, in Italia, negli ultimi venti anni soprattutto, lungo due assi paralleli: da una parte, un nuovo specialismo, un orientamento scientifico e tecnico rigoroso, critico verso gli scopi della scienza dominante; dall'altra, la ricerca di riferimenti culturali e ideali antagonisti a quelli prevalenti. Il primo asse di ricerca è stato spesso fecondo, producendo una serie di esperienze e un patrimonio di "saperi" al quale si attinge continuamente: di qui vengono le proposte alternative in materia di urbanistica, piani energetici, riciclo dei rifiuti, depurazione di corsi d'acqua, ecc. Questo "specialismo" insomma è un bene prezioso e concreto e ad esso va inoltre il merito di innervare di linee alternative la critica, altrimenti solo astratta, ai paradigmi tecnico-scientifici dominanti. Ma è sull'altro asse (e sul rapporto tra i due) che le cose convincono meno. I riferimenti culturali di fondo sono rimasti indietro, troppo indietro, sia rispetto alle acquisizioni specialistiche e settoriali dei Verdi, sia rispetto alla drammaticità e complessità del nostro tempo. Nel migliore dei casi, ad esempio sul versante nonviolento e pacifista, si sono recuperate alcune figure o correnti che erano state accantonate o dimenticate nel vortice politico-ideologico degli anni '60 e '70, come Gandhi, o Capitini. In qualche caso, si è proceduto a un loro aggiornamento, come nel vasto ''.censimento" di esperienze nonviolente operato da Gene Sharp. Ma largamente ignorati sono stati altri sviluppi della riflessione eco-pacifista e nonviolenti, spintisi sul terreno stesso dell'etica, dei valori morali, ad opera ad esempio di Hannah Arendt, Simone Weil, dello stesso Marcuse letto dopo la fine dell'agitazione post-68 e di altri "francofortesi", di Gunther Anders e di Norbert Elias (due grandi vecchi di oggi, questi ultimi; entrambi capaci di tratteggiare lo sfondo epocale che ci contiene, sia pure con accenti diversi: il primo, con l'aggressiva disperazione di chi ha distrutto ogni idolo e tuttavia conserva abbastanza tensione, e volontà e ironia, per denunciare, smascherare, procedere nella lotta; il secondo, forse con qualche concessione di troppo alla tentazione di un "lieto fine" facilmente possibile, alla "speranza" nell'umanità). Di costoro non c'è traccia nell'Antologia verde, che pure ambisce evidentemente a prefigurare un patrimonio culturale comune dei Verdi. A una convincente sezione scientifica, con tutti i "nomi giusti", fa seguito una parte 7

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