SAGGI/PERA il personaggio che rende probabilmente impubblicabile La casa Puskin è il nonno, figura indomita di rivoluzionario e dissidente, che non fa niente per facilitare la vita a chi, come Leva, vorrebbe accettarlo per esserne a sua volta accettato. Il nonno è un vero eretico, il suo bersaglio sono le abitudini di pensiero acquisite dagli intellettuali sovietici: il conformismo, la disponibilità indiscriminata a capire ogni cosa, l'incapacità di prendere posizione. Per il nonno essere sovietici significa perdita irreversibile della libertà interiore, rinuncia a un'intelligenza autentica e immediata della vita a cui si è sostituito un soppesamento astratto delle idee. Per il nonno la società, lungi dal rappresentare un valore, non è altro che una forma collettiva di insincerità, un organismo malato, in cui solo i peggiori conservano la capacità di lottare per la vita; per il nonno la riabilitazione ottenuta dopo la morte di Stalin ha rappresentato soltanto un'offesa ulteriore, un atto di cinismo da parte di un potere che abolisce il tempo e la storia con un colpo di penna, che crede di poter ristabilire sempre le sue ragioni passando sopra al tempo umano degli individui, un tempo fatto di gioventù e vecchiaia, forza e indebolimento, speranze distrutte. È appunto il furto del tempo il crimine dello stato che più indigna il nonno, che tocca nella sua invettiva un tema caro alla letteratura concentrazionaria, dal Dostoevskij di Memorie della casa dei morti, al Salamov dei Racconti di Kolyma: quello della sospensione del fluire normale del tempo all'interno dei lager, e in misura minore, anche nella società in cui questi lager sono incastonati. ·Gli intellettuali impotenti che si rifugiano in una forma di spiritualità quasi pietistica per far finta, nonostante tutto, di essere liberi, per salvare di fronte alla loro coscienza le apparenze della libertà, ispirano al nonno parole di fuoco: "Siete dei disgraziati, dei perfetti imbecilli. Ve lo può dire chiunque, che siete degli imbecilli... vi sembra di essere spirituali e quindi liberi. Ma sia la vostra protesta, che la vostra audacia, che la vostra libertà vi sono razionate, come se aveste la tessera alimentare. Tutti voi in coro agguantate gli ossi che vi gettano dall'alto, li discutete, e vi illudete che là in cima non possano avere spirito, che siano privi perfino d'intelligenza ... Eppure la vostra autonomia e la freschezza della vostra indipendenza potete scoprirla soltanto in relazione a quanto vi viene permesso. L'Ulisse voi lo leggerete soltanto nel 1980, e vi metterete a discuterlo e a farne oggetto del vostro pensiero, come se foste stati voi a conquistarvi questo diritto ... Questo io ve lo dico adesso, nella seconda metà degli anni '50 - potrete controllarle voi, le mie parole. Poi magari la fine del mondo viene proprio allora. Pensate un po', il mondo finisce, e voi non siete ancora riusciti a leggere Joyce. Il vostro tempo apparterrà più a Joyce, che non a voi. Non vi rendete nemmeno conto di quanto siate dipendenti. Siete degli invidiosi, voi, dei falliti, gente che non è stata capace di affermarsi, né nel passato, né nel presente, né nel futuro ... ". A queste eresie pronunciate dal nonno, Bitov aggiunge le sue, in un dialogo immaginario con il suo protagonista, in cui afferma che non c'è male peggiore di quello di vivere in un B lioteca Gino Bianco mondo già pronto e spiegato (p. 400), e che la realtà sovietica, per quanto monolitica, è tuttavia bucata. Già: deve essere ben bucato un monolite dove l'autore di un romanzo pubblicato soltanto negli Stati Uniti viene tuttavia insignito di distinzione di riguardo ... Se di Puskin si ammira la leggerezza, quella leggerezza giocosa che Io rese odioso ai critici radicali dell'Ottocento, inviperiti di non poterlo utilizzare nelle loro lotte politiche, lo charme di Bitov consiste nel resuscitare quell'atmosfera di gioco, di incertezza sui confini della realtà, in aggraziato rifiuto di ogni concezione monolitica, totalitaria e aggressivamente ideologica. Ma forse - azzardiamo un'ipotesi! - è proprio questo tono, eminentemente aristocratico, leggero, gaio, questo rifiuto di prendere sul serio qualsiasi zavorra dell'esistenza, la volgarità del potere, quello che offende i censori. Bitov, contro chiunque cerchi di appesantire Puskin, e con lui Lermontov e Griboedov, ne ribadisce la superiorità incommensurabile, con questo alimentando quella nostalgia di nobiltà e di douceur che si fa sentire, sempre più viva, in URSS. Publishedcontinuallysince 1967, Cineaste is todayinternationallyrecognizedas America'sleadingmagazine on theart andpoliticsof thecinema."A trenchant,eternallyzestfulmagazine,"saysthe lnternationalFilmGuide, "in the forefrontof Americanfilm periodicals. Cineaste alwayshassomethingworthreading,and it permitsits writersmorespaceto developideasthan most magazines." 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