Linea d'ombra - anno V - n. 20 - ottobre 1987

SAGGI/PERA dentro e basta. Purtroppo ci frena "la nostra disgrazia russa: l'abitudine di guardare i potenti negli occhi, per vedere se a loro piace quello che facciamo, vedere come la prendono". A queste parole gli attivisti comunisti chiedono: "Ritenete che la stampa debba essere indipendente dalla direzione del partito?". Streljanyi risponde di sì, e la stessa voce replica: "Questo non può essere". Viene poi chiesto se stanno o no preparando una legge sulla stampa, al che Streljanyi risponde: "Non c'è nessuna glasnost, e per questo non ne so proprio niente. I successi della perestrojka per ora si esprimono fondamentalmente in questo, nella diversità della stampa di oggi dalla stampa dei tempi di Breznev. Ma nemmeno quei successi sono poi così grossi". Segue un'altra domanda dalla sala: "Ritiene che la stampa possa essere completamente indipendente? Dopo tutto, Lenin diceva che la stampa deve essere diretta!" ... e via di questo passo. Come resistere alla tentazione di citare Speransky, il membro del Gabinetto Segreto di Alessandro I, che nel 1809 esclamava: "Che contraddizione, aspirare alla scienza, al commercio e all'industria, e non volere ammettere le loro conseguenze naturali; desiderare che la ragione sia libera, ma la volontà in catene; auspicare che le passioni progrediscano e mutino, ma che il loro oggetto - il desiderio della libertà - resti allo stesso punto di prima; pretendiamo che il popolo si arricchisca, senza però godere della libertà che è il frutto migliore dell'aumento della ricchezza! La storia non conosce nessun popolo illuminato e commerciale che sia rimasto a lungo schiavo". Proprio quello che devono pensare i nemici di Gorbacev. Non mancano i segni dell'opposizione opaca di chi vuole opporsi alle riforme nel timore di perdere il controllo; anche Sacharov, sulle pagine della rivista teatrale di Mosca, ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che hanno ancora troppo potere forze abituate al vecchio modo di pensare, all'ignoranza e alla pigrizia. I ntendiamoci, sono uscite anche cose notevoli. Di quelle che ancora non conoscevamo in Occidente l'unica degna di nota è Gli abiti bianchi di Vladimir Dudincev, autore al tempo del disgelo di Non si vive di solo pane. È un libro notevole perché tocca un nodo centrale della storia della distruzione della cultura sovietica: il caso Lysenko. Lysenko aveva entusiasmato Stalin con la teoria della "vernalizzazione", ossia dell'immersione in acqua tiepida dei semi prima della seminagione. Questo procedimento avrebbe dovuto permettere di accelerare il periodo di maturazione del grano, permettendo di seminare due volte all'anno anziché una. Quella di Lysenko è una vicenda emblematica del rapporto fra scienza e potere che fu instaurato aj tempi di Stalin. Lysenko si guadagnò l'appoggio di Stalin denunciando gli oppositori delle sue teorie come "kulaki di città"; costoro furono arrestati e molti di loro perirono nei campi di concentramento. Gli esperimenti di Lysenko ebbero conseguenze disastrose sia per l'agricoltura che per la scienza sovietica, che fu divisa arbitrariamente in scienza sovietica e scienza borghese, aprendo spazi pericolosi alla delazione e allo Bi ioteca Gino Bianco arbitrio, incompatibili con lo spirito della ricerca scientifica. Per anni il caso Lysenko è stato tabù: Zores Medvedev, il biologo fratello dello storico Roj, ha potuto pubblicare il suo libro su Lysenko soltanto' in Occidente (The rise and fai/ of T.D.Lysenko, New York, 1969). Parlare delle vittime di Lysenko suscita passioni analoghe a quelle suscitate dal processo di Galileo, ponendo il problema apassionante della libertà della scienza. Adesso si ha il coraggio di parlarne, e questo è buon segno. · Quello di Dudincev è un libro importante anche per capire la formazione di uomini della generazione di Gorbacev, Il protagonista è un giovane scienziato che si forma negli anni '40, quelli del dominio incontrastato di Lysenko, di cui è pupillo. Cresciuto nella più rigorosa ortodossia marxista-leninista, il giovane scienziato viene inviato in Siberia a lottare contro gli oppositori della vernalizzazione. Giunto a destinazione, si accorge che gli avversari hanno ragione e Lysenko torto, finendo in una situazione ambigua, quella di chi aiuta senza voler parere quelle stesse persone che dovrebbe perseguitare. È una lotta sotterranea contro i potenti del sistema nel nome dei valori su cui questo sistema è stato costruito. È un cammino solitario, a tu per tu con la propria coscienza, forse non molto diverso da quello che qualsiasi riformatore, come Gorbacev ma anche come molti altri di simili idee che hanno raggiunto i vertici del potere, hanno dovuto percorrere, Quella di Dudincev è una vera detective story: d'altra parte, se vogliamo credere alla sincerità riformatrice di Gorbacev, e non vedo nessuna ragione di non crederci, dobbiamo anche ammettere che l'ascesa al potere di un uomo del genere non può che essersi svolta con una buona dose di simulazione. Affrontare il caso Lysenko è anche un modo di toccare la questione spinosa del tradimento degli ideali del '17. Anche se definire questa una questione spinosa richiede una certa dose di ottimismo: c'è chi dice che ormai in URSS si sia raggiunto un livello tale di cinismo politico, che gli ideali del '17 non sono più presi sul serio da nessuno ... Chissà ... Qualsiasi la ragione, è una buona cosa la pubblicazione, nel numero di giugno di "Novyj Mir", del racconto Nel grande cantiere di Andrej Platonov, un'opera del 1929-'30 già nota in Italia, che è un atto d'amore per gli ideali del socialismo e di ansia accorata per la sua riuscita. Scritto nel periodo della liquidazione dei kulaki, il racconto è pervaso d'angoscia di fronte a quest'opera di sterminio. La vicenda si svolge in un cantiere edile, metafora del mondo nuovo, dove i costruttori hanno perso il senso della vita e di quello che stanno costruendo, In un certo senso è un'opera che convalida la necessità di una ristrutturazione psicologica come quella propugnata da Gorbacev: il piano generale non può funzionare senza che gli uomini chiamati ad attuarlo ne comprendano il significato, quel significato che lo stalinismo aveva ucciso. Voscev, il protagonista, licenziato da un'impresa meccanica, approda al cantiere edile e riflette sull'opera dei costruttori. La sua parte è quella· dell'osservatore esterno, alienato, che ha perso il legame con la vita. Voscev è un po' il filosofo del cantiere; la sua è una protesta contro il monopolio del pensiero, di cui si è appropriato

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