STORIE/ROMANI "Gli avevo rubato il tempo e la sua guardia era abbassata. Nello stesso istante . il mio pugno partì. Mio Dio, pensai, l'ho preso!" zioni e arretrò di un passo, ma ormai era troppo tardi, tardi anche per lui. Gli avevo rubato il tempo e la sua guardia era abbassata. Nello stesso istante il mio pugno partì, glielo sparai veloce sullo zigomo e lo schiocco del guantone che si schiacciava sul bersaglio mi disse che il colpo era proprio azzeccato. Mio dio, pensai, l'ho preso! E feci in tempo a cogliere - io solo, immagino - una oscillazione impercettibile, segreta, della figura. Tentai di avanzare ancora e di ripetere l'azione precedente, ma questa volta Valeriano mi bloccò portando l'avambraccio a difesa del volto. Allora mi resi conto che non sarei più riuscito a superare lo sbarramento. Non l'avrei più sorpreso, potevo esserne certo. Anzi, ora veniva il peggio per me. Ma io gli avevo letto in viso una espressione di incredulità che mi ripagava di ogni disavventura. Sicuro, aveva vacillato sotto il mio assalto, ed egli lo sapeva benissimo, era l'unico a saperlo al mondo insieme a me! Questo mi bastava, dottore, e - mi vuol credere? - mi basta ancora. Insomma, quello che poteva succedere dopo non mi importava più. "Ma forse anche Guillermo dall'angolo aveva indovinato qualcosa. 'Adesso ti dovrai difendere', mi disse nell'intervallo, 'stai più chiuso che puoi.' Al suono del gong che annunciava l'ultimo round Valeriano mi venne incontro speditamente e un sorriso di scherno gli volò negli occhi. 'Adesso ti punisco', voleva dire, 'ora non ti salva nessuno'. Abbassai la testa dietro i guantoni incrociati e mi piegai per proteggere i fianchi. Ero quasi accucciato sotto di lui, tanto che l'arbitro mi richiamò e mi ingiunse di tenere la posizione regolamentare. Mi rialzai, provando il sollievo di chi non ha niente in cui sperare. Ero completamente disarmato, votato a una specie di crocifissione. Non sapevo se il Poderoso intendesse picchiarmi a sangue, ma permettendomi di rimanere in piedi, o vibrare subito il suo 'maglio' e buttarmi giù. Per la verità non ricordo molto bene che cosa accadde nel quinto round. Mi affido in parte al racconto di Guillermo, che fece tanti elogi al mio coraggio. Prima del K.0. - ma sì, che altro poteva essere? - mi sono difeso con accanimento. Valeriano mi percuoteva da tutte le parti, ma io non cedevo. Riuscivo a nascondere il volto, oppure a guadagno tempo tirando a caso sventole larghe, inoffensive, e quando potevo mi allacciavo a lui. Soffrivo, sbuffavo, ero tutta una piaga, ma resistevo. Poi ecco che cosa è avvenuto. Improvvisamente mi sono venute meno le forze. Da un momento all'altro mi è mancato il fiato. Ho pensato: devo tenermi a distanza e respirare, altrimenti muoio. Una terribile mazzata mi ha raggiunto alla spalla costringendomi ad allentare la difesa. Subito Valeriano ha doppiato il colpo, mirando alla mascella. L'ho visto, sono stato abbastanza svelto a chinarmi, ma in questo modo mi sono venuto a trovare sulla traiettoria all'altezza della fronte. Mi ha preso al sopracciglio, qui, e l'ha squarciato. Ho sentito un bruciore repentino, insopportabile, il fuoco ardente nella ferita aperta. Da quel momento non ho capito più nulla, non si ragiona in quelle condizioni. Devo aver lasciato cadere la guardia d'istinto per toccarmi la parte dolorante, da dove il sangue colava giù. È stato allora, credo, che il pugno micidiale mi è entrato nel petto, ed è l'ultimo ricordo che ho... iblioteca Gino Bianco il ricordo di un boato dentro di me, qualcosa che si sfonda, una caverna scoperchiata e intorno una orribile danza di suoni. In quel frastuono mi arrivava da una oscura lontananza solo una voce che andava e veniva. Era Guillermo che mi sorreggeva. 'È finita, Edoardo,' diceva. 'Bravo, bravo ... " Tacque e aggiunse un "eh, già!" che voleva dire "ecco tutto". Pago della storia e della impressione che aveva prodotto sul suo cliente rientrò bruscamente nella propria parte professionale. Mentre si staccava dalla poltrona, dopo aver riposto nel taschino pettine e forbici, io ammiravo l'arte di far coincidere la fine del racconto con il tocco che firmava il compimento dell'opera sullamia testa. Quel giorno eglimeritò una mancia speciale. "Ringraziate!" comandò il principale. Il vecchio mi venne dietro. "Complimenti!" gli dissi salutandolo sulla soglia. "Complimenti al dilettante pazzo che affrontò Valeriano Vidal! Tutto avrei potuto immaginare fuorché questo. Adesso potrò ben dirlo: ho un barbiere particolare, io!" "Modestamente," annuì. "Ma lei sarà l'unico a crederlo, in questa botteguccia. D'altronde che importa? Lo so io... Quello che è vero è vero... " "Ma avrà qualcosa con sé. Un documento, una fotografia ... " "Niente. Niente che provi che Edoardo Mantovani ero io. Conservo solo una cosa, le farò vedere... Avevo raccolto le fotografie in un album. Fotografie di Nestor Fina, del match con Aniceto e della notte di Matahambre: persi tutto scappando da Cuba ... " "Scappando?" "Oh!" sospirò. "Questa sarebbe un'altra storia. Ma per oggi basta. Adiòs!" N on lo rividi più. Rimasi lontano dalla città per alcuni mesi e quando mi ripresentai in bottega trovai al suo posto un aiutante giovane che aveva un taglio svelto e una cortesia inappuntabile, sebbene un po' spiccia. "E il suo collaboratore di prima?" domandai al principale. "Oh, quello ... " borbottò, con evidente malavoglia, "chi lo sa?" "Però, che strano tipo," insistetti, cercando di cavargli qualche notizia. "Un personaggio, eh?" "Strano davvero, sì. Proprio strano." E nel dir questo si portò un dito alla tempia. "Forse è per la vita inquieta che ha fatto," dissi, senza voler dar peso a quel gesto. "Macché," ribatté. "Erano tutte fantasie di mitomane. Si inventava tutto." "Tutto? Anche quell'avventura in America, lei dice? La raccontava per filo e per segno ... " "Lo so, lo so," replicò, "vuole che non lo sappia? L'avrò ascoltata cento volte! Dia retta. Non si è mai mosso da Roma." 65
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