Linea d'ombra - anno V - n. 20 - ottobre 1987

STORIE/ROMANI Teneva gli occhi socchiusi nello sforzo di ripercorrere le sue peripezie. "Ricominciare, s'immagini! E in che modo! Ah, caro mio, quanto si può essere soli! lo fuggivo, col mio nome falso, alla cieca ... In quelle condizioni risalii la costa. La prima città dove mi fermai fu La Guaira, spacciandomi per bracciante. Poi mi spinsi fino a Cabimas, sempre per lavori bassi, da avventizio. Infine mi sembrò che Maracaibo fosse il posto più sicuro. Lì mi ricordai delle mie scazzottate romane ... '' Nel ricordo del vecchio tornò a profilarsi una terribile figura. "Le ho già detto di Nestor Fina, dottore. Fu a Maracaibo che lo conobbi. Aveva lì la sua scuderia. Era lì che si ritirava tra un match e l'altro. Le ripeto, faceva paura, nel Caribe non c'era nessun peso massimo che lo valesse. Ed era crudele, ma quanto a intelligenza, niente. Come dire: un uomo elementare, tutto stava nel saperlo prendere per il verso giusto. Per esempio, gli piaceva essere blandito ... lo non facevo che spronarlo. 'Nestor,' gli dicevo, 'sei un mostro!' e lui fingeva di avventarsi su di me, nel corpo a corpo. Gli venni in simpatia, mi volle con sé tra i suoi sparring-partners. Fino all'incontro con Ibarra rimasi con la sua squadra. Insomma, me la cavai così, per più di un anno. Ma poi ebbi il sospetto che il mio nome - il mio vero nome, voglio dire - stesse venendo fuori. O forse ero io, chissà, che mi ero lasciato scappare qualche parola di troppo. Una sera, su due piedi, abbandonai la scuderia. Un battello mi portò via, lontano da lì. "Sbarcai a Kingston e non trovai altro da fare che della miserabile manovalanza. Lo sa che non ricordo nient'altro di quei mesi? Mi è rimasta negli occhi la luce di quei pomeriggi d'estate, irreale sopra la carretera per Montego Bay. E le schiene degli sterratori piegate sul fondo, lucide, torturate dalle zanzare ... Non resistetti, tanto feci che rientrai nel giro della boxe, presentandomi come uno sparring-partner di Nestor Fina. Due o tre match senza valore mi bastarono a ottenere il cartellino per disputare un incontro regolare. È quello che è registrato nell'almanacco. Fu l'unico ... " "E quel Velez, chi era?" domandai. "Era uno come lei, allo sbando?" "Aniceto Velez? Pressappoco," disse il vecchio. "Nulla di speciale, no. Però sulle gambe era rapido, e aveva abbastanza fiato. E soprattutto aveva più voglia di vincere di me. Mi aggredì subito e mi mise due volte a sedere. Era uno di quei pugili che si galvanizzano insultando l'avversario. Al tappeto, stordito, sentii che urlava dal suo angolo: Levàntate, cabron! Mi rialzai e fino alla settima ripresa continuò quella pena. Alla settima ripresa gli girai le spalle e mi arresi, tra i fischi del pubblico, mentre At'liceto faceva salti di gioia. Quando l'arbitro gli ebbe alzato il braccio scoppiò a piangere. Attraversò il ring, mi abbracciò e mi baciò con impeto. Più tardi, a cena, mi confessò che nella boxe cercava soltanto, qualche buona borsa. 'Non farò carriera', mi disse, 'non ho abbastanza talento. E non mi va di rischiare, ecco perché.' Mi mostrò una fotografia, si intenerì su un girotondo di BibTl>tecaGino Bianco bambini messicani. Ne contai setteo otto e fui contento che la mia sconfitta servisse almenoa loro. Salutai Aniceto e gli augurai ogni bene. Per conto mioera finita con la boxe. Basta, decisi, nessuno mi spaccheràpiù la faccia. Ma il caso, dottore, il caso ... " O ra avevo l'impressione che il vecchio si affret_tasse, che sentisse mancargli il tempo.O era la sua stona che tornava a emozionarlo e gli suggerivaparole pi~ spedite. _Sen_- tivo il seguito in arrivo sulla punta delle forb1c1.Continuo in una crescente eccitazione. "Mi rimisi in viaggio. Un altro battello, un altro molo ... Quando era? Alla fine del '48, a Cuba. Ad occidente dell' Avana, sì. .. · "Mi dissero che a Pinar delRiodavanoda lavorare. L'uomo più influente in città era RufinoBedoja, sindaco, tenente di polizia, presidente della Polisportivae chissà che altr~ ancora. Mi presentai a lui, uno spilungonetorvo. Mentre m1 ascoltava masticava tabacco in continuazionee me lo sputava a un palmo dai piedi. Una smorfiadi disgusto gli serrava la faccia e pareva non abbandonarla mai. Credetti che l'esistenza stessa dell'umanità infastidissequell'uomo. "Quasi_ non parlò, in risposta. 'Lavor? no', ~isse, con invincibile fatica. 'No a Pinar del Rio, che 10sappia. A Matahambre, forse. Si può vedere... " "Non potevo sapere che 'si può vedere' in bocca a Rufino era come un decreto. Lo ringraziaie la sua faccia non fece una grinza. Il giorno dopo ero già a destinazione. "Le miniere di rame ... eccochecosa mi aspettava a Matahambre. Il caldo umido che ti avvolgee ti schiaccia sul fondo del pozzo, tra i ragni, gli scarafaggi e il ?uio _dell~ montagna sopra di te. Ancora oggi, di notte, m1 capita d1 svegliarmi con la sensazione di quell'alito sporco, di quell'aria che ristagna nelle gallerie... No, il primo impulso che si provava, a Matahambre, era quello di fuggire. Ogni vo/ta che riaffioravo dal pozzo dicevoa me stesso: mai più, mai più. Ma non sapevo che fare, erodisperato, interrogao i miei compagni: per dove ripartire, dovefermarsi... 'Italiano ... poca pazienza,' mi rispondevano. La loro rassegnazione mi sgomentava. "Una notte nella camerata sentiiqualcuno che si muoveva insonne in una branda vicinaalla mia. Mi giunsero al1• o'recchio ~ueste parole: 'Bisognerebbe esser nati come Valeriano. Col suo pugno'. "Dal silenzio emerse un'altra vocebassa, rauca, che veniva dalla stessa direzione: 'Pretenderesti troppo, giovane. Come Valeriano non c'è nessuno. E non c'è mai stato.' 'Nes-· suno, dici?.' 'Nessuno. Nessun altro come lui.' 'Dici come potenza, come stile ... ?' 'Come tutto.' 'Neppure Kid Gavilan?' 'Macché .. .' 'Neppure Sandy Saddler?' 'Neppure lui, no.' 'Que raro! Chi se lo immaginava... Te lo immaginavi, Luben, quando scendevi nel pozzocon lui? Non dirmi, non dirmi che ... '. 'Neanche Valeriano lo immaginava,' interruppe l'uomo che si chiamava Lubén. 'Neanche lui sapeva di

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==