Ma aveva una gran voglia di parlare, lo sapevo. Passò qualche minuto di silenzio. Sulla parete di fondo scivolava il chiacchiericcio degli avventori in attesa. Qualcuno entrava ed usciva. Dalla poltrona accanto salì l'odore pestilenziale di una lozione. Il principale pettinava i ciuffi sparsi del suo cliente leggero come se ricamasse. E infine il vecchio riattaccò. "Un randellatore, eh? Le farò io il nome di un randellatore di razza." E si fermò, con le forbici in aria. Afferrò un nome e lo fece scendere solennemente su di me. "Nestor Fina," sibilò. "Lo ha conosciuto?" "Naturalmente," dissi. Ma lo dissi con indolenza, perché mi era parsa una citazione impropria. "Voglio dire: lo ha visto? Lo ha visto sul ring?" Tutto ciò che sapevo di Nestor Fina lo avevo appreso da riviste specializzate. Ricordavo una fotografia con lui in posa, i guantoni in alto, convenzionalmente all'altezza del volto, una dura faccia di puncher. "Visto no," dissi. "Era colombiano, mi pare. Boxava sempre laggiù." "Era venezuelano," precisò, e mi accorsi che egli sentì, in quel momento; di aver preso il sopravvento. "Nestor Fina," sussurrò, parlando ora a se stesso. Adesso intuivo che tutta la potenza di Nestor Fina era tra noi, ma non immaginavo il resto. "Era un martellatore nato," continuò, "non c'era misericordia in lui. Dicevano che era il nuovo Uzcudum, e anche più forte di Uzcudum, se possibile." "Uzcudum era di granito," dissi. "E Nestor?" incalzò il vecchio. "Era un treno, Nestor. Non c'è chi l'abbia fatto vacillare, se si eccettua quella volta, l'unica volta ... Un macigno, le dico. Ah, lei non l'ha visto. lo l'ho visto com'era, quando tirava fuori tutta la crudeltà che aveva in corpo. Ecco il segreto, la crudeltà! Pensi, l'ho visto colpire a sangue il fratello, in una palestra di Maracaibo, e l'avrebbe sfigurato se non glielo toglievano dalle mani. Mi creda, era capace di tutto fra quattro corde." "Ma finì male, mi pare." • "Per forza," disse in un sospiro, "come doveva finire? Glielo dico io: era una belva, ma ottuso, senza intelligenza, senza giudizio. Ha in mente Sonny Liston? Ecco, se lo immagini: Sonny Liston giovane." "Un tipo losco," dissi. "Losco. Però ingenuo. Si fidava di gente troppo scaltra. Sempre l'argent, no? E lo misero in mezzo. Se lo giocarono come un bambino. Lo spezzarono. Gli combinarono il match con Mateo Ibarra, e lo costrinsero a perdere. Non fu più lui." "Ma dopo Ibarra," rammentai, "si batté ancora. E vinse ... " Sorrise con sufficienza. "Vincere, lo chiama? Oh sì, vinse, e alla sua maniera, con furia. Mise giù Olmedo e poi tramortì Aparicio Godoy. Eppure non era più Nestor Fina, dentro di sé. Sapeva che erano tutti matches di consolazione per quell'unico che aveva dovuto perdere e per quell'altro BibliotecaGino Bianco STORIE/ROMANI che non avrebbe fatto mai, la rivincita ... " Adesso mi scrutava per capire quanto il suo racconto mi avvincesse. Voleva solo andare avanti e preparare il colpo di scena. "Stranezze, eh? Un atleta rovinato, un uomo vinto per forza, su ricatto. E un altro, un nonnulla, un Ibarra qualsiasi innalzato al suo posto. E perché questo, dottore? Per l'argent. E questi parlano, parlano ... "e rivolse il pollice oltre la sua spalla, verso la fila dei clienti. "Che ne sanno, questi. .. " "Mah!" commentai, "è la boxe peggiore ... " Non raccolse l'osservazione. Tornò a cercare il punto lontano dove si animavano per lui quelle immagini di lotta e di intrigo. "Peccato," disse tra sé, "chissà dove è ora Nestor. Dopo tanto tempo ... Lo sa, dottore, che cosa mi dispiace? Non avere il dono dello scrivere. Sapere tanti misteri della boxe e vedere questi qui che prendono tutto per buono, i gonzi. Pensi che libro ... " "Perché no?" dissi. "Ci sarebbe qualcosa di stupefacente, in quel libro. Di mio. Di mio personale," sottolineò. Aveva piazzato il colpo. Lo guardai interrogativamente. Allora abbassò la testa, portò un dito sopra l'occhio destro e mi indicò una cicatrice, proprio alla radice dell'arcata sopraccigliare. E siccome io annuivo senza dir niente mi spiegò: "Qui c'è passato Valeriano Vidal." Sobbalzai per la sorpresa. "Addirittura!" dissi. "Lui, lui," confermò, godendo della mia meraviglia. "Ma niente di ufficiale," precisò. "Un'esibizione. E sa quando? Dopo che ebbe tolto il titolo a Donovan. A Milwaukee, se ricorda ... " "A Milwaukee, sì." "Subito dopo Milwaukee. Quanto tornò a casa, a Cuba. Il suo primo incontro (ma non fu un incontro, fu un'esibizione) da campione del mondo, con la cintura ... " "Contro di lei!" ripetei. "Da non crederci! E lì, al sopracciglio ... Valeriano Vidal!" "In persona," assentì. E ridacchiò: "È la firma del campione del mondo!" L o guardai meglio perché provavo a immaginarmelo come doveva essere trent'anni prima, la notte che era comparso davanti a Valeriano Vidal. Ma non riuscivo a convincermi che il naso fosse abbastanza schiacciato, come si presume debba esserlo quello dei pugili, o che la faccia assomigliasse a certe maschere di gomma sfatta che si trovano spesso a bordo-ring. E insomma, non lo vedevo meno vecchio di com'era, con le borse sotto gli occhi e la dentiera sporgente. Dovevo sforzarmi di disegnare mentalmente una sagoma tozza e contratta - un fascio di nervi, come si dice - al posto di questo chiacchierone dall'eleganza posticcia, che mi strofinava i capelli nella più casuale bottega di un quar59
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