STORIE/DAVENPORT "Quando uscirono, Pinocchio aveva da poco svoltato l'angolo e un gendarme saltellò per un attimo, per un attimo si tirò i mustacchi, e poi si slanciò all'inseguimento." da fare che distrarsi leggendo un giornale. Come americano era abbastanza convincente. Poi videro Blériot. Un uomo dallo sguardo calmo, filosofico, se ne stava ritto a braccia conserte e gambe divaricate. Abbandonò due volte quella posa meditativa e procedette impettito dalla porta dell'aviorimessa verso il motore di un aeroplano sul quale due meccanici stavano lavorando. Il meccanico piegato sul motore continuava ad allungare all'indietro la mano vuota, agitando le dita, e l'altro meccanico gli passava ora una chiave, ora un cacciavite, ora una spazzola di metallo. - Quello dev'essere Blériot, disse Otto. Perché quella è la sua aeronave, quella con cui ha fatto la trasvolata della Manica. Più tardi, a cena, Max raccontò la storiella di quel padre che cavalca in compagnia del figlio. Incontrano un pittore che dipinge in un prato: "Quello è Cézanne", dice il figlio. "E come diavolo lo sai?" domanda il padre. E il figlio fa: "Sta dipingendo un Cézanne". Era proprio Blériot. Indossava una cuffia con le falde per le orecchie che si allacciavano sotto il mento, come le cuffie dei papi medioevali. Il suo era un naso del Cinquecento, un becco adatto a un uomo uccello. Continuava a slanciarsi in avanti, alzandosi sulle punte dei piedi e guardando le dita del meccanico. li Blériot Xl era una libellula gialla di legno lucidato a cera, di tela ben tesa e di fili. Sul fianco, in lettere squadrate ..di un grigio militare, si leggeva il nome: ANTOINETTE 25CV. Otto li informò che il motore era stato costruito da Alessandro Anzani. La potenza era tutta sulle spalle, di dove, su diversi piani tra loro ortogonali, si dipartivano le ali, le ruote e l'elica. Nonostante quel mirabile giallo e marinaresco intreccio di fili, era di una piccolezza preoccupante, poco più di una zanzara ingrandita fino all'altezza di una bicicletta. Accanto a loro, un uomo alto dalla folta capigliatura castana, si teneva il polso sinistro come se gli dolesse. Fu l'intensità del suo sguardo ad attirare l'attenzione di Kafka ancor più della magrezza allampanata che non faceva passare inosservati l'aeronautica e il meccanico. Era l'epoca dell'uomo uccello e del mago della macchina. Chissà che uno di quei volti preoccupati non fosse quello di Marinetti? Era una gru d'uomo, quello. Lo stesso disordine dei ricci capelli neri e la tensione delle lunghe dita pareva dicessero dello strano bisogno che l'uomo ha di volare. Parlava a un ometto basso con grembiule blu da meccanico e una benda sull'occhio. Dalla sua bocca si librarono a volo le parole "Aquilone volante sopra l'aerostazione, Hobere Luftstazion zun Drachensteigenlassen" Poi l'ometto alzò le mani tozze e piegò il capo interrogativamente. "Glossop" fu la risposta, cui seguì la verde parola "Derbyshire". Più in là un altro aeroplano veniva fatto rollare fuori della rimessa. Era preceduto da un aviatore che camminava all'indietro mentre dirigeva la manovra con gesti frenetici. Otto drizzò le spalle e s'avvicinò a un uomo che aveva tutta l'aria di essere italiano e anche reporter. - Informazione per favore, disse col tono roboante che Max e Franz pensavano r,iservasse solo ai camerieri di Praga. Gli occhi del reporter si fecero rotondi e luminosi. - Per esempio? - Chi è il aviatore colà, prego? - È Ruggiero, francese. - Domandagli se sa chi è quell'uomo alto dallo sguardo intenso e i capelli castani, disse Franz. - E quest'uomo di occhi penetrante e capigliatura riccia? li reporter non lo sapeva. ibliotecaGino Bianco Nessuno era ancora pronto per il volo. Si diressero verso le balle di paglia che separavano il campo di aviazione dalle tribune, sulle cui gradinate, sotto un baldacchino pavesato di bandiere, sedeva il bel mondo. Pareva il quadro impressionista più affollato della terra. L'imponente contessa Carlotta Primoli Bonaparte sedeva su una sedia di vimini al riparo di un parasole azzurro. Era al centro di uno stuolo di giovani signore velate di azzurro e di rosa. Che ci fossero le tre principesse di Borbone, Massimilla, Anatolia e Violante? L'aver lasciato le lunghe scalinate di Villa Medici, - ora cosparse delle prime foglie ·dell'autunno - gli alberi alti e le erme senza naso e i confini dei giardini cinti di mura romane, per le colline di Brescia, era stato solo una gita a cui erano invitate da maschi cugini tutti sciabole e baffi? Però dicevano che ci fosse D' Annunzio, che quell'anno aveva pubblicato una Fedra e una Contemplazione della morte, titoli che a Kafka evocavano ghirlande mortuarie; e non dicevano che prendeva lezioni di volo da Blériot? Videro Puccini. Stava appoggiato alle transenne di paglia a protezione delle tribune. Aveva il viso lungo e un naso da ubriacone. li cilindro di un gentiluomo nascondeva alla vista di Kafka il profilo di una signora dal mento perfetto e gli occhi da genziana, e poi, mentre Max cercava di mostrargli un ragazzo vestito alla marinara che camminava sulle mani, si accorse che tutto il tempo non aveva fatto che pensare all'erba alta, il mondo del topo. Blériot stava per volare. Braccia alzate. I meccanici si batterono le tasche. Blériot, roteando in aria con una disinvolta impennata, fu subito nella macchina e afferrò la leva della guida, una specie di timone verticale. C'erano meccanici dappertutto. Chissà se sapevano quel che facevano o se invece cercavano disperatamente di darsi un contegno. Blériot guardò verso le tribune ma ovviamente senza vederle. Guardò in tutte le direzioni, come per assicurarsi che il cielo fosse sempre là e che i punti cardinali si dipartissero ancora da lui, come sempre. Con un brivido nascosto sotto i risvolti del soprabito, Kafka si rese conto che, per quanto concerneva Blériot, non v'era nulla di straordinario in ciò che stava per accadere. Quegli aveva visto il lento incresparsi della Manica a migliaia di piedi sotto di lui; aveva visto fattorie e fiumi e città scorrere sotto di lui con la stessa naturalezza con cui si guarda la campagna dal finestrino di un treno. Aveva la sicurezza dell'atleta e la disinvoltura dell'atleta. Forse soltanto nella luce terribile dello straordinario c'era vera calma nelle azioni umane. Nulla di quel che faceva in quel momento era superfluo e fuori luogo. Un meccanico era all'elica e l'afferrò con tutte e due le mani poggiandosi su una gamba sola per far leva. La tirò verso il basso con violenza. Le ali della macchina ebbero un sussulto ma l'elica restò immobile. Intervenne un altro meccanico e questa volta essa roteò e scalciò, ma si bloccò in un'altra posizione. A turno fecero girare l'elica. li motore sputò e singhiozzò, spegnendosi sul più bello. Furono portate chiavi e cacciaviti e una latta d'olio, e si cominciò a lavorare sul motore. L'eccitazione nelle tribune andava scemando. Riprendevano i discorsi. Otto non staccava gli occhi da quella splendida macchina gialla. L'elica era ostinata, peggio che ostinata, perché dopo qualche frullo speranzoso spesso si fermava, e altrettanto spesso si rifiutava di girare. L'eroica indifferenza di Blériot stava venendo meno, benché anche le più belle signore italiane si rendessero conto che la colpa era del motore. Un barattolo d'olio con un lungo becco fu portato di corsa da un meccanico fuori dell'hangar. Un altro lo prese e lo ficcò qua e là nel motore. Un meccanico portò qualcosa 55
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