STORIE/DAVENPORT "Franz Kafka, cornacchia. La disperazione, come la gobba di gru sulia schiena ondeggiante di Kierkegaard, era al seguito di chi viaggiava." C'erano odissee in cui le sirene rimanevano mute. Senza il foglio davanti, concepiva storie di tale complessità e bizzarria che gli avrebbero meritato un cenno di approvazione di Dickens, il Pentateuco e Tolstoj d'Inghilterra. Davanti alla pagina la sua immaginazione si ritraeva come una lumaca cui qualcuno avesse toccato le corna. Se si potesse esternare e vivere il tempo interiore della mente, acquedotti e Samarcande e tori dentro mura che le legioni romane non hanno mai trovato, allora lui sarebbe un narratore di parabole, senza grazia forse, specie all'inizio, ma avrebbe imparato da affabulatori più smaliziati e dall'esperienza. Indosserebbe un antico scialle ricamato, conoscerebbe la legge, la vera legge di una tradizione incontaminata, e le erbe, e le storie delle famiglie e le loro migrazioni, e a quel filone di racconti aggiungerebbe i propri, se il fato gli avesse dato una visione più lucida. Narrerebbe di topi, come Babrius, e di uomini che scalano montagne, come Bunyàn. Racconterebbe delle navi dei morti, e dei cinesi, gli ebrei dell'altra metà del mondo, e della loro muraglia. - Che silenzio! fece Max. - Ascoltavo le sirene, disse Franz. D a Salò proseguirono in treno per Brescia, insieme a molti canestri di aglio e a un gallo che cantò per tutto il viaggio. In stazione era buio pesto. Kafka si domandò perché la gente che era lì andasse in giro senza lanterne. Mentre scivolava dentro Brescia, il treno pareva un cavallo lanciato al galoppo nel mercato dei polli di Praga che gettasse nel panico, una dopo l'altra, le casse dei pennuti al suo passaggio. Tutti i passeggeri s'erano alzati dai sedili prima del fischio d'arresto. Un austriaco cadde dal finestrino. Una donna chiese se nessuno lì intorno avesse visto suo cognato, che era un gentiluomo, corriere alla corte pontificia. Un cappello transitò sopra le teste di mano in mano. Agli sportelli, la gente che scendeva si urtava con gente che saliva. Promisero di non perdersi e poi di colpo si trovarono fuori dal treno. Otto riemerse dal fondo, Kafka da un lato e Max dalla parte anteriore, la cravatta sulla faccia. Strisce di luce intagliate nell'oscurità della stazione svelarono vedute di una Brescia color di miele, mandorle e salmone. Rosse colonne di fumo si levavano al di sopra di palazzi turriti. Persiane verdi dovunque. Ora che erano veramente in Italia, gli stivaletti di Kafka, e la fedora nera, che a Praga erano di un'eleganza così attuale, il frac nuovo stretto sui fianchi e le ampie falde parevano di una sobrietà fuori luogo, come se fosse venuto per difendere una causa invece che per assistere alla gara aerea di Montichiari. La terra di Pinocchio, disse a se stesso e, sfregandosi le mani e ammiccando nel forte chiarore della strada, rammentò a Otto e Max che si trovavano ormai nel paese di Leonardo da Vinci. Un cappello finì sul marciapiede. Una canna da passeggio portata nella piega di un braccio agganciò una canna da passeggio portata nella piega di un braccio. L'una tirò l'altra e insieme caddero. Pareva la scena madre di un'opera sull'arrivo dei barbari a Roma. Max, grazie a una certa prontezza di riflessi che non era alla portata di Otto e di Franz - i quali se ne stavano storditi più che semplicemente incerti sulla direzione da prendere - aveva già comprato un giornale. Sotto un titolo a caratteri cubitali, tutta l'importanza del loro viaggio veniva pròclamata in una prosa dai baffi impomatati, osservò Max. In Italia i giornali non venivano letti nei caffé ma sui marciapiedi, le pagine schiaffeggiate col dorso della mano, i passi più felici di un articolo letti ad alta voce.a degli sconosciuti. - Qui a Brescia, Max lesse, dopo che ebbe trovato un tavolo in ibliotecaGino Bianco un caffé di Corso Vittorio Emanuele, c'è una folla mai vista prima d'ora, mai, nemmeno in occasione delle grandi gare automobilistiche. C'è gente che viene da Venezia, dalla Liguria, dal Piemonte, dalla Toscana, da Roma e perfino da Napoli. Le nostre piazze brulicano di distinti signori venuti dalla Francia, dall'Inghilterra e dall'America. Gli alberghi sono pieni e anche tutti i buchi e le stanze disponibili nelle abitazioni private, e ogni giorno i prezzi salgono che è una bellezza. I mezzi per trasportare queste orde al circuito aereo sono a malapena sufficienti. Il ristorante dell'aerodromo è in condizione di servire tranquillamente un buon pasto a duemila persone, ma oltre le duemila sarebbe sicuramente un disastro. Franz fischiettò un'aria di Rossini. - La milizia, continuò a leggere Max, è già stata convocata per mantenere l'ordine ai posti.di ristoro. Presso i più modesti chioschi di bibite si accalcano ogni giorno ininterrottamente circa cinquantamila persone. Questo diceva "La Sentinella bresciana" del 9 settembre 1909. Presero un fiacre per andare al Comitato sperando di arrivare prima che quello cadesse in mille pezzi sotto di loro. Il vetturino, che per qualche ragione era raggiante di felicità, aveva l'aria di svoltare a ogni angolo di strada, una volta a sinistra e una a destra. A un certo punto imboccarono una strada che erano sicuri di aver già visto. Il Comitato stava in un palazzo. Gendarmi in guanti bianchi fecero tintinnare le lunghe sciabole e li indirizzarono verso portieri in camice grigio i quali indicarono la cima delle scale dove ufficiali in colletto di celluloide li indirizzarono verso enormi stanze dove altri ufficiali, con un leggero inchino, porsero fragili fogli di carta su cui essi scrissero nome, occupazione e indirizzo. Max si registrò orgogliosamente come romanziere e critico, Kafka scrisse maliziosamente giornalista, e Otto, canticchiando tra sé, ingegnere. Pinocchio, scalpitando per il corridoio con un gendarme alle calcagna, era già sparito quando Kafka ficcò la testa fuori dalla porta per vedere. Nella stanza verde in cui vennero convocati, i loro documenti furono aperti su una scrivania dietro la quale un ufficiale calvo in cravatta fucsia diede loro il benvenuto a nome della Società Aerea d'Italia. Trovò in un quadernetto il nome di un albergo e Max lo ricopiò. Quando uscirono, Pinocchio aveva da poco svoltato l'angolo e un gendarme saltellò per un attimo, per un attimo si tirò i mustacchi, e poi si lanciò all'inseguimento. 11padrone della bettola, quando vi giunsero, era una copia del funzionario del Comitato, solo che non ostentava nessuna cravatta. Mentre parlava, le dita gli si agitavano intorno alla faccia e dalle labbra gli volavano sputi. Si sfregò i gomiti, si inchinò col busto, e infilò il danaro, col quale egli sapeva che uomini di mondo e di affari par loro avrebbero certo voluto pagare anticipato, in qualche recesso della marsina. Interrogandosi reciprocamente in tutta serietà, scoprirono che la loro stanza era la più sporca che avessero mai visto. C'era anche un grosso foro rotondo nel pavimento da cui vedevano i giocatori di carte nella stanza di sotto e attraverso il quale, disse Max, più tardi si sarebbe arrampicato Sparafucile. Una luce piatta e antica stagnava sul colonnato del vecchio foro. Nel tempio di Ercole, ora provvisto di persiane verdi e rugginoso di licheni, c'era una Nike alata intenta a scrivere su uno scudo. Le piazze e le strade di Brescia erano le pagine di un libro sulla prospettiva. Si sarebbe potuto scrivere un romanzo in cui tutte le 53
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