INCONTRI/FORTINI "Si può definire ciò che è poesia per via negativa, ma dire ciò che non è significa dire ciò che le sta intorno, ciò con cui si tende e collutta." tutto poi nel mio caso, visto che di letteratura italiana mi occupo solo una volta ogni tanto perché uno scrittore mi stimola particolarmente in senso positivo o negativo, o anche perché semplicemente qualcuno mi ha raccomandato di parlarne, perché al giornale non sanno a chi affidare la recensione. Secondo me bisogna fare di questa casualità virt-u, fare di necessità virtu, e cercare all'interno di questa necessaria arbitrarietà della scelta dei testi, e del valore che può avere la recensione dal punto di vista della sua operatività all'interno del mondo letterario, di fare un discorso che vada al di là del libro. Questo è il massimo che si possa fare oggi; ma certo questo bisogna farlo con decisione, perché già facendolo ci si sottrae al mondo del sempre uguale, in cui qualsiasi libro è bellissimo, è strepitoso, è sempre una svolta nella letteratura. C'è una certa analogia tra la situazione del critico presente e passata, e il tramonto del mito del partito di cui si diceva prima. Come oggi non ci si può aspettare piu l'adempimento della promessa rivoluzionaria da un partito centralizzato, cosi non ci si può assolutamente aspettare da un solo critico o anche da una legione di critici la delineazione, l'ordinamento del territorio della letteratura in una situazione in cui i mezzi di comunicazione di massa possono facilmente distruggere col dito mignolo tutto quanto i critici piu preparati e piu saputi possono dire. E quindi come in politica bisogna cercare di cogliere tutte le occasioni, di afferrarsi a tutti gli appigli che possono ricreare dei centri che si oppongano al potere, cosi nello stesso modo il critico deve approfittare di tutte le occasioni che gli capitano, e che non gli possono non capitare all'interno degli organi piu o meno compromessi col potere, per cercare di fare un discorso che esca dalla linea prescritta dal potere egemonico che oggi impera dappertutto. P er uno strano paradosso Franco Fortini invece, di cui si potrebbe dire con buona approssimazione che possiede una visione tragica del mondo, ostile ad ogni storicismo della continuità, attenta a cogliere la contraddizione non sanabile e la lacerazione (memorabile, negli anni Cinquanta, una polemica contro la rimozione del problema della morte nella cultura della sinistra), sembra credere non solo nella necessità dell'opposizione, come Cases, ma anche proprio nella possibilità, anzi nellaprobabilità di incontrarsi con i primi, fragili, ma non cancellabili sintomi di una trasformazione positiva. L ei si è sempre opposto alla moda del negativo, alla "polverizzazione della positività"; nell'introduzione però ai Nuovi saggi italiani sembra farsi addirittura strada la convinzione che ci sia nelle cose una nuova positività che si sta rivelando. Che cosa le fa pensare che ci siano in corso dei cambiamenti positivi, quali possono esserne i segni? BibliotecaGino Bianco Mi sembra che questi, che neanche possiamo chiamare segni, in parte rientrino nei cosiddetti "vizi della speranza", e in parte siano rilevabili attraverso l'esperienza, i contatti, le letture. Ora, un ragionamento astratto potrebbe dire che davanti ai segni terribili di degrado dei rapporti umani, della vita quotidiana e dei rapporti personali, nazionali, internazionali, si è portati a supporre l'esistenza, il formarsi di antitesi. È una forma altrettanto puerile di quella del tale che pensava che se oggi è cattivo tempo domani deve essere meglio. Ma, piu seriamente, se si ha una certa idea di che cosa gli uomini siano o possano essere viene da credere realmente che all'aumento della negatività, alla sfida delle negatività, alla violenza dell'oppressione o della disumanità corrisponda lo sviluppo di "altro". A livello mondiale, è chiaro che ci si trova totalmente disarmati, impotenti, totalmente rassegnati e scettici. La tendenza a rendere le armi, a credere che non ci sia da fare nulla se non nelle forme già predisposte, fa nascere la tendenza all'isolamento, allo zen, al ritiro, all'astensione. Ma c'è anche una quantità di indici che vanno in direzione opposta; la culturizzazione di massa, o forzata, o snobistica, che è la conseguenza dell'alfabetizzazione degli ultimi vent'anni, è un fenomeno che ha delle conseguenze spaventevoli, ma è anche un dato col quale bisogna fare i conti. Noi possiamo ridere dei consumi culturali, i quali sono una delle peggiori forme, dei peggiori strumenti di alienazione, anzi sono probabilmente la forma dominante dell'alienazione, la via maestra che passa oggi attraverso quella che un tempo si sarebbe chiamata la sovrastruttura. E tuttavia la cosa sta raggiungendo esiti tali che sarebbe da sciocchi non vederne gli aspetti positivi. Questo doppio aspetto è una delle cose piu straordinarie che accadono sotto i nostri occhi. D'altra parte credo che sia anche stolto stare continuamente a seguire i segni dei tempi. Non si devono chiedere dei segni, e neanche star li continuamente a spiare le piccole e grandi mutazioni che avvengono nella struttura sociale. Allora uno ha l'impressione, molto forte, che i libri che fa, o che legge, siano delle trappole per catturare la vita propria e l'altrui, e atti di omaggio in sostanza a un meccanismo di riproduzione. Se non fossi un critico letterario, ma un filologo o uno studioso di scienze fisico-matematiche, forse potrei non avere questa sensazione, potrei pensare di posare il mio lavoro nell'alveo di una continuità di sapere, di un progresso della scienza. Ma siccome non lo sono, e nello stesso tempo so che quello che sto facendo non è un nulla, è qualcosa, questo qualcosa si pone come un segno scandalosamente duplice: perché per un verso è omaggio e adeguamento a qualcosa di pigro e ripetitivo; per un altro invece è "qualcosa". Libri come i Saggi italiani, dove s'alternano livelli diversi di discorso, manifestano questa condizione, e una, cito, "malsicurezza sulle ragioni - non solo sulla qualità - del proprio lavoro, quale alligna frequente fra chi è cresciuto tra il I930 e il I960", ma non fra i piu giovani. Quelli che sono vissuti negli ultimi dieci, quindici anni trovano che la costituzione del sapere, della critica letteraria per esempio, sia qualcosa 31
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