Linea d'ombra - anno V - n. 20 - ottobre 1987

INCONTRI/CASES negativo del mondo come quello attuale, ci sono tanti romanzi in cui l'eroe-non eroe, l'eroe che non sa che fare della propria vita, lo fa con tanta evidenza, con tanta plasticità, con tanta autenticità che il lettore si identifica, dice "questo sono io", "questa situazione di estrema deiezione è la mia". Questo succede con Kafka per esempio, e glielo riconosceva anche Adorno. Diceva: "perché Kafka ha un successo superiore a quello di tanti grandi scrittori del Novecento? perché il lettore si riconosce in lui"; e dunque anche Adorno derogava a questa sua norma per cui l'identificazione non è propria altro che della letteratura di massa. C'è un tipo di identificazione che è legittimo, quando questa identificazione non vien meno al rispetto della verità. Julien Sorel o Josef K. sono persone con cui ci si può identificare, che siano positive o negative dipende dallo stato del mondo, perché in ambo i casi lo scrittore non si fa delle illusioni su di loro. Stendhal sa che Julien Sorel è un personaggio che in qualche modo è al di fuori del suo tempo e che quindi deve necessariamente finir male; Kafka sa che Josef K. è un individuo che non troverà mai il coraggio di prendere in mano il proprio destino, e che se facesse questo diventerebbe un personaggio da romanzo d'appendice, se una mattina si svegliasse e dicesse "No, io voglio combattere le istituzioni e le farò fuori", ecco che, se ci riuscisse ... Sarebbe un po' Superman, un po' conte di Montecristo ... Appunto. Quanto alla questione del critico che non deve stare al gioco dell'autore, può darsi che anche in questo io esagerassi, perché immaginavo che la funzione del critico potesse svolgersi in modo esemplare, con il critico a fare da pendant, da contraltare dello scrittore, che fornisce l'opera che poi il critico giudica in base a delle coordinate che non sono necessariamente quelle dell'autore, bensi coordinate teoriche, filosofiche, che poi erano quelle dèl marxismo-leninismo. Adesso avrei piu rispetto per le intenzioni, per il mondo in senso desanctisiano dei concetti e delle idee dello scrittore, appunto perché non sono piu convinto che il critico possa avere sempre ragione di fronte allo scrittore, può anche essere il contrario, proprio perché i pregiudizi da cui parte ... diciamo, quelli di Tolstoj per esempio, sono sì pregiudizi, sono spesso errati, però gli permettono di fare il suo mestiere, di rendere la verità meglio di tante dottrine che si reggono meglio in piedi ma che non possono essere sposate dallo scrittore proprio perché rappresentano un tipo di unilateralità che lo paralizzerebbe. Se Tolstoj fosse stato marxista-leninista sarebbe stato un disastro, anche se Lukàcs può avere ragio-_ ne nel criticare la sua concezione della storia; ma appunto era una concezione che aveva una qualche verosimiglianza, e senza la quale lui avrebbe scritto dei libri trionfalistici che non sarebbero piaciuti a Lenin o a Lukàcs. Forse però lei è troppo autocritico. Dal punto di vistamio, e forse di una certa generazione, o comunque di chi chiede determinate funzioni anche sociali alla critica, proprio certi 30 BibliotecaGino Bianco atteggiamenti un po' drastici, il rispetto relativo per le intenzioni dello scrittore, o perlomeno l'esigenza che la critica emetta giudizi decisi, e stabilisca anche delle gerarchie e si assuma delle responsabilità, sia pur dubitando costantemente della fondatezza dei propri giudizi, è anzitutto un principio di metodo ancora valido, ed è poi un 'esigenza accentuata dalla situazione culturale degli ultimi anni, in cui buona parte della critica sembra eludere lafunzione valutativa, il compito di giudicare. Sì, forse nella furia autocritica ho finito per ritrovarmi d'accordo con quelli che vorrebbero che il critico non criticasse. Invece io naturalmente non sono d'accordo. Il critico dovrebbe emettere dei giudizi, e soprattutto dovrebbe avere una sana parzialità, non dovrebbe troppo lasciarsi spaventare dal pericolo di incorrere in errore, perché è sempre meglio sbagliare che non dir nulla e accodarsi a un andazzo che lascia le cose come sono, che non cerca di selezionare, di dare delle indicazioni, se non altro delle indicazioni di lettura. Faccio però anche osservare che i vecchi e memorabili "Quaderni piacentini", da cui siamo tutti discesi, già venticinque e piu anni fa avevano in qualche modo rinunciato, se non in casi particolari, alla funzione della critica facendo la famosa e contestatissima rubrica dei libri "da leggere" e "da non leggere". A distanza di venticinque anni la situazione si è aggravata, coè la pretesa che ci sia un critico, o venti critici, o una legione di critici che possano far fronte a tutta la produzione libraria, o anche solo a quella letteraria, o di romanzi se vuole, e trovare dei criteri per gerarchizzarla in modo che ne venga fuori una piramide in cima alla quale c'è Tizio, e poi sul fondo, non so, gli "Harmony", questa pretesa è oggi irrealizzabile, perché in un mondo in cui qualsiasi libro se è toccato dalle mani magiche di Pippo Baudo vende subito il giorno dopo centomila copie, non ha neanche molto senso tentare di fare un'operazione di questo genere, sarebbe donchisciottesco, perché quando bene tu, nel chiuso del tuo studio, credi di aver stabilito questa serie di valori in base alla quale puoi ordinare la letteratura, questa serie di valori sarà anche validissima, ma si rivela totalmente inef- · ficace, e quindi ti puoi sbracciare finché vuoi ma non riuscirai mai a imporre questi valori che ritieni imprescindibili. È una situazione che il mio compianto amico Primo Levi avrebbe chiamato "stocastica", in cui cioè le circostanze casuali e di carattere extra-letterario hanno un peso talmente grande che il critico assomiglia a uno di quei rari nantes in gurgite vasto che annaspano per tenersi a galla, e per avere una ragione d'essere in un mondo in cui è difficilissimo per il critico averne una. E allora credo che si debba accettare là casualità anche come condizione di esistenza del critico, la prima pretesa cioè a cui si deve rinunciare è quella di attribuire un'importanza capitale ai propri giudizi di valore. Una delle obiezioni che mi si fa è "perché non hai trattato Tizio o Caio o Sempronio", e questo dimostrerebbe già una mia sordità o incomprensione o avversione per lo scrittore X o Y; questo è un modo sbagliato di prendere le cose, soprat-

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