Linea d'ombra - anno V - n. 20 - ottobre 1987

INCONTRI/CASES "Il critico deve approfittare di tutte le occasioni che gli capitano per cercare di lare un discorso che esca dalla linea prescritta dal potere egemonico che oggi impera dappertutto." E sul piano teorico e critico-letterario lei sente ancora alle spalle una dottrina? Fino a che punto si ritiene ancora legato a Lukàcs o a atteggiamenti critici che da Lukàcs derivano? Mah, chi lo sa! (ridacchia) In pratica non mi sento piu legato a Lukàcs perché Lukàcs presupponeva la fiducia nell'esistenza di un partito il quale attaverso qualsiasi difficoltà, involuzione, eccetera, avrebbe prima o poi proceduto a un rivolgimento rivoluzionario. Ora, questo non è piu possibile crederlo, in nessun modo: il '68 ha definitivamente scosso questa certezza. Se il '68 e i movimenti post-sessantotteschi speravano in un rivolgimento sociale non era in questo modo, non cioè attraverso un partito fortemente organizzato, ma attraverso un'attivazione della collettività, dei gruppi, delle comunità reali, e non piu del partito come l'aveva definito Lukàcs, cioè come organizzazione della coscienza di classe, incarnata nell'intellighentsija che dirigeva il partito. Ma rispetto all'interpretazione della letteratura ... per esempio: la parola d'ordine lukacsiana del "realismo" può avere ancora qualche significato? Come parola d'ordine no, almeno nell'accezione che le dava Lukàcs. È vero però che hanno avuto torto sia Lukàcs che i suoi avversari, cioè l'idea che l'avvenire appartenesse al realismo critico socialista era tanto sbagliata quanto l'idea che il futuro appartenesse a un'avanguardia che si supera continuamente, che rifonda continuamente i propri mezzi formali, e che quindi avrebbe avuto un avvenire illimitato, che era piu o meno l'idea di Adorno, l'idea che nell'epoca moderna i mezzi formali vengano continuamente messi in discussione, cosi che la storia della letteratura, e della cultura in generale, diventa la storia del continuo auto-superamento di questi mezzi formali. Questa mi sembra che sia oggi una prospettiva (in forma normativa, in forma dogmatica) altrettanto erronea di quella di Lukàcs. La realtà è che forse sì, ancora si può dire che l'avanguardia ha maggiore vitalità, ancora oggi, diversamente da quanto pensava Lukàcs; però in determinate situazioni si possono avere ancora delle buone opere realiste, la campana a morto per il realismo non è affatto suonata definitivamente. Io dicevo questo nel saggio sulla Morante, dove sembravo del parere di quelli che davano la forma del romanzo per definitivamente morta: ma il romanzo poi rivive nelle forme piu svariate, penso si debba essere piu bachtiniani oggi, ritenere che le sue capacità di sopravvivenza siano notevoli. Quello che non è piu possibile è fare un romanzo tradizionale del tipo che vagheggiava allora la Morante ne La Storia , un romanzo che racconti tutto, che dia fondo a tutti i problemi: questo lo ritengo oggi inverosimile. Ma anche qui mi asterrei dal pronunciare giudizi perentori: vi sono delle opere che perlomeno assomigliano molto a quanto Lukàcs vagheggiava; penso per esempio a Vita e destino di Grossmann. Dai paesi socialisti possono venire in questo senso delle sorprese. Quello che certo oggi non mi sento piu di fare è dire "la BibliotecaGino Bianco letteratura va" o "deve andare" in questa direzione piuttosto che in un'altra. Proprio nel saggio sulla Morante c'era un 'altra affermazione su cui sarebbe interessante discutere: si diceva cioè che in un romanzo l'identificazione che il lettore opera con un personaggio è inversamente proporzionale alla capacità del testo di criticarela realtà, cosi che dove si ha un 'empatia spiccata la forza consolatoria e dunque anche mistificatrice del testo tenderebbe ad aumentare. È possibile generalizzarequesta tesi? Io allora partivo da una frase di Adorno che diceva che il divario fra la letteratura e la letteratura per le masse è che il principio d'identificazione deve valere assolutamente per questo secondo tipo di produzione, cioè il lettore deve identificarsi con i personaggi. Forse anche quella era una dottrina troppo radicale, perché effettivamente ci sono anche opere di alto livello letterario in cui il lettore tende naturalmente a identificarsi con i personaggi. Forse è proprio la volontà dell'identificazione piu che l'identificazione in sé che è sbagliata: in La Storia c'era certamente questa volontà, la volontà che il lettore fremesse di gioia o d'indignazione contemporaneamente alla scrittrice. Se uno si prende questo come obbiettivo allora è molto probabile che cada nella letteratura per le masse, nella letteratura amena. Se invece l'identificazione scaturisce naturalmente dalla stessa simpatia che l'autore prova per il proprio personaggio, ecco, allora è un altro discorso ..Non è detto che l'autore debba sempre essere guidato dall'impassibilità flaubertiana, ci sono autori che evidentemente prendono le parti del loro personaggio: allora può darsi che attraverso questa prima identificazione si verifichi anche l'identificazione del lettore, senza che ciò rechi danno al livello letterario dell'opera. Bisogna dunque tener presenti le intenzioni dell'autore nei confronti del. testo. Ma d'altra parte nel saggio su Metello lei sembra sostenere un principio di metodo che è quasi l'opposto, quando scrive che non bisogna mai dare retta fino in fondo all'autore, restare sullo stesso piano delle sue intenzioni: il critico deve distaccarsi e andare oltre, non stare al gioco che l'autore dichiara di giocare... Una cosa direi che non esclude l'altra. Io facevo il caso di scrittori i quali seguono il loro personaggio con evidente partecipazione e simpatia, e qualcosa di questa simpatia si trasmette nell'identificazione del lettore con il personaggio stesso. Leggere un romanzo di Stendhal senza identificarsi, che so, con Julien Sorel, è un po'difficile, ma l'identificazione non è primariamente voluta dallo scrittore, come accade invece in La,Storia, è un'identificazione dovuta al fatto che lo scrittore si riconosce in un personaggio che rappresenta, magari anche con qualche tratto autobiografico, i suoi ideali di vita, la sua concezione dell'uomo, e quindi questo si trasmette contagiosamente, ed è giusto che si trasmetta ai suoi lettori. E questo forse è possibile anche in uno stato 29

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