IL CONTESTO Ornette Coleman (foto di Paola Bensi). legare una "traduzione" della partitura, la quale conobbe un'unica nuova esecuzione, a Forth Worth nell'83, ancora insoddisfacente. John Giordano, direttore in quell'occasione, ha poi messo mano alla composizione, mettendone a punto in un lavoro a stretto contatto con Coleman una ulteriore versione, nella cui interpretazione ha guidato con grande impegno un'Orchestra Sinfonica del- !' Arena estremamente compresa dell'importanza dell'evento e stimolata dall'insolita impresa. Se la parola ha un significato, Skies of America continua a non apparire quel capolavoro che qualcuno, già nel'72, ha voluto ravvisarvi, pur costituendo un caso più unico che raro di incontro riuscito tra musica neroamericana e forme accademiche. Tuttavia il candore dell'improbabile avvicendarsi di parti esclusivamente orchestrali (che mostrano debiti riconoscibili) e di passaggi dominati dalle chitarre, dai bassi e dalle batterie del gruppo elettrico (trascorsi quindici anni Prime Time ha preso il posto del quartetto previsto dal progetto originario) e dai fiati e dal violino elettrico di Coleman, disegnano un'opera di non comune suggestione. La riedizione discografica annunciata dalla Caravan of Dreams consentirà di apprezzarla adeguatamente. Una verifica dal vivo attende invece il quartetto che a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta tanto contribuì a mettere a soqquadro l'estetica jazzistica, quando Coleman, Cherry, Haden e Higgins avranno avuto il tempo di rinnovare la loro reciproca dimestichezza: la storica formazione si esibirà in Europa nel corso di una tournée che tra ottobre e novembre toccherà anche l'Italia. La qualità della musica contenuta nella prima metà di Ali Languages, con accenti che la distanziano dalla vera riproduzione della poetica di tre decenni fa, è molto alta, Coleman improvvisa abbondantemente e in maniera formidabile, molto anche al sax tenore, e i partner sono sempre splendidi, ma si fa sentire una certa mancanza di tensione espressiva: viene da azzardare che non si tratti, come Coleman ritiene, di una semplice questione di rodaggio. L'operazione, ovviamente, ha una legittimità che non aveva Old and New Dreams, quartetto colemaniano senza Coleman, e il sassofonista è totalmente insospettabile di intenzioni banalmente celebrative o di compromessi "commerciali", nel senso di una diversificazione del prodotto che fornisca a chi non ami il free funk di Prime Time la jazzisticità del vecchio quartetto: le sue ragioni, oltre che nel naturale desiderio di ritrovare un sodalizio perfetto, vanno probabilmente B · llotecaGino Bianco viste nella volontà di ribadire, di fronte ad una critica e ad una opinione che, al di là dei risultati del referendum di "Down Beat", resta ancora in buona misura recalcitrante, la validità di quell'esperienza, e di fornire la traccia di un percorso: con atteggiamento quasi esplicitamente pedagogico, e di rivendicazione di continuità davanti ai critici del Coleman odierno (più di un brano compare sia nel primo che nel secondo disco); che mette tra l'altro a disposizione nel mercato discografico un campionario di una musica che nelle sue prove storiche è oggi di non agevole reperibilità. È la musica del Prime Time a impressionare: dopo dieci anni ed oltre, con una longevità rimarchevole, sfugge alla stanchezza alle comodità, continua ad aggiornarsi, ad arricchirsi, a maturare, e raggiunge, in brani come Today, Yesterday and Tomorrow o Space Church, vertici di folgorante bellezza. Prodotto di un'arte che sarà l'oggetto di un "convegno internazionale di studi jazzistici" in programma a Trento il 15 e 16 novembre, in concomitanza con il passaggio del quartetto di Coleman che vi si esibirà la prima sera.
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