Linea d'ombra - anno V - n. 20 - ottobre 1987

no (fanciulla in fiore biondorossa e con efelidi) ma qui sorridente c'è anche nel film del laico Comencini Un ragazzo di Calabria: una fatina. Tanto ci si recava a vedere Olmi prevenuti a favore, tanto si era dopo la Storia prevenuti contro il film di Comencini. Inutile, i plot suggestionano, e si pensava alle grandi possibilità ricavabili dalla trama dell'Olmi, temendo il peggior De Rita o Craxi - pensiero da quella del Comencini. Ma Comencini conosce i suoi limiti meglio di Olmi, e il suo film finisce per essere migliore: all'altezza delle sue non grandi ambizioni. È un raccontino mensile del libro Cuore, quasi un secolo dopo, ché lì il piccolo calabrese era ancora distinto dai bambini del Nord per le sopracciglia riunite in un'unica folta riga! L'arte di farsi strada nel mondo a partire da condizioni di sfavore ha sempre visto lo sport tra i suoi mezzi (Mennea insegni, e forse un po' più di aggressiva spinta ad emergere nel ragazzino troppo buono del film ci sarebbe voluta). Ma se non si tacciono certi dati di fondo (lo zio della 'ndrangheta, un contesto di violenza detto però solo a parole, la scuola retrograda e aulica) pure si insiste sull'umanità dei personaggi, sulla lacrima possibile e facile, e si fa leva sulla perizia indubbia di una narrazione classicamente fluida, conchiusa, di solidissimo mestiere. Di Comencini può piacere il tocco sereno, populista da sempre, ma che sembra oggi aver rinnegato la cupezza misantropica da populista pentito che fu il suo Ingorgo. E può piacere che parli di Calabria, anche se questa regione rimasta l'unica davvero "altra" del paese, è (ci vediamo una punta di viltà) quella del '60 e non quella di oggi. Può infine piacere la credibilità del suo ragazzo, come del padre reso da Abbatantuono. La favoletta di Comencini ha in comune con la metafora gotica e notturna di Olmi l'aspetto didascalico; Giuliae Giulia di Peter Del Monte solo l'aspetto gotico-notturno, ma non ha certo alcuna preoccupazione didascalica. BibliotecaGino Bianco TORNO if uv/tt rl!if!dti ritf e ll(JlJ{l Già incerto quando riesce a fare i film che vuole, in quelli che combina mediando interessi disparati Del Monte ci appare più pretenzioso, non sorretto da un talento originale e forte. L'ispirazione è sincera, e lo sono le ossessioni, le sofferenze, la simpateticità autentica con i suoi personaggi, ma purtroppo non c'è un gran talento, non una grande poesia. La sceneggiatura di Giulia e Giulia è costruita abilmente - ma è risaputa, risaputa ... - e la regia vede la notte anche a mezzogiorno, ed è lenta, inerte ... La massiccia Turner non è certo aiutata ad accostarcisi; e ci si trova a divagare su come, con storie consimili, sapevano ricamare mettiamo le accoppiate Cukor-Bergman, Lang-Bennett, e via hollywoodiando. E viene da consigliare a Del Monte la lettura di Woollrich, invece che quella dei sacri testi freudiani, per impadronirsi meglio dei meccanismi. Ancora una fiaba, che ci viene però da Cannes e non da Venezia, è il film dei Taviani Good Morning Babilonia. La scioltezza narrativa e la maestria tecnica i Taviani le hanno ormai solidamente afferrate, egrazie un pochino al poheta Guerra anche una scioltezza più interna, di trovatine (pohetiche) spesso assai efficaci. La loro fiaba si accosta ai Maggi e ai Pupi, è grandiloquente e spavalda. Ma ha davvero un fondo delirante. Appare infatti come un incredibile e ribaldo poema d'amore·a sè medesimi, ai fratelli Taviani - idealizzati figli degli artigiani toscani nipoti di Michelangelo e Leonardo. 1 fratelli Taviani lo dicono scherzando, ma sembrano ahimé crederci davvero, così come non hanno dubbi sull'equazione: cattedrali / cinematografo e sull'equipollenza degli autori di quelle con quelli dei film. Beata fiducia, beata follia oggi, che queste cattedrali stanno crollando o si sono tutte miniaturizzate a misura del piccolo schermo e hanno persino perduto il fascino baracconesco degli elefanti di cartapesta del loro film? L'aspetto più fresco e attraen.te del film è nel suo inno alla frate!- Una scena di Notte italiana. ILCONTESTO lanza, ma si tratta poi di una fratellanza troppo specifica, come è la loro. I Taviani hanno rinunciato da tempo alle ambizioni metaforico-politico metafisiche tardo-lukacsiane o meglio aristarchiane o, meglio ancora, sartro-rossandiane; hanno scoperto presto il mito, e si attestano ora sulla fiaba. Né Michelangelo (ovvio) e neanche Griffith: piuttosto Disney, rivisitato dalla Toscanina del Granduca e di Sussi e Biribissi (non di Pinocchio). La musica di Piovani, onnipresente come un Morricone, è piacevolmente volgare, come sempre e come, stavolta, di dovere. La vecchia signora Manca sorride ed esulta; grazie alla TV pubblico/privata e, prima, ad altre alleanze meno brillanti, il cinema è suo, una succursale del piccolo schermo assistita non coi criteri del WWF ma con quelli più antichi del clientelato. E che poi, tra fiabe e metafore, il cinema rinunci a guardare in faccia la realtà di questi anni e di questo paese, è solo una conseguenza che gli autori hanno istintivamente afferrato per primi. Diciamo dunque un piccolo grazie a Mo- . retti per aver prodotto l'unico film italiano recente e "veneziano" che rivaluti un occhio aperto sul melmoso mondo delle complicità e del benessere. La regia di Mazzacurati è scolastica (ma meno che nel suo producer, e con qualche tentazione lirico-paesaggistica mal controllata o presto repressa), la sceneggiatura di una solidità solo apparente, perché là regia non la sostiene, ma ciò nonostante l'Italia c'è, ed è come qualsiasi suo abitante senza il prosciutto sugli occhi non ignora - tutto fuorché bella. E forse la provincia è più brutta delle città, perché più grassamente conformista. Mazzacurati la descrive degnamente: la vaga benevolenza che lo sguardo del personaggio - ingenuo più del reale, ma il cliché continua a funzionare - proietta inizialmente sulla parata di "simpatici" dotati ciascuno di quella bizzarria narcisista che pare uscita da "Quelli della notte" (ma così è l'Italia, così la sua provincia ricca) si ribalta, al dunque delle scoperte cruciali sulla base di questa ricchezza. Le complicità ci sono tutte, e si osa perfino dire di quelle politiche e della morale "socialista", che fa da nuovo loro collante. Ve li raccomando, questi "simpatici"! La "notte italiana" del finale è la cosa più nuova del film: ed è la prima volta che qualcuno la dice e la mostra. Mazzacurati sceglie di non calcare sul tono perché ciò gli è congeniale o per qualche opportunismo? Non importa, Noi/e italiana è un piccolo passo in una direzione molto giusta. 17

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