=========== CHISENEINTENDE ======== --- LOCHIAMAVA ========== "ILDEVOTO-OLI" ' ========== ORALOCHIAMERA ======== "ILNUOVODEVOTO-OLI" ---ELOTROVA~~~~~~ ===== NELLEMIGLIORILIBRERIELa tradizione che si rinnova, che muta ... per rimanere fedele a se stessa. Grazie a un lungo e accurato lavoro di Gian Carlo Oli, coadiuvato da un'autorevole équipe di docenti universitari, di esperti delle varie discipline e di artisti di valore, vede oggi la luce questa nuova, preziosa e indispensabile opera in 2 volumi. NUOVOVOCABOLARIOILLUSTRATO DELLALINGUAITALIANA 150.000LEMMI, 6.740ILLUSTRAZIONI,96 TAVOLEA COLORI PERESSEREIN SINTONIACONLAREALTÀLINGUISTICAE CULTURALEIN CUIVIVIAMO )L Selezione = dal Rç8der'sDigest ALSERVIZIODELLALINGUAITALIANA Biblioteca Gino Bianco
Per chi scrive Giornalisti, saggisti, romanzieri, traduttori, possono dimenticare la vecchiamacchina da scriveree adottare Macintosh (Macintosh Plus TM, Macintosh SE™, Macintosh II™) come nuova tastiera, archivio, agenda personale, biblioteca, terminale per comunicarecon le banche dati di tutto il mondo, posta elettronica ("Salve Hans, traducimi questo pezzo al più presto, quando torno 'sta sera a casa vorrei trovare la traduzione sul mio video.") "Ciao Marina, ho trovato due locali ok - zona Brera ti lascio la piantina sul video, fammi sapere cosa ne pensi, love Roberto") - Intanto Macintosh TM immagazzina pagine su pagine, corregge quante volte si vuole, sillaba i testi automaticamente, impagina con la rapidità del fulmine. Lasciando spazio a foto, titoli, didascalie.E poi costruiscein tempo reale grafici, tabelle, box, pubblicità. Premete il tasto di "Stampa" e il vostro ultimo racconto esce già definitivamenteimpaginato per andare dal tipografo. Macintosh conserva nella sua memoria centinaia di pagine. Ma anche migliaia, se vi occorre. li nuovo Macinlosh li è la macchina più perfezionala per la geslione di grosse quanlilà di dati, sia in lermini di capacilà che i Bibli/er, i. ;. lo ita.jno Bianco Voletetrasformar Per gli editori Macintosh™è il computer "da scrivania" che fa diventare tutti editori. Appie®EDIT (Macintosh™ è il pezzo centrale del sistema) fa tutto il lavoro di composizione, correzione e impaginazione. Appie®EDIT è il più affermato sistema di editoria elettronica esistente, in grado di realizzare qualunque tipo di documento o stampato, dalla bozza inizialealla stampa finale: libri, riviste, cataloghi, manuali, relazioni, listini, ecc. Appie®EDIT taglia tutti i passaggi intermedi fra lo scritto e la pellicoladefinitiva da mandare in stampa. Concentra sul suo schermo tutte le funzioni: battitura, correzione bozze, menabò, impaginato iniziale, controllo impaginato, tagli, aggiunte, impaginato definitivo, montaggi... Insomma nessuna lavorazione da fare fuori azienda e quindi costi di produzione ridotti all'osso. Il sistemaAppie®EDIT offre tre modelli di computer da scrivania: Macintosh Plus, Macintosh SE e Macintosh II, più la sofisticata stampante Laser Writer TM a tecnologia Laser in grado di stampare con ben 35 Macin/osh Plus, trasforma in "edilori e/e/Ironici" scrillori, lradul/ori, iiornalisli, copy wriler, ma anche in/ere redazioni, caporedallori, grafici, crea/ivi, arl-direclor, fotocomposi/ori, lipografi... caratteri tipografici diversi qualunque lay-out definitivo su carta, pellicola, buste, etichette... Per pubblicitàe grafica Macintosh TM è il mezzo in assoluto più versatilee veloce per partire da un'idea "creativa" e
in editorielettronici? arrivare al lay-out finale. "Head line", "body cop_y", marchi originali, stili, corpi, elaborazioni grafiche, disegni, retini, vengonogestiti tutti sullo schermo di Macintosh TM (anche a colori) con una facilità e una immediatezzainimmaginabiliper un grafico pubblicitario, un copywriter o un creativo in genere abituati a una notevoledipendenza da fornitori esterni. Prime stesure di testo, lay-out provvisorio,. simulazionedel testo, reprocamera, montaggi, bromografo, negativi, typon, forbici, strisciate, colla, tipometro, sono tutti momenti e strumenti che vengono dimenticati. Macintosh compone testi, elabora corpi, crea logo, cambia in tempo reale giustezza, stili, impaginazioni,ingrandisce, rimpicciolisce,corregge, disegna a due e tre dimensionie alla fine fornisce le pellicoledefinitiveper la stampa (anche a 4 colori). La s10mpante LaserWriter: in poche ore tutto un numero come questo di Linea d'Ombra già pronto in pellicola da portare in tipografia. Il sìstemaAppie®EDIT Macintosh è ormai una scelta affidabile e sicura, com·e testimoniano le migliaiadi aziende presso le quali è già in uso (nel mondo ne sono stati comprati oltre l milione, forse anche per via del suo accessibilissimoprezzo: dai 3 ai lO milioni di lire a seconda del modello scelto). Documentie programmi sono infatti raffigurati da "icone", cioè immagini stilizzateche riconosceretea prima vista: cartellette per gli scritti, blocknotes, archivi, calcolatrici, un cestino per la carta. Anche il linguaggiousato per i comandi vi sarà familiare. Tutti i comandi infatti sono scritti in italiano e sulla scrivania un dispositivochiamato "mouse" (puntatore) selezionaper voi i programmi, apre i documenti, aziona le procedure. Scopriretecome sia possibile pilotare uno dei computer più potenti con i gesti più istintivi: e così in poche ore si impara ad usare un programma pronti per capire il successivo. Ma Macintoshè anche un sistema aperto: in rete si possono collegare senza specialiinterventi fino a 32 sistemidiversi. Inoltre inserendo un'altra scheda viene aperta la comunicazionecon praticamente qualsiasi altro "mainframe" o minicomputer: IBM, Digitai, Data Generai, Hewlett-Packard, Prime... Tutto questo è Appie®EDIT. Vi pare poco? A noi no. Ma se volete sapere tutto su Appie®EDIT venite alla CAT ("Computer Advanced Technologies" di Milano) l'Appie Center che ha fornito e installato i Macintosh alla redazione di "Linea d'Ombra". COMPUTER ADVANCED TECHNOLOGIES Via San Vittore, 6 20123 Milano tel. (02) 87.19.46
~j/iii:Iiili"i:Kti1Iit11ttl1 ~ • Provinciadi Milano Assessorato ai Servizi Sociali e Cultura Con il patrocinio Ministero della PubblicaIstruzione Direzione Generale degli Scambi Culturali Convegnointernazionale lontano da dove La nuova immigrazione e le sue culture 6-7 novembre 1987 Palazzo lsimbardi Corso Monforte, 35 - Milano Segreteria organizzativa Provincia di Milano Settore Servizi Sociali Viale Piceno, 60 - 20129 Milano tel. 02/7491231 int. 177/179 Settore Cultura Via Guicciardini, 6 - 20129 Milano tel. 02/7740.2919-2809
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DISCUSSIONE COSASOGNANO LEFORMICHEVERDI Gianfranco Bettin "Il matrimonio della ragione e dell'incubo": cosi James Ballard, di recente, ha definito il nostro secolo. Prolifico e celebre come autore di science-fiction, Ballard ci ha dato, da ultimo, un romanzo inquietante e avvincente, autobiografico: L'impero del sole, vicenda di avventura e di formazione di un ragazzo inglese cresciuto a Shanghai negli anni della seconda guerra mondiale. "Ho visto l'inizio della terza guerra mondiale" afferma alla fine, alludendo al sole di Hiroshima, alla grande vampa nucleare che annuncia, in quell'estre- , ma estate di guerra, la vera svolta del secolo. , Ragione ed incubo: "penso alla bomba atomica, ai cam- ! pi di concentramento nazisti, alla Russia di Stalin alla diistruzione ecologica del pianeta", precisa Ballard e 'in pochi , tratti delinea l'agghiacciante scenario che sovrasta qualsiasi •autentica opzione etica e politica di oggi. ' Forse, nessuna parola come quella tedesca angst (che al- ; !ude, fin nel suono, a un'angoscia vasta a profonda, pesante) indica meglio il frutto di questo "matrimonio". Non a caso proprio la Germania, paese tuttora segnato da un "passato che non passa" nonché crocevia della pace e della guerra attuali, paese in cui le piogge e le nebbie scendono acide e dense di tutti i fantasmi del nostro tempo, ha visto nascere in sé prima che altrove il solo movimento che osi esplicitamente e radicalmente contestare questo nesso pervertito di ragione ed incubo. La precocità "verde" della Germania si spiega, oltre che con alcune interne condizioni politiche, anche con questa esperienza che concentra ed esaspera eccezionalmente elementi simbolici e contraddizioni oggettive di questo scorcio di secolo. Certo, vi si può anche rintracciare un tocco tipico della tradizione culturale germanica, grave, adusa a pensare in g_rande, a inseguire Storia e Pensiero sui percorsi piu rischiosi e suggestivi. A caricarsi, insomma, del "peso del mondo", come recita nel titolo il diario esistenzial-letterario di Peter Handke. Ma è altrettanto certo che è difficile non condivi- ~ere tale ~everità di approccio, e nepppure quel brivido, quel- ! angst, ripensando alla descrizione del '900, lapidaria e in essen~a precisa, di Ballard. L'impero del sole, edificato dalla ragione e ispirato e visitato dall'incubo, si stende attorno, sopr_ae dentro di noi. Forse, quell'asprezza, quella tensione, p_erfmoquell'enfasi retorica che stanno all'origine dell'esperienza verde in Germania sono proprio ciò di cui altrove ad esempio in Italia, si sente una certa mancanza. P~rché co~ tutti i suoi eccessi, i suoi furori, la si sente sincera, frutto di una profonda inquietudine, ed eticamente e culturalmente impegnata a ri_sponderle, misurandosi con tutta la complessità condensata m quel disagio e in quell'angoscia: Hiroshima cert~, _ma a~che Auschwitz; e Stalin, e il cielo sopra Berlino, d1v1so? ~ 11Reno i_nagonia; e Cernobyl. .. Storia e politica, attuahta e memoria danno spessore a ciò che non può quin6 BibliotecaGino Bianco di ridursi a scelta leggera, a moda di stagione. La crucialità della scelta "verde", con il suo segno di rottura epocale e straordinariamente impegnativa, si staglia netta, pur emergendo spesso dalla verbosità un po' predicatoria e dalle rissose velleità di leader, correnti e gruppi interni al movimento. Piu ordinata e meno severa appare invece, finora, a un primo bilancio, l'esperienza dei Verdi italiani. Piu volentieri si presenta "leggera", con accenti divertiti, e preferisce sottolineare la "gioia" piuttosto che l'angoscia di vivere (che è qualcosa di diverso e piu complicato della paura di morire). Insomma, piu spesso guarda al sole che ride piuttosto che all'impero sottostante, ai suoi orrori, alle sue vittime, alle complicità e ai miraggi che suscita. Potrebbe non essere, per questo, una scelta fragile e, diciamo, di stagione. Non si può avere sempre l'abisso negli occhi e la gravità nella voce, né essere soltanto profeti di sventura. O, almeno, non lo si può essere quando si decide di assumere responsabilità politiche. Cassandra, purtroppo, non è una figura centrale della cultura occidentale, e dovrebbe invece esserlo, contro la sicumera della sua ratio; ma non sarebbe a lei, comunque, da affidare la guida della cosa pubblica, che richiede una certa dose di incoscienza, di sfida al pessimismo, perfino di cinismo (cioè di fredda manipolazione del presente e delle sue limitate possibilità). Quando è frutto di una latente e consapevole disperazione, questa freddezza produce a volte atti di saggezza. Quando nasce dalla rassegnazione o dall'adesione al presen- ~e, si ~iduce a tecnica del potere. E quando, invece, è solo mcosc1enza, allora produce avventùre tragiche, o ridicole. Dunque, l'understatement e il look primaverile dei Verdi italiani non sono di per sé indici di una loro maggiore frivolezza rispetto ai compagni tedeschi o di altri paesi del Nord Europa. Il punto è un altro: è che la fase piu recente dell'esperienza verde italiana, quella che ha dato ai Verdi successo e popolarità, ha distorto alcuni significativi caratteri originari e ha potenziato e moltiplicato gli aspetti piu discutibili e ambigui. In particolare, ha trasmesso ai Verdi modalità e dinamiche tipiche della politica tradizionale e ne ha esposto vertiginosamente la riflessione teorica e culturale che prima seguiva una via originale, all'influsso dei mass-m'edia e delle voghe correnti. Non è stato sempre cosi. I primi gruppi e le prime fasi dell'avventura verde - diciamo: tra il '77 e i primi anni '80 - hanno coltivato una propria alterità, staccata e diffidente sia nei confronti della politica sia verso miti e riti dei massmedia. È una storia minoritaria e d'opposizione, con velleità di alternativa integrale, a volte; altre volte, piu fecondemente, protesa invece alla ricerca di piu ampi legami con la vita quotidiana, i suoi problemi e la sua qualità (con il lavoro di denuncia e di proposta su alimentazione, consumi, struttura delle città, risorse energetiche ecc.). È, insomma, la fase generativa delle tante isole del cosiddetto "arcipelago verde"; fase pre-politica, in un certo senso; o, forse, la fase di piu autentica innovazione politica. Vi si sono incontrati diversi, ma ugualmente eccentrici, in Italia, atteggiamenti: dal distac-
DISCUSSIONE "La fase più recente dell'esperienza verde italiana ne ha distorto alcuni significativi caratteri originari e ha potenziato e moltiplicato gli aspetti più discutibili e ambigui." co "impolitico" un po' aristocratico, delle associazioni ambientaliste storiche (come Italia Nostra o il WWF), alla militanza disincantata dei nuovi gruppi, quasi tutti sospinti fin lf dall'onda piu lunga del '68 e dei suoi dintorni. Erano, si rammenti, gli anni del piombo e del riflusso; gli spari echeg- .giavano intorno e la marea rischiava sempre di sommergerle, ma infine le isolette sono rimaste in superficie. Il lavoro dell'arcipelago produceva qualche effetto locale (qualche area verde salvata, qualche lotta urbana yincente, qualche nucleo di contro-informazione e ricerca, come le Università Verdi o la rete di riviste e bollettini), mentre sul piano globale riusciva a malapena a limitare i danni del Piano Energetico Nazionale (cioè a impedire la previsione di un maggior numero di centrali nucleari in Italia, inizialmente proposte a decine). Nel complesso, però, la condizione dei Verdi era di sostanziale inermità e marginalità. Le cose sono mutate d'improvviso con l'affiorare spaventoso della crisi ecologica, tradottasi in una sequenza impressionante di disastri locali e diffusi e infine esplosa, con l'impatto di uno choc collettivo, nei giorni di Cernobyl. Dall'85 in poi, una crescente attenzione si è concentrata sulle tematiche verdi, spingendo quello che era uno sparso ·arcipelago a darsi forma e linea politica. È a questo punto ·che cominciano i problemi, e che emerge una specifica fragi- :lità dei Verdi italiani. Contrariamente a quel che spesso s'in- ,tende, non è una fragilità politica. Al contrario, la forma ·politica assunta dal movimento verde è quanto di piu smaliziato e sofisticato abbia prodotto l'azione collettiva in questi anni. Esso si dispone strutturalmente e organicamente su diversi livelli: il movimento vero e proprio, l'arcipelago, attraverso una rete di gruppi, associazioni, centri di intervento, documentazione e informazione, attiva e ramificata in molte regioni; il livello istituzionale, con la presenza di 114 consiglieri regionali, provinciali e comunali e, ora, di 13 deputati e 2 senatori; l'ambito dei mass-media, frequentato con estrema disinvoltura, efficacia e, per cosi dire, famigliarità dai Verdi (che sono la prima forza politica ad avere, in un certo senso, incorporato lo strumento dei mass-media come tribuna interna e come tramite per rivolgersi all'esterno: i veri dibattiti tra i Verdi avvengono li, e spcsso le vere battaglie e campagne politiche, piu che nella realtà, vengono giocate dentro i media, secondo una tendenza ormai diffusa ma che i Verdi sembrano aver fatta propria con piena naturalezza). Su questi tre poli - movimento, istituzioni, mass-mç_dìgt - i Verdi giocano oggi le proprie iniziative e la propria identità. È un gioco, si diceva, sofisticato e moderno, ma gravido di incognite e di rischi. Il principale dei quali è appunto l'emergere, sul piano dell'identità culturale, di una preoccupante fragilità e inadeguatezza dei Verdi. Non dunque, l'ingenuità o la sprovvedutezza politica ne rappresenta il limite: non ci sono, o· sono pochissime, le candide colombe e gli inermi agnelli; vi sono ipvece, in prevalenza, volpi, lupi, orsacchiotti, corvi, falchi, talpe, serpi e altre specie tutt'altro che ingenue. E va bene cosi: sull'arca, infatti c'è posto per tutti. Ma a patto BibliotecaGino Bianco che nessuno venga a vendere ombrelli, speculando sulla pioggia, e che ci si avvii in una comune ricerca di nuovi riferimenti. È questa la specifica e grave fragilità dei Verdi italiani: è una fragilità culturale, non recente, marcatamente esasperata dalla tendenza (piu o meno consapevole) a lasciarsi fagocitare dal gioco dei mass-media soprattutto, e forse, in prospettiva, della Politica. Di questa fragilità e di questa tendenza è uno specchio, suo malgrado, la recente pubblicazione di una Antologia verde, curata da Enzo Tiezzi e Mario Passi, due esponenti di rilievo della Lega Ambiente (l'associazione ambientalista piu influente nel movimento). Vi si ritrovano i pregi e i limiti della vicenda culturale verde. Essa si è costituita, in Italia, negli ultimi venti anni soprattutto, lungo due assi paralleli: da una parte, un nuovo specialismo, un orientamento scientifico e tecnico rigoroso, critico verso gli scopi della scienza dominante; dall'altra, la ricerca di riferimenti culturali e ideali antagonisti a quelli prevalenti. Il primo asse di ricerca è stato spesso fecondo, producendo una serie di esperienze e un patrimonio di "saperi" al quale si attinge continuamente: di qui vengono le proposte alternative in materia di urbanistica, piani energetici, riciclo dei rifiuti, depurazione di corsi d'acqua, ecc. Questo "specialismo" insomma è un bene prezioso e concreto e ad esso va inoltre il merito di innervare di linee alternative la critica, altrimenti solo astratta, ai paradigmi tecnico-scientifici dominanti. Ma è sull'altro asse (e sul rapporto tra i due) che le cose convincono meno. I riferimenti culturali di fondo sono rimasti indietro, troppo indietro, sia rispetto alle acquisizioni specialistiche e settoriali dei Verdi, sia rispetto alla drammaticità e complessità del nostro tempo. Nel migliore dei casi, ad esempio sul versante nonviolento e pacifista, si sono recuperate alcune figure o correnti che erano state accantonate o dimenticate nel vortice politico-ideologico degli anni '60 e '70, come Gandhi, o Capitini. In qualche caso, si è proceduto a un loro aggiornamento, come nel vasto ''.censimento" di esperienze nonviolente operato da Gene Sharp. Ma largamente ignorati sono stati altri sviluppi della riflessione eco-pacifista e nonviolenti, spintisi sul terreno stesso dell'etica, dei valori morali, ad opera ad esempio di Hannah Arendt, Simone Weil, dello stesso Marcuse letto dopo la fine dell'agitazione post-68 e di altri "francofortesi", di Gunther Anders e di Norbert Elias (due grandi vecchi di oggi, questi ultimi; entrambi capaci di tratteggiare lo sfondo epocale che ci contiene, sia pure con accenti diversi: il primo, con l'aggressiva disperazione di chi ha distrutto ogni idolo e tuttavia conserva abbastanza tensione, e volontà e ironia, per denunciare, smascherare, procedere nella lotta; il secondo, forse con qualche concessione di troppo alla tentazione di un "lieto fine" facilmente possibile, alla "speranza" nell'umanità). Di costoro non c'è traccia nell'Antologia verde, che pure ambisce evidentemente a prefigurare un patrimonio culturale comune dei Verdi. A una convincente sezione scientifica, con tutti i "nomi giusti", fa seguito una parte 7
DISCUSSIONE che lascia insoddisfatti. Non vi si ritrovano nemmeno i riferimenti tradizionali dell'ala nonviolenta del movimento verde, o del pensiero antiautoritario. In compenso, troviamo La mia Africa di Karen Blixen,nonché testi di cantautori e fumetti (ma anche qui, in chiave accattivante: non si tratta che so, di Masters of war o di A hard rain gonna falls di Bob Dylan o di The unf orgettable fire degli U2 e dei fumetti di Munoz e Sampayo, o magari di Zorro Bolero di Altan). Specialismo, frammenti critici di sapere scientifico, piu alcuni "santoni" (i soliti: Commoner, Capra, Bateson, Rifkyn, un po' meno l'ostico Georgescu-Roegen): cosi si profila il panorama dei riferimenti culturali dei verdi italiani. È forse abbastanza per affrontare una fase politica; è pochissimo per reggere alla responsabilità e all'impatto di una "rottura epocale". Quindi, la leggerezza, il tono accattivante, la mancanza di "gravità" dei Verdi italiani (anche se non mancano certo le eccezioni) preoccupano perché rivelano questo vuoto di ricerca i e di riflessione, questa fragilità culturale complessiva. 1 Del resto, per quanto ne siano i figli perplessi, anch'essi riflettono i tempi che corrono - i tempi italiani: e i miraggi, non meno che le acquisizioni "in solido", della società italiana. Che ha espresso simpatia diffusa, e voti, ai Verdi, ed è certo preoccupata del proprio avvenire, e di Cernobyl, delle falde inquinate, per la Valtellina disastrata, e teme, anch'essa, la guerra possibile e l'apocalisse. Ma che non sembra davvero, infine, preoccuparsene; o meglio, non sembra preoccuparsi di ciò che, nel proprio modo di essere, riproduce ogni giorno le condizioni base di quei disastri. Vive da cicala, eppure sorride a chi propone di vivere almeno un po' da formica. Forse, proprio perché le stesse formiche, quelle verdi, non sanno sognare altro che un mondo a misura di cicala; o perché il loro sogno non è forte abbastanza ed è troppo vago, a brandelli. O forse, infine, perché non si sa ancora chi siano davvero, e cosa e dove e insieme a chi esse sognino. PERUNA FILOSOFIAPUBBLICA Francesco Ciafaloni Il libro di Salvatore Veca Una filosofia pubblica (Feltrinelli) è piuttosto insolito, se non isolato, nel campo degli scritti italiani che si occupano di politica o dei suoi fondamenti, di filosofia pubblica, appunto. L'isolamento è ancora maggiore se si tiene conto che l'autore si colloca a sinistra. In quest'area, di filosofie pubbliche ce ne sono state molte e forti, fino a poco tempo fa, per lo più riconducibili a una qualche variante del marxismo, o del gentilianesimo di sinistra che in Italia ha costituito gran parte del marxismo. Evidentemente non erano molto resistenti perché ora sembrano del tutto evaporate. La tendenza è a importare tacitamente l'America, anzi l'ideologia della destra americana. Un libro come questo è perciò isolato sia rispetto alla situazione di ieri sia rispetto a quella di oggi. Lo è soprattutto 8 I oteca Gino Bianco perché si colloca in un filone di pensiero che non fonda tutto, anche l'individuo, sulla politica e sullo stato, e perciò deve scoprire e giustificare i diritti e i doveri dell'individuo nei confronti degli altri. Detta altrimenti: la filosofia anglosassone non è stata mai molto popolare in Italia. Dato che stiamo importando cultura e costumi anglosassoni a tonnellate, è un'ottima cosa che si rifletta anche sui principi di quella cultura e non ci si limiti a consumarne i prodotti. Autori importantissimi, come Adam Smith o Stuart Mili, sono stati letti come poco più che il predecessore scemo e l'inetto avversario di Carlo Marx, oppure come gli ultimi costruttori delle macchine di legno del positivismo ottocentesco prima che gli agili velivoli dell'idealismo, portati dal vento poderoso dello stato etico, della nazione, del popolo, della classe, volassero altissimi sui fangosi terreni del diritto, dell'etica, dell'equità, della cittadinanza, della redistribuzione del reddito. Il mio atteggiamento nei confronti del lavoro di Veca, sia di questi saggi di riflessione e rielaborazione personale, sia del lavoro editoriale di proposta e riproposta di classici tradotti, è insomma un atteggiamento di simpatia e partecipazione. Non posso dire però che i modi della presentazione (le prefazioni, il quadro editoriale insomma) e gli esiti della riflessione mi lascino soddisfatto; o che mi aiutino a muovere almeno qualche passo nella palude pratica, concettuale e, alla fine, persino esistenziale in cui mi pare di trovarmi. E lo stesso mi accade per altri pensatori deboli. Vorrei provare a spiegare perché, anche se mi rendo conto che questo non produce una recensione in senso proprio, dato che ogni libro è un libro e ha diritto a essere letto e giudicato per quel che è e non confrontato con le esigenze del lettore o con altri libri che, secondo il lettore, l'autore avrebbe potuto scrivere. Salvatore Veca, ma anche Gianni Vattimo, con strumenti e convinzioni assai diversi, non solo non hanno soluzioni forti, ma sembrano non avere problemi urgenti. Gianni Vattimo, nei suoi scritti pubblici, che sono per lo più giornalistici, ripete ogni volta il miracolo di San Pareyson, detto anche dell'esistenzialismo positivo, che consiste nel mobilitare l'angoscia, e il problema metafisico fondamentale (perché esiste ciò che esiste e non il nulla) e l'essere per la morte, per concludere che tutto va bene madama la marchesa. Non si sa com'è, ma a un certo punto, senza che si incontri mai un punto di vero dissenso, forse perché, come per il miracolo di San Gennaro, uno si distrae, o pensa di essersi distratto, certo è che prima il sangue era solido, poi è liquido; prima c'era una drammatica denuncia, poi c'è la scoperta che questo, se non il migliore dei mondi possibili, certo è il meno peggio. Salvatore Veca ha altri autori, i maggiori dei quali, cioè i vecchi utilitaristi e contrattualisti, mi sono certo più congeniali di quelli di Gianni Vattimo, cioè Heidegger e Nietzsche. Ma gli autori di Veca erano autori problematici, come del resto tutti i positivisti seri, che non erano affatto persone
convinte che il mondo è facile e si tocca con le mani, ma erano piuttosto intenti a costruire con fatica, nel caos del mondo, qualche struttura solida e interpersonale, qualche punto fisso, almeno, nel mare di melma. La presentazione di Veca è sempre un po' troppo rassicurante e soddisfatta. Per quel che riguarda specificamente questo libro, gli autori di cui si rielaborano e si discutono le tesi, cioè i neoutilitaristi e i neocontrattualisti, hanno il torto di affrontare, con grande dispiego di strumenti tecnici, logici per esempio, soprattutto questioni di dettaglio. La loro discussione è avvenuta negli anni in cui si pensava che il welfare state fosse solidamente affermato e che il problema, nel quadro di una ridistribuzione egualitaria, che in ogni caso doveva avvenire, fosse quello di chiarire le regole, le priorità, i doveri verso le generazioni future, la corrispondenza o meno ai meriti o ai bisogni, la necessità di affrontare per prima cosa i bisogni dei più svantaggiati o di consentire invece prima il libero sviluppo dei più dotati. Sembra di assistere alla elaborazione dei criteri di funzionamento di un onnipotente ufficio del piano. Anzi, se non per i neocontrattualisti certo per i neoutilitaristi si ha la sgradevole sensazione - dato che si confrontano utilità e non quantità economiche; e quindi anche i diritti politici, le forme di governo, la democrazia sono fungibili, non vengono prima della libertà e del voto - di avere a che fare con Giovanni Gentile più la logica formale e la contabilità. È vero che si disc_ute di criteri e non di poteri, ma qualcosa non quadra. Veca però, si dirà, si schiera appunto con i neocontrattualisti, insiste sulla necessità di separare e anteporre i diritti politici e la forma di organizzazione politica ai calcoli di utilità, immette tra i criteri per valutare la distribuzione del reddito anche quello del lavoro prestato. Quindi io dovrei essere perfettamente d'accordo con lui. E lo sono, infatti. Ma il clima rispetto agli anni in cui i neoutilitaristi e i neocontrattualisti hanno scritto è completamente cambiato. Lungi dal poter dare per scontate le forme della politica e il consenso sui principi, oggi c'è proprio una dura volontà di esclusione e di espulsione di chi ha nei confronti di chi non ha; riemergono modi e contenuti del nazionalismo; si presentano in paesi che non sono all'altro capo del mondo ma alle porte di casa pensieri forti che assai spesso non ci piacciono (o non mi piacciono) ma che non conosciamo abbastanza da poterli valutare nel dettaglio, risorge la tendenza a risolvere i problemi internazionali con la forza, non solo a congelarli con la minaccia della forza. I problemi urgenti che si presentano, a casa nostra e nel Mediterraneo, richiedono più che mai una filosofia pubblica; ma le premesse, estremamente restrittive in fondo, di Veca e dei suoi autori, non bastano più. Siamo usciti dagli anni di piombo ma rischiamo di entrare in anni di ferro. Abbiamo bisogno di argomenti specificamente giuridici ed economici per tenere in piedi la democrazia in aree sufficientemente vaste da non essere insignificanti rispetto a quelle su cui si estendono i potentati economici nazionali e internazionali; BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE abbiamo bisogno di capire, anziché picchiare le culture forti che sono dall'altra parte del mare. Pirenne lo abbiamo già letto e non ci piacerebbe doverlo leggere di nuovo. Abbiamo una divisione del lavoro estremamente complessa ed embricata, una organizzazione del lavoro che si governa da sé, come viene sostenuto da sociologi autorevoli, non senza conflitti. Dovremo affrontare, e in parte già affrontiamo, domande di stranieri che non chiedono più solo omologazione ed uniformità, ma che hanno esigenze di identità e differenza, che vogliono rispettate nella comune cittadinanza. Abbiamo sistemi culturali forti e intolleranti che reagiscono alla crescente integrazione e uniformità del mercato e del sistema finanziario mondiale. Forse abbiamo il diritto di chiedere a una filosofia pubblica qualche coordinata per muoverci in questo mare. UN ESORDIOA PALERMO Goffredo Fofi È convinzione di alcuni pochi che, forse, l'unico modo per ridare una qualche vitalità e un qualche interesse a una letteratura cosi fiacca, conformista, e in definitiva volgare come quella italiana attuale - frutto e specchio di una piccola borghesia intellettuale ipocrita e infingarda e satolla - sia quello di aiutarla a "parlare d'altro". Sì, proprio di quell'altro di cui la letteratura fino a non troppo tempo fa parlava e ancora oggi altrove spesso parla: la vita, ciò che accade e ci accade. E non le vacue idealizzazioni o i vacui pseudotormenti di rampicatori cinici pieni di frustrazioni narcisistiche e, in pubblico, di buoni sentimenti. La nostra letteratura è ricca di esempi "ai confini", ai margini tra romanzo e saggio, e tra romanzo e inchiesta, e tra romanzo e memoria. E se si volesse davvero fare una storia decente della letteratura del dopoguerra, per esempio - e ammesso che esistano ancora critici e storici della letteratura italiana senza riduzion'i di sensibilità anch'essi, cosa di cui è perfettamente lecito dubitare, ché così, a mente sgombra, proprio pochi sono i nomi che ci vengono in mente, magari anche col beneficio del dubbio - si scoprirebbe infine, che Cristo si è fermato a Eboli è piu bello e importante di La luna e i falò, e Donnarumma all'assalto di ogni altro libro di Ottieri, e Sessanta posizioni di La ragazza di Bube, e alcuni libri di memorie piu di qualsivoglia recente premio Strempieggio o Viastrello. Eccettera eccetera. Se i "letterati" non han nulla da dire e non sanno nean- · che piu bene come dirlo, si capisce allora la voga dei giornalisti - bensf parodia dei giornalisti di un tempo quasi tutti, e zero in letteratura e due in giornalismo - e dei consiglieri da piccolo schermo, delle madamine saccenti, dei puffi da battaglia nei salotti dei nuovo-ricchi; e si capisce, per traverso, pure la miseria anch'essa televisiva di certi esordi, la ninnananna degli psicolabili, la fine di uno sperimentalismo motivato come di narrazioni un pochino determinate, stori9
DISCUSSIONE "... E ci si augura lo sviluppo, il rafforzamento, la formazione di scrittori che amino la letteratura al punto da volerne la massima compromissione nel reale... " camente determinate, moralmente e socialmente determinate, e l'abbassamento a mid-cult di certi aspiranti grandi, l'innalzamento a mid-cult di certi aspiranti - e a tratti piu benemeriti - scrittori del basso, del genere, del fluviale cruciverbesco e massinsenguente. Per chi non l'avesse capito si sta qui predicando, insomma, l'accettazione del quasi-aimargini ma senza la voluttà dell'essere emarginati, con lavolontà di parlare ai piu e di smuoverli un poco dalla loro torpida grassa siesta. E ci si sta augurando lo sviluppo il rafforzamento la formazione di scrittori che amino la letteratura al punto da volerne la massima compromissione nel reale - dopo tanto scialo di untuosa giornalosità, di ambizioni,soto al peggio per il successo che dal peggio solo ormai deriva, anche a costo di essere trattati da "giornalisti" dai peggiori dei giornalisti, o di essere ignorati dai cosiddetti sedicenti autoincensanti "critici" di professione. Che sono poi anche, per definizione, giullari di vocazione, e giurati per designazione di chi controlla il peggio della cultura privata e pubblica. Era necessario quanto sopra per far capire come la si pensa in fatto , in letteratura, di prospettive, di giovani scrittori, di esordienti e affini? Un libro recente, di cui per tutti i motivi di cui sopra non credo che molti si accorgeranno, e che mai avrà l'eco che merita, spinge a tornare su un argomento che già è valso a chi scrive molti odii e proteste: la constatazione della miseria della letteratura giovanile (forse dei giovani?); ma stavolta per parlare in qualche modo al positivo. Si tratta dell'opera prima di un giovane siciliano di 29 anni uscita presso la molto poco diffusa casa editrice palermitana La Luna: Aurelio Grimaldi, Meri per sempre, pagine 163, L. 15.000 (indirizzo di La Luna per chi non lo trova nella libreria di fiducia: via Dante 44, Palermo 90141). È un libro strano, un libro gianesco: la prima faccia "letteraria", la seconda saggio-memorialistica racchiusa in un'appendice che racconta in altro modo la stessa storia, in modo da relazione oggettiva con scrittura adeguatamente narrativo-dimostrativadenunciatoria, pedagogico-giornalistica. Il vero protagonista della seconda parte è l'autore, Grimaldi, che riferisce la sua esperienza e le sue battaglie di educatore all'interno del carcere minorile palerminato Malaspina. Questa parte (Viaggio in un girone della città violenta) aveva già visto la pubblicazione sulla rivista "Segno", di animosi cattolici di sinistra e uno dei pochi "segni" consolanti e convincenti venuti dalla cultura palermitana - una cultura pluriassistita ed evasiva, silenziosa sui compromessi di cui vive, e di conseguenza ricca (di soldi) come tutta quella della doratissima provincia italica del doratissimo occidente contemporaneo - ed era stata ripresa a puntate sul quotidiano "L'Ora" suscitando scandalo, denunce e controdenunce, e via via, a dimostrazione che ribellarsi non solo è giusto ma può anche servire a modificare qualcosa, interventi dall'alto e dal basso, miglioramenti non solo di parata. Testo importante dunque, ma socialmente, politicamente, IO Bi...,oteca Gino Bianco pedagogicamente, e non direi altrettanto letterariamente. A parte alcune ingenuità per l'appunto pedagogiche, da fresco di studi alle prime forti esperienze (mi permetto di dirlo, e lo dico solo per non sembrare troppo presuntuoso e "dall'alto" e dall'esterno, in quanto di esperienze del genere ne conosco molte, come la letteratura che le riguarda, essendo in passato stato anch'io educatore in case di rieducazione, e avendo conosciuto ai lontani tempi in cui vivevo e "militavo" nelle baracche di Palermo, abbastanza bene la situazione del Malaspina, dove finivano spesso i ragazzi con cui lavoravo) il resoconto è efficace, a tratti commovente, e pone a diretto contatto con realtà di emarginazione invero terribili, terribili. Eppure esso è, nonostante la sincerità, la immediatezza, la forza di cui le pagine sono impregnate, di assai minor forza della prima e nuova parte del libro, Meri per sempre. Che è, anche se non dichiaratamente, opera letteraria, elaborazione per scrittura di più momenti di più vite ed esperienze, "creazione'' di un autore, "invenzione" a partire dall'aderenza a una realtà tutta tale. Eppure "invenzione". Letteratura. Aurelio Grimaldi racconta, con la prima persona dei vari protagonisti, "storie"; per l'esattezza quindici, in diciassette testi, perché una di esse è divisa in tre puntate. Dice Grimaldi: queste storie sono "i temi, gli scontri, le confidenze dei ragazzi di Malaspina, prima miei alunni, poi miei amici, quando sono venuti a cercarmi a casa e non eravamo piu insegnante e alunno, ma persona libera con persona libera". Alcune rielaborate a insaputa dei ragazzi, altre con il loro consenso. Alcune ricavate da appunti e da temi, altre dalla memoria. "Pezzi di vita che mi sono stati gettati addosso" riscritti "cercando con tutto me stesso di riprodurre il loro linguaggio e le loro emozioni, e dove queste non erano esplicite, di renderle tali anche solo un poco". Non dunque il lavoro di un tardo emulo di Zola, no, perché ogni imparzialità è esclusa e si ricostruisce, si narra, si rielabora per dire anche ciò che i personaggi - veri, non di invenzione - non sanno interpretare, non sanno dire. E che nessuno ha mai invit~to e aiutato a dire. Un progetto semplice, tutto sommato, e però delicatissimo. Per l'educatore che vuol documentare e denunciare sarebbe bastato di meno: il resoconto finale, condito dal documento puro e semplice. Per colui che veramente vuol dare la parola a una realtà nascosta, per un vero narratore, tutto questo non basta: il di piu della "letteratura", il di piu della invenzione è necessario e indispensabile. Grazie a questo "più" accade che la prima parte di Meri per sempre costituisca, ci insisto, un eccellente esordio letterario, il piu "forte" degli ultimi tempi. Con buona pace dei letteratoni e dei letteratini, Grimaldi è dunque un "narratore" che per la sua capacità di sintesi, per la poesia non cercata, ma autentica, ed essenziale, pura, che è raggiunta perché è dettata da un'urgenza (di chi sa bene che il resoconto, la denuncia, appiattiscono le vite e le esperienze, non bastano a mostrarne il vero, incandescente dolore, la vera, disperata tristezza di chi è condannato dalla nascita
alla sconfitta, e ben difficilmente potrà sottrarvisi se non con l'adesione al peggio che la morale ambiente propone, mafia e stato e media e adulti e intellettuali e chi insomma comanda). E perché sorretta da una morale. Certamente. Ma anche perché avvertiamo in Grimaldi un "talento" che è proprio del narratore, piu efficace nella "invenzione - rielaborazione" dell'esperienza dei personaggi che ama che non nel riferire la propria, di esperienza, con altri fini e senza mediazioni. Non so se Grimaldi intenda "diventare scrittore" lungo questa strada e direzione. Forse no. Forse gli preme di piu (e sarebbe comprensibile e lodevole) continuare a essere solo un educatore. Ma da critico marginale che spera nella vitalità che s0lo dai margini può tornare a questa letteratura e a questa società così degne di spregio, può anche venir l'augurio che di tanto in tanto, anche per dare piu peso specifico, piu sostanza, piu latitudine al lavoro dell'educatore, egli possa continuare in ricerche come questa. E solo piu avanti, perché no?, ancora piu mediate, piu "inventate". E d'altronde sarebbe questo un optimum: la rielaborazione di dati di esperienza e di inchiesta, di un "vissuto" forte. Mi accorgo di non aver parlato se non marginalmente della storia di Grimaldi, e delle storie da lui "riscritte". Ebbene, sono terribili: secche e aretoriche sequenze di vite che dal Cep o dallo Zen (i nuovi quartieri ghetto della ricca città di Palermo) o dai soliti vicoli del vecchio centro sono le sconsolate o rabbiose grida di una coscienza della marginalità nel suo momento piu intenso, giovanile, scoperto; una coscienza tremendamente cupa, ora disastrata nell'intimo e irrimediabilmente vinta e avvilita, ora dibattentesi tra rivolta e conformismo (al male: alla mafia o all'ipocrisia del potere), ora condannata alla piu ripetitiva e sterile delle rivolte, quella cosi nota e cosi ovvia e cosi scandalosa che è da sempre di un proletariato urbano marginale-emarginato che si autodistrugge per non sapere individuare concretamente i propri nemici e darsi un proprio progetto. Per costrizione, da parte della cultura del potere, a una sottocultura subita e accettata. Per non sapersi trasformare, nel caso di questi giovani, da "vagabondi" (leggasi asociali, magari anche delinquenti), in quei "vagabondi efficaci" propugnati e sognati, come da altri prima e dopo di lui, da un rieducatore straordinario il cui nome resta dai piu (anche da Grimaldi?) ignorato: Fernand Deligny l'autore di / vagabondi efficaci. Quell'opera dei lontani anni quaranta è stata tradotta nei lontani primi settanta dalla Jaca Book, ma non credo che i suoi redattori l'avessero fino in fondo capita, ed era stata prima rifiutata da molti editori di sinistra, cui chi scrive l'aveva inutilmente proposta. Ho insistito su indicazioni di metodo e di rotta destinate a piacere molto poco agli "scriventi". Il libro di Grimaldi va letto per altri motivi che di letteratura. Ma l'occasione mi sembrava da non perdere per ribadire anche quelli. BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE UN INEDITODEL J 963: PERUNA CORRENTE RIVOLUZIONARIANON VIOLENTA Aldo Capitini I) La situazione politica italiana presenta un vuoto rivoluzionario: i partiti stanno o su posizioni conservatrici o su posizioni riformistiche, prive di tensione e di forza educatrice e propulsiva nelle moltitudini. Così si va perdendo anche l'esatta prospettiva che pone come finalità decisiva della lotta politica il superamento del capitalismo, dell'imperialismo, dell'autoritarismo. Vi sono tuttavia delle minoranze che vedono chiaro, ma tali minoranze devono giungere ad un'azione organica nella situazione italiana, per cui, da una società dominata da pochi, si passi ad una società di tutti nel campo del potere, della economia, della libertà, della cultura. 2) La crisi dei movimenti operai e socialisti nell'attività politica e sindacale è dovuta principalmente al fatto che non si è saputo concordare dinamicamente la triplice finalità suddetta con la pratica quotidiana nella attuale democrazia. 3) Sarebbe un errore credere che la politica del neocapitalismo con le attrattive del benessere e la suggestione degli interventi paternalistici e provvidenziali riesca a cancellare dalle moltitudini la tendenza a possedere effettivamente il potere con tutte le sue responsabilità, a controllare tutte le decisioni pubbliche, a impedire realmente la guerra, a sviluppare la libertà e la cultura di tutti nel modo più fiorente. La tenacia delle lotte sindacali, l'aumento dei voti dell'opposizione nelle ultime elezioni, lo sviluppo della lotta per la pace, la crescente energia delle pressioni studentesche per una riforma della scuola, provano che le moltitudini italiane non accettano gli equivoci offerti dalla classe dirigente. 4) Nello sviluppo del socialismo nel mondo è facile osservare che sono stati superati gli schemi dottrinari che attribuivano a una determinata ideologia, e ad un unico partito di ispirazione leninista, la possibilità di intervento rivoluzionario, quando invece si vede che di tale possibilità ci si è valsi in altri luoghi con schemi, forme, forze e metodi del tutto diversi seppure orientati allo stesso fine. È opinione sempre più accettata che esiste una connessione stretta tra il metodo rivoluzionario adottato e il tipo di potere che segue alla conclusione vittoriosa della rivoluzione. Anèhe in questo campo l'insufficienza del metodo leninista, e di altri metodi similmente imposti da minoranze alla maggioranza, è rivelata dalla crisi che ha contrapposto e contrappone in maniera più o meno drammatica la società civile al potere rivoluzionario e che è diventata l'elemento costante della vita politica degli stati così detti socialisti e degli altri stati sorti nel dopoguerra da moti sottoposti all'egemonia di minoranze. La medesima crisi tra deficienza di potere civile delle masse e reale potere politico di gruppi ristretti è chiaramente visibile anche nella crescente e insolubile necessità in cui le democrazie parlamentari si trovano nel subire la pressione egemonica di gruppi di potere economici, politici, religiosi, agenti fuori dagli istituti civili .e capaci di svuotarli sempre più della rappresentatività popolare, piegandoli ai loro interessi di minoranza. lnol11
DISCUSSION.E tre, nel nostro paese, come del resto in tutto l'occidente, la situazione è tale che tutti i vecchi metodi dell'opposizione popolare si rivelano inutilizzabili o insufficienti a mantenere una tensione rivoluzionaria che si costruisca progressivamente nel suo sviluppo gli adeguati strumenti pratici della sua applicazione. 5) Per queste ragioni siamo convinti che il metodo che deve essere assunto per la lotta rivoluzionaria è il metodo dell'attiva nonviolenza, nella articolazione delle sue tecniche, già attuate in _altri paesi in lotte di moltitudini. Riteniamo che questo metodo sia da accettare e da svolgere non soltanto per la sconvenienza e l'improduttività dei metodi violenti e la loro inaccettabilità da parte delle nostre moltitudini, ma soprattutto per il suo contenuto profondamente umano, all'altezza del migliore sviluppo della società civile moderna. 6) Questo metodo, che per essere visibilmente e politicamente efficace deve essere impugnato da un largo numero di persone, mostra con ciò stesso che è in grado di dare le più ampie garanzie di democraticità, di espressione delle forze dal basso, di insostituibile e mai sospendibile libertà delle più varie opinioni, di decentramento del potere nelle sue varie forme economiche, politiche, sociali, civili. 7) Con questo metodo è possibile dare inizio alla formazione di organismi e istituzioni dal basso che concretino-tali garanzie, prefigurando e preparando la complessa società socialista o società di tutti. I rivoluzionari violenti con i loro metodi non sono capaci di realizzare tali organismi e istituzioni, e ne rimandano l'attuazione a dopo la conquista del potere con atto autoritario che ne infirma la democraticità, o vi rinunciano, vista l'impossibilità di usare la violenza, cadendo i dirigenti nell'inerzia e le moltitudini nello scetticismo. 8) Nell'attuale momento, crediamo che come prima fase un intervento nella situazione italiana che segua questo orientamento possa prendere la forma di "corrente" con "gruppi" operanti dentro e fuori le attuali associazioni politiche, sindacali, culturali, etico-religiose. Questi gruppi potranno operare coordinatamente secondo piani che saranno stabiliti dai gruppi stessi nei loro incontri. 9) Possiamo definire così gli obiettivi finali di tutto il lavoro: la costituzione di una società socialista la cui organizzazione economica, politica, civile e culturale sia continuamente sotto il potere e il controllo di tutti, nella libertà di informazione, di associazione e di espressione, manifestazione e promovimento costante di apertura ad una società universale socialista nonviolenta. 10) Obiettivi immediati di transizione a questa finalità sono: a) la diffusione delle tecniche della nonviolenza da applicare a tutte le lotte politiche e sindacali; b) l'opposizione alla preparazione e alla esecuzione della guerra; c) la convergenza sul piano rivoluzionario nonviolento dei lavoratori, degli studenti e delle loro associazioni di qualsiasi ideologia; d) la rapida costituzione di centri di orientamento sociale aperti, in periodiche riunioni, a tutti e alla discussione di tutti i problemi della vita pubblica; e) la formazione di consulte rionali e di villaggio elette da tutti i cittadini per il controllo e la collaborazione nei riguardi delle amministrazioni locali; 12 B1oliotecaGino Bianco f) favorire in tutte le aziende l'organizzazione di consigli operai e contadini, eletti da tutti indipendentemente dalle organizzazioni politiche e sindacali, con il compito di seguire i problemi delle singole aziende e di portare i lavoratori al possesso delle tecniche del controllo sulla produzione e sulla pianificazione democratica, da utilizzare nella lotta per la società socialista; sulla base di questi consigli dovrà essere ricostituita l'unità sindacale, aperta a tutte le correnti; g) l'impostazione di una riforma della scuola per cui tutti gli istituti scolastici a tutti i livelli siano organizzati con spirito comunitario e controllati da consigli degli studenti e dei professori; h) sollecitare gli enti pubblici a fondare giornali quotidiani e settimanali con assoluta obiettività di informazione; i) promuovere la costituzione di centri cooperativi culturali dal basso per l'educazione degli adulti nel campo della divulgazione dei valori artistici, scientifici, storici ecc. sottraendoli alle manipolazioni autoritarie o di parte. 11) Noi pensiamo che una corrente rivoluzionaria nonviolenta debba richiedere ai suoi aderenti un comportamento manifestamente concorde alla finalità socialista, realizzando tra l'altro il principio che ogni eletto a qualsiasi carica, sia della corrente sia di ogni altro organismo,possa essere dispensato dal suo incarico nei periodici incontri con i suoi elettori; dedicando ad iniziative pubbliche orientate in senso socialista la massima parte del proprio bilancio privato; non partecipando al possesso di beni che comportino lo sfruttamento dei lavoratori. 12) A coloro che non scorgessero differenza tra la nostra impostazione e quella democratica parlamentare teniamo a far presente quanto limitata sia la democraticità parlamentare, lontana dalla volontà attiva e quotidiana di tutti i cittadini, e quanto invece è complessa e diretta la presenza di tutti negli organismi da noi propugnati, atti a superare continuamente i privilegi e il potere dei pochi. 13) A coloro che obiettassero che la pianificazione economica sociale di uno srar~moderno non può essere che centralistica e autoritaria, rispondiamo che la pianificazione può e deve essere accompagnata dall'esistenza di organi popolari che ne rendano possibile la preparazione, il controllo della esecuzione e la revisione. Questi organi sono l'unica garanzia che l'autoritarismo della pianificazione non si trasferisca nell'autoritarismo di tutto l'apparato statale, come ha dimostrato l'esperienza sovietica. Questi organi, infatti, continuando l'azione già. svolta nella situazione di economia privatistica dai consigli dei lavoratori, dovranno svilupparsi fino a diventare i protagonisti del mondo produttivo socialista nei due settori pubblico e cooperativo di autogestione. 14) La garanzia che la società socialista nonviolenta dà alla libera funzione delle correnti ideologiche e dei partiti deve avere come unica contropartita la libera espressione, all'interno delle correnti e dei partiti stessi, dei pareri dei singoli e dei gruppi. 15) Nella politica internazionale attuale la nostra posizione è, oltre che di lotta per la pace, - primo ed urgente obiettivo, di pieno appoggio a tutti coloro che lottano contro il capitalismo, l'imperialismo, l'autoritarismo; di aiuto incondizionato ed immediato a tutti i popoli sottosviluppati da concretarsi in grandi piani di collaborazione; e nella diffusione dei nostri metodi nonviolenti per il raggiungimento dei fini comuni.
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