96 STORIE / ADDAMO nere seduto tutto il tempo, se no, come mi sarei guadagnato lo stipendio?, diceva il capo. Mi sfotteva, non capivo perché. Come, chiedevo? come si guadagna lo stipendio? Soffrivo, mi sentivo umiliato a morte. "Ecco" borbotto, guardando l'uomo negli occhi. "Tutto qui?" Ho fatto il lungo discorso, ma non mi crede. r:!ontinuo. ~ A casa, naturalmente, non dico nulla di quanto mi sta capitando. Mia madre è vedova, vive in paese, e ne ha passate già molte. L'ultima è stata che non si sa per quale inghippo non ha avuto la pensione. Ha ricevuto un po' di soldi che se ne sono andati. Ma la pensione no, perché pare che a suo tempo mio padre fosse stato molto imprevidente o confusionario e certi versamenti non erano stati effettuati. Era perito agrario, lavorava presso un'impresa. L'impresa andava male, e mio padre doveva fare lavoro nero perché non era messo in regola. Mangiare la minestra, o buttarsi dalla finestra. Mangiava la minestra. Scriveva pure delle poesie. Quegli uomini spersi che stanno in un paese, passano accanto alla gente e non si sa cosa sono e cosa pensano. Una volta una rivista importante gli aveva pubblicato un gruppo di poesie, ed era sembrato che prima o poi l'avrebbe spuntata a pubblicare un libro. Non so cosa si aspettasse dal libro, cosa ci si può aspettare da un libro. Mandava di continuo le sue poesie; ogni tanto riceveva qualche risposta. Quando arrivava la lettera, non la leggeva subito, prima aspettava il pranzo, poi il caffè, mia madre non gli chiedeva mai niente, poi scorreva il giornale, infine andava nel suo studio che era un locale piccolissimo con una finestrella per l'aria. Non si è mai saputo quel che pensava e provava ogni volta. Cosa c'era nel suo silenzio. È strano che i figli sappiano ben poco dei padri. Io per esempio non ho mai saputo nulla delle sue aspettative, se ne avesse mai veramente avute. Penso di no. E avrà sofferto come una bestia. La vita è questa infaticabile cordata dove passiamo la mano l'uno all'altro. Ci accaniamo verso il nulla. Sono rimasti i suoi libri. Holderlin, Rilke, Leopardi. Erano i tre poeti che leggeva su tutti gli altri, e non ho capito che significasse per lui rileggere di continuo le stesse cose. "Chi?" chiese l'uomo. Ripeto i nomi. Dico che si tratta di poeti tedeschi. Li ho letti anch'io, ogni tanto, e mi hanno impressionato. Uno fu pazzo. E dunque non sempre i pazzi sono proprio pazzi. "Come sono?" chiede forse con ironia. Non so rispondere, ma dico per mio padre. "Anche di mio padre dicevano varie cose. Aveva un volto triste. Arrivava ogni mattina al lavoro, e intanto aspettava. Non so che cosa ... ". "Ed è la storia, questa?" mi chiede. "Si. La prima parte". "E la seconda?" Mi chiedo intanto come mai l'uomo abbia tanto tempo da perdere a sentire storie inutili. "La seconda è che mi licenziarono. Non riuscivo a star seduto senza far niente". ''Avresti potuto prendergli i caffè''. Non so esattamente in quale tono lo abbia detto. "No" rispondo. "Ma il vero è che era fasulla la mia raccomandazione. Mia madre s'era rivolta a un vecchio amico di mio padre. Mi hanno assunto, ma poi hanno capito che la raccomandazione non valeva e che c'era uno sbaglio e hanno fatto in modo che io perdessi il posto. L'Italia è piena di faccende così," rispondo alla sua osservazione. "Dovrei fare un discorso sopra la ingiustizia delle cose... ". Sorrido. È come se io volessi prendere allegramente la faccenda e continuo a parlare e non capisco perché quello mi ascolti ... Fino a quando ... , dico. E mi fermo. "Fino a quando" l'uomo d'un tratto dice con una sorta di asprezza. Lo guardo meravigliato dell'improvvisa mutazione. Assieme al tono della voce è mutata anche l'espressione del viso, che appare accigliato, aquilino e duro. "Fino a quando hai deciso di romperla una buona volta con l'ingiustizia del mondo ... '' Ora addirittura è sarcastico, con un modo inevitabiledi mettermi gli occhi addosso. Ora comincio a capire. "Ho detto che non c'entro" affermo con forza. Sostengo lo sguardo, ma faccio fatica. r:! omincio a raccontare della mattina. Potevano vederlo ~ dal giornale, se volevano. Dove abito, tutti i giornali sono segnati, e ho un notes con gli indirizzi... Annuisce, e capisco. Dunque, già sono stati nella pensione. Sono entrati nella mia stanza, guardato lettere e fogli, scoperchiato casse, hanno messo le mani dentro le mie tasche. Sono nudo. Ci guardiamo. Abbasso gli occhi. Ho la rabbia del nulla. "Non importa" dico. "È inutile che io parli". Che stava cercando? e che cercavo io rimestando il passato? È il solito processo dal buio del tempo alla chiarezza del giorno, il cammino che tutti noi di continuo usiamo compiere. Non si fa mai giorno. Di niente e di nessuno conosciamo se non il presente che a sua volta passa. Non si può fermare nulla. Davvero scorre tutto. "Ogni cosa è scritta" aggiungo. "Inutile continuare". "Nulla è scritto. Meglio parlare" dice. Muovo il dito verso l'alto. In ultima analisi mi piace giocare. "Lassù" dico. "Tutte le cose hanno il loro verso". "Lascia perdere" dice. "È meglio parlare, in ogni caso". Che pioveva, riprendo, e prima mi ero riparato per riassettarmi. Non sapevo di che lavoro potesse trattarsi, dato che l'annunzio del giornale non specificava alcunché. Sbircio il negozio, intanto. È un negozio di dischi. Mi sorprende, all'inizio. Non
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