ILCUOREDELLALEGGE Sebastiano Addamo vevano già preso l'indirizzo. L'idea non mi piacque, guardai davanti a me. Il caso spesso decide gli eventi, giunge inappuntabile e definitivo, quasi losco, scompiglia il giorno. Talvolta non c'è altro. Le vicende, i gesti, gli errori dell'esistenza, i difetti, s'incrociano e ruotano come gl'infiniti mondi dell'universo, e dapprincipio non sembrano che trame gioiose e ilari di quella contingenza varia e caotica che chiamiamo vita, finché poi il caso non assume il suo volto serio e reale, si erige come una roccia, un invalicabile muro, diventa il Signore della Necessità che governa tutte le cose ... "Dunque ... " Guardo l'uomo. Si è seduto appoggiando il gomito sul tavolo e il mento sopra la mano. Non so se sia un giudice. Certe volte ne ha tutta l'aria. "Non potrei interrogarti così su due piedi" ha esordito. "Ci vorrebbe l'avvocato. Non hai l'avvocato?" "L'avvocato?" scuoto la testa. "Non c'entro, io. Mi hanno preso per strada, e posso davvero dirlo: portato qui su due piedi''. Prendo le cose alla leggera, tutto mi pare semplice e incredibile. L'uomo non ride e non dice nulla. Fissa sul tavolo un punto che io non vedo. "Sei giovane" dice. "Ventiquattro anni". "Per me siete tutti giovani. Comunque, a suo tempo tutto verrà formalizzato. Dunque ... " "Che cosa?" "Stavi scappando. Dimmi perché". "L'ho già detto". Accenno vagamente verso la porta da dove è andato via l'altro uomo che prima mi ha interrogato. La porta è chiusa come un macigno. Di là di essa si sente talora un suono affrettato di passi, qualche parola incomprensibile. "Ripetilo" dice. Parla in modo atono, mi guarda senza insofferenza e senza astio. ~ ipeto. Stavo scappando, è vero. Ma chi non scappa I.lii se c'è una pistola che esce fuori, e anzi due? Ed esplodono due colpi a mezzo metro? O ci si butta a terra, o si scappa. Un'altra volta ... "Questa volta" impone l'uomo seccamente. "Sono scappato" dico. E non eravamo in due, contrariamente a quanto si sospetta, tantomeno in tre, aggiungo con un sospiro. O meglio, io non ero con nessuno. Erano in due e sono scappati per vie diverse? Può essére vero, ed è quello che penso. Che l'altro correva pure, è anche vero. Era uno dei due ed era ferito? Non lo sapevo. Ci hanno bloccati assieme. Ma che posso farci? È lo stesso che uno cammina sul marciapiede affollato e si trova m fila con tanti altri. Si è assieme e non si è assieme ... Continua a guardarmi immobilmente. Non c'è nemmeno curiosità nel suo sguardo. Prende la mia tessera di riconoscimento che giace sul tavolo. "Sei tu?". "Certo". ''impiegato''. "Disoccupato". "Qui c'è scritto ... " "Sei mesi fa lo ero ... " Racconto di nuovo la storia. Licenziato per scarso rendimento, dico d'un fiato. Lo dico in un tono che è di sfida e di ironia insieme. Evidentemente, non è né l'una cosa, né l'altra cosa. Infatti l'uomo mi guarda assolutamente incredulo. "Conosco la storia" dice. "Cioè non volevi lavorare, e pensavi di prendere lo stesso lo stipendio a fine mese. L'Italia è piena di gente così" osserva con disgusto. Cerco di chiarire che le cose non stanno proprio in tal modo, anzi all'opposto. Che io avrei avuto voglia di lavorare, mi metto a spiegare; specialmente uno che come me zoppica dalla nascita, ha bisogno di sentirsi a posto. Così trova da iscriversi in una Cooperativa di lavoro, e aspetta. Nel frattempo scarico casse ai mercati generali. Devo vivere, mandare qualche soldo a casa. La Cooperativa è niente, l'iscrizione è gratuita. Ma niente per niente, si tenta ... Finché esce la legge. E uno pensa che è a posto, o comincia a esserlo. Ci vuole almeno un diploma, e io l'avevo, ce l'ho. E anche la raccomandazione, beninteso, perché i santi sono necessari ovunque e sempre. E avevo pure quella. Così, con la legge sulla disoccupazione ci hanno chiamati, e siamo entrati a lavorare in un ufficio dove non c'erano nemmeno le sedie per stare seduti, non dico i tavoli. Non ci aspettavano. Il giorno seguente portarono le sedie. Ormai ho capito che negli uffici dove ci sono tre impiegati, ne basterebbe uno. Il lavoro di uno viene diviso per tre, e riesce male perché avviene come per le forze contrapposte che si annullano a vicenda. Così, non c'era mai lavoro nuovo da fare, ma sempre del lavoro vecchio, e adesso nell'ufficio stavamo in sei impiegati: i tre di prima, e i tre nuovi che eravamo avventizi e in prova. Così sulla tessera venne scritto: impiegato. In fondo, lo ero. Il primo giorno, uno dei tre che pareva il capo, si rivolge a me a dice di prendere i caffè al bar vicino. Mi dà i soldi e vado al bar. Non mi conoscono, e quindi mi danno i caffè nei bicchieri di carta, li mettono l'uno sull'altro in due file, e li avvolgono. E arrivo - continuo - con i caffè tutti sbrodolati, macchio il pavimento con rivoli scuri come vecchio sangue, e si macchia pure il tavolo dove il caffè continua a sgocciolare. Il capo si dà a imprecare come gli bruciasse qualcosa. Non ci andrò più, dico piano e fermamente. Per gli altri due trovarono una specie di tavolo e li misero al lavoro. Gli facevano fare il lavoro al posto dei primi che ora non facevano nulla. E niente per me - proseguo - che però ero costretto a rima-
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