L'ULTIMAGIORNATA Grazia Cherchi ell'ora delle visite gli fu facile, approfittando dell'assenza del vicino di letto - stessa età, più o meno stessa corporatura - impadronirsi dei suoi vestiti. Infilò rapidamente jeans, maglietta, scarpe di corda e ficcò in tasca le ultime cinquantamila che gli erano rimaste. Uscì inosservato tra il viavai dei parenti. Dopo solo dieci minuti ebbe la fortuna di fermare un camionista che lo portò fino a Milano senza aprir bocca. Da un bar telefonò a Marcella e col metrò arrivò da lei in pochi minuti. Sul pianerottolo esitò. Cosa mai voleva da Marcella? Ma ormai era lì e suonò. Marcella lo stava aspettando irritata. Non vedeva Lorenzo da molto tempo. Aveva saputo, non ricordava da chi, che aveva preso a drogarsi, sempre più pesantemente. A fatica era stato convinto a farsi ricoverare in un ospedale di provincia, dove il primario era un amico dei genitori. Cosa voleva da lei? Aveva il doppio degli anni di Lorenzo, troppi per capirlo. E poi i giovani vogliono essere sedotti, e lei non ne aveva mai avuto voglia. Stentò a riconoscerlo. "Come sei dimagrito, Lorenzo!" le sfuggì detto. Ma non se ne pentì. Istintivamente aveva deciso di essere sincera, nella misura del possibile. "lo invece ti trovo più bella di come mi ricordavo", disse il ragazzo baciandola lievemente sui capelli. "Bella non sono mai stata né lo sarò mai", precisò lei, "comunque ... " "Scusa, dov'è la cucina? Ho bisogno di bere". Lo vide tracannare quattro bicchieri d'acqua uno dietro l'altro. "Sai, è la droga che fa quest'effetto", disse con voce sempre gentile. "Perché ti butti via così?" "Ho fatto a meno di tutti in quest'ultimo anno. Di mio padre che stimo, di mia madre che amo, degli amici, delle ragazze. Ora voglio farla finita anche con me stesso", disse Lorenzo con improvviso furore. "E cosa vorresti dimostrare? Cos'è la tua, una rappresaglia?" "Odio tutti da quando lui ha tradito la mia fiducia". Marcella ricordò all'improvviso che all'incirca un anno prima Lorenzo le aveva annunciato la sua partenza per Vienna dove andava a trovare il suo maestro, una specie di guru intellettuale. Se lui lo avesse deluso, aveva detto con enfasi, avrebbe chiuso con tutto. Era stato un racconto che l'aveva sconcertata per la sua pochezza, in un giovane dall'intelligenza così sottile e aguzza. E allora aveva dimenticato tutto rapidamente, il racconto e Lorenzo. "E se uno, sia pure il maestro, l'eletto, ti delude, vai in pezzi?" Cercava di solleticarlo nell'orgoglio; ad altro non riusciva a pensare. "Sì", rispose. La spaventevole fragilità dei giovani. Un solo manrovescio della vita li stende a terra. L'intricata intelligenza di Lorenzo era impotente di fronte alla debolezza estrema della sua natura. "E non puoi concederti un'altra possibilità? Non puoi essere un po' generoso con te stesso? Un po' meno superbo ... " "Non hai nessuno che vive qui con te?" chiese lui. "L'avevo. Mi ha lasciato". "Che cretino! Non ti meritava". ''Anzi. Era troppo per me''. Lorenzo le si sedette accanto e cominciò a baciarla con piccoli schiocchi sulla fronte, sulle guance, sulle mani. "lo avrei saputo amarti", disse con sicurezza. "No. Sei troppo giovane per me". C'era sempre un "troppo" di mezzo. Mentre lui se ne andava di nuovo in cucina a bere, Marcella si chiese se era disposta a farci l'amore. Non sarebbe servito a niente, lo sapeva benissimo, ma era troppo complicato dirgli di no. E poi tutto le andava bene perché non le andava bene più niente. "Ti ricordi quel gruppo intorno a me?" chiese lui di ritorno. "Vagamente. Erano quelli che ... " "Si sono rivelati delle carogne. Pronti a vendere tutti, anche il miglior amico. Un paio di mesi fa ne ho visto uno in piazza Duomo e mi sono messo a rincorrerlo per pestarlo. Ma mi è scappato. Che schifo, che schifo, che schifo". "Sono cicli", disse lei stancamente. "Tu farai a tempo a vedere la tendenza invertirsi". Invece non ci credeva più ai corsi e ricorsi. Era come se fosse calata giù una saracinesca di piombo e restasse da guardare solo quella. Per sempre. "Hai mai provato a lavorare?" gli chiese bruscamente. "Lavorare? Come prima studiare: per chi?" "Bisognerebbe lavorare come se ogni lavoro fosse l'ultimo. E vedere ogni persona come se fosse per l'ultima volta", disse lei. Che frase ridicola e fuori luogo, pensò subito. Sembrava tolta di peso da un'altra sceneggiatura. "A me mi vedi proprio per l'ultima volta", sbottò a ridere Lorenzo che poi si incupì. "Invece mi piacerebbe uscire e trovarti qui quando rientro". Lui scalciò via le scarpe e si sfilò la maglietta. Mostrò una magrezza da cristo in croce, con le costole quasi allo scoperto. Le prese una mano e se la posò sul cuore. La mano sobbalzò, tanto il cuore batteva. Da cardiopatica qual era, a Marcella capitava ogni tanto di avere la tormentosa impressione di camminare su un pavimento fatto di cuori che battevano all'unisono, furiosamente come quello di Lorenzo. E allora camminava delicatamente, per non far loro male. Cominciò anche lei a spogliarsi. Lorenzo le carezzò i seni. "Sembrano due uccellini. A me piacciono tutte le cose piccole", disse con voce infantile. "Sono un po' troppo piccoli". "Taci. Sono bellissimi". Si levò i jeans. Si stese tremando su di lei che pensò: "Ora dovrò fingere. Poco male". Ma capì subito che lui voleva soprattutto essere abbraccia-
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