DISCUSSIONE tualità, ma che l'attualità, nella società complessa di questi anni, non è misurata sui contenuti o sulle occasioni, anche se queste portano per una settimana un volume ai primi posti di vendita (ad esempio se è un istant book di particolare tempismo) ma sull'insieme della produzione e del consumo di cultura. Se cioè il libro entra a far parte di quella catena di informazioni e consumo culturale ormai multimediale per cui la riconoscibilità del titolo, ma soprattutto dell'autore, viene garantita fuori del mondo librario: attraverso i quotidiani più diffusi, o i periodici di più alta tiratura, o le trasmissioni televisive di maggiore ascolto; per dirla con una battuta, se entra in una trasmissione di Pippo Baudo e non in "Tuttilibri" o in altri programmi culturali. li consumo di cultura è ormai un continuo rimando di citazioni, da un formato all'altro della produzione culturale, e tante più citazioni ci sono (esplicite o meno) in tanti più ambiti e soprattutto in ambiti di ampia utenza, tanto più si può aspirare al successo. Da questo punto di vista interessa poco il testo (che pure, lo si dice una volta per tutte, va considerato tra gli elementi di grande importanza): quando Francesca Durante ha pubblicato con La Tartaruga, non ha raggiunto il pubblico che ha poi potuto raggiungere con lo stesso romanzo quando Rizzoli lo ha inserito in un contesto di consumi culturali diversi: Insomma, se si vuole raggiungere il pubblico che oggi acquista il best seller occorre attivare tutte le possibili forme di promozione che portinÒ il libro dentro l'universo multimediale del consumo di cultura. Va bene la pubblicità, ma non basta più se condotta secondo i generici criteri tradizionali. E infatti best seller dei piccoli editori è stato soprattutto l'outsider Gesualdo Bufalino: ma per il lancio di Diceria dell'untore sono state attivate numerose iniziative promozionali (anticipazioni, interviste all'autore, dichiarazioni di "garanzia" degli opinion leaders, articoli sui quotidiani e sulle riviste che producono cultura per le fasce più ampie di utenti e sollecitano le scelte dei lettori). Se così non fosse accaduto, quei particolari lettori che si rivolgono al libro più citato, - e sono un'area consistente - non avrebbero saputo nemmeno dell'uscita del volume. Come è in effetti accaduto con i successivi testi di Bufalino, ancorché usciti da editori di medie dimensioni. Del resto, per dirla tutta, dall'uscita di un volume di un piccolo editore, non è a conoscenza nemmeno, nella maggior parte dei casi, l'operatore culturale o il critico che può darne notizia, e che scopre il libro in libreria. Occorre aggiungere che conquista il vasto pubblico (e vende qualche decina di migliaia di copie) chi si pone nell'ottica di raggiungerlo, - con testi adeguati ma soprattutto con le strutture promozionali e commerciali adeguate - seguendo tutte le regole di un gioco che forse non si vuole ma da cui non si può prescindere. Chi vuole entrare nel gioco deve dunque giocare, usando al meglio (cosa che non sempre coincide con un rilevante impegno finanziario) tutti gli strumenti necessari: se il gioco è condotto mgle o in modo parziale, non si ottengono risultati. Oggi è necessario prendere atto senza titubanza che il mercato del best seller - cioè del romanzo di successo e della facile saggistica - ha garantito un'ampia vendita, ma ha anche determinato una situazione nella quale occorre intraprendere uno sforzo di notevole portata, se si vuole raggiungere un risultato duraturo. Non è più possibile che con uno o due titoli azzeccati si possa riprodurre la favorevole condizione che fece crescere di colpo Feltrinelli (dopo Il dottor Zivago e dopo Il Gattopardo). Nella situazione attuale i tempi sono molto lunghi. Ma chi l'ha detto che occorra puntare proprio su quella fascia più vasta di pubblico? Proprio la risposta a questa domanda può indicare una prima riflessione conclusiva. Sempre più, con la differenziazione dei gruppi sociali e dei loro consumi, anche culturali, la società italiana degli anni ottanta, pur facilmente riaggregabile secondo grandi categorie, mostra che si sono rotti, forse definitivamente, gli omogenei codici comportamentali e, per quanto riguarda i consumi culturali e letterari, gli altrettanto omogenei codici su cui si fondavano la lettura e le sue scelte. Per questo occorre essere consapevoli dell'esistenza di nuovi - e non modesti - ambiti di mercato, che vanno raggiunti e conquistati, con testi diversi da quelli destinati al successo (e questo è una specifica caratteristica di piccoli editori) ma anche con forme diverse di conquista promozionale e commerciale. Sempre meno, cioè (anche per il pubblico della narrativa), si può puntare sull'omogeneità delle proposte e delle forme promozionali, ed è necessario individuare quei segmenti di mercato cui una specifica e mirata produzione può rivolgersi: e naturalmente su quel segmento indirizzare tutti gli sforzi, per affermare pienamente - e in modo riconoscibile in quei segmenti di mercato - la propria sigla e la propria specificità. Per questa via, non c'è dubbio, è difficile entrare nella classifica Demoskopea dei più venduti, ma - salvo eccezioni - nemmeno una copia andrebbe sprecata. Per dirla in altri termini: se l'editoria degli anni ottanta è stata perseguitata dai best seller intesi come romanzi dalle alte vendite, la piccola editoria deve "inventarsi" un'altra categoria di best seller, filologicamente più corretta: togliendo l'aura di assoluto che la parola porta con sé, il best seller per la piccola editoria può dunque essere quel libro che, programmato per un segmento definito, per un pubblico di poche migliaia di copie, lo raggiunge pienamente, e, grazie ad una buona riuscita degli sforzi promozionali e commerciali, altrettanto mirati come i titoli scelti, conquista qualche centinaio di lettori non previsti. Certo, la proposta di una "classifica dei libri dei diversi mercati" è una provocazione: e tuttavia, per continuare in questo gioco, il libro ipotetico di cui stiamo parlando è davvero "il più venduto" rispetto all'ambito di mercato cui si rivolge, un mercato che necessariamente ha un ristretto numero di lettori. Del resto, per citare di nuovo la storia del best seller negli Stati Uniti, l'autore ricordava una definizione del Webster's New International Dictionary per dire che il best seller è "un libro, e, comunque, qualche articolo in vendita le cui vendite sono fra quelle più alte della sua classe, del suo genere". A questo punto si può rispondere anche all'interrogativo del titolo di questo intervento: "un best seller per la piccola editoria?". Sì, purché la piccola editoria sappia in quali ambiti raggiungere i suoi successi, sappia come e dove esaltare la propria sigla, sappia programmare i "propri" best seller, senza inseguire i "generi" alla moda, senza inseguire il pubblico dei best seller delle grandi case editrici, abdicando in questo al ruolo che le è proprio. La riflessione qui condotta porta di nuovo al cuore del problema: occorrono categorie diverse per la piccola editoria perché la piccola editoria è diversa. Ma diversa deve essere davvero. Il problema ritorna al ruolo dei piccoli editori e alla loro produzione, e il tema diventa "quale best seller per quali lettori?". Chiarito questo, non si pone davvero più il tema del best seller "in assoluto", ma quello di un best seller che conosca le diversità delle offerte e delle domande, un best seller più limitato ma più importante, per la piccola editoria ma anche per tutta la cultura italiana.
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