Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

DISCUSSIONE confratelli ideali, l'espressione più compiuta della loro condizione dolorosa e indecifrabile: vittime dimenticate di una immotivata violenza. li signor Palomar si interroga così sul segreto inaccessibile di alcuni mostri chiusi in gabbia dall'uomo, nello zoo di Barcellona o nel rettilario di Parigi: sulla muta angoscia del gorilla albino, sulla enigmatica tristezza dell'iguana, sulla "desolazione attonita" dei coccodrilli, e sulla loro diversità subita, sul loro "sgomento di vivere". Mentre torna e si approfondisce il motivo di un'alterità tanto più insondabile, impenetrabile, quanto più fermentante, feconda, nella quale (forse) si nasconde il "senso ultimo" delle cose (ivi, pp. 82-9). Attraverso due fasi fondamentali della produzione giornalistica di Calvino e le sue interazioni con la produzione narrativa si delinea perciò il passaggio emblematico dell'intellettuale italiano di questi decenni, dalla tensione progettuale e costruttiva, alla piena crisi di essa, in un processo che è tuttavia segnato fin dall'inizio da un'intima sfiducia nei poteri della ragione e nelle prospettive del progresso. Ma soprattutto si delinea, all'interno e al di là di ciò, la crescente presa di coscienza di una zona non-umana, oscura, gemente, che l'uomo di fatto crea con la sua insensatezza e cerca inutilmente di capire con la sua razionalità. Sia nella fase di minore che di massima sfiducia nella ragione, Calvino appunto esprime e vive questa inesausta tensione di conoscenza e di ricerca, e al tempo stesso il senso acuto di un limite invalicabile ritornante: due poli tra i quali si realizza e si consuma la sua esperienza di intellettuale moderno. La vena segreta di un'alterità offesa e incolpevole, immutabile e irriducibile, via via emergente da tutto il suo discorso, mina perciò l'immagine di razionalista spericolato e sicuro, spregiudicato e prudente, avventuroso e algido, alla quale Calvino viene tanto spesso ricondotto; ma lo arricchisce di nuova complessità e pregnanza. Dietro e dentro le sue disincantate storie partigiane, problematiche ricognizioni sulla società, favole eticopolitiche, divertimenti fantastici, giochi combinatori, si rivela in sostanza un senso tragico e misterioso dell'esistenza, la constatazione di infelicità inespresse e inespicabili, la presa di coscienza di una dolorosa incompletezza umana. UN BESTSELLERPER LAPICCOLAEDITORIA? A !berta Cadi oli Nel dibattito culturale italiano dei primi anni ottanta, soprattutto nell'ambito della critica letteraria, il tema del "bestseller" ha suscitato ampie attenzioni: il termine stesso "best seller" è venuto ad indicare, per antonomasia, il romanzo destinato, anche solo nelle intenzioni, al successo. Le numerose discussioni sorte dopo la pubblicazione del Mercato delle lettere di Gian Carlo Ferretti (Torino, Einaudi, 1979) si sono ripetute nel corso della prima metà del decennio, alimentate dalle· vendite clamorose del Nome della rosa di Umberto Eco, e da tavole rotonde, da convegni, da un nuovo libro di Ferretti, esplicitamente intitolato Il best seller all'italiana (Bari, Laterza, 1983) da saggi, da interventi giornalistici (e va almeno ricordata la polemica avviata da quello di Citati sul "Corriere della Sera" del 13 maggio 1985). Con un convegno intitolato "Best seller: vera gloria?", organizzato in occasione del Premio Grinzane Cavour, si chiude infine la prima parte del decennio. Se dunque il tema del best seller è stato al centro dell'interesse della critica italiana degli anni ottanta, il titolo di questo intervento, "Un best seller per la piccola editoria?", potrebbe indurre a pensare ad una coda di quei dibattiti, pro o contro il libro delle alte vendite. Va subito detto, invece, che non è questo l'interesse. Non si può misurare la qualità letteraria di un testo dal posto che occupa nelle classifiche. Parlando di best seller si vorrebbero dunque suggerire altre riflessioni rispetto a quelle che negli ultimi tempi hanno opposto sostenitori e detrattori del romanzo "di successo", esaltandone la sollecitazione alla lettura o giudicandolo, immediatamente, di bassa qualità. Problemi non nuovi, per altro, se già nel 1947, in un libro americano dal sottotitolo esplicito "Storia del best seller negli Stati Uniti", si poteva leggere che: "Nella pubblicità editoriale, per l'azienda il termine indica una notevole qualità ma la maggior parte di noi, venuto meno l'entusiasmo della promozione, parla di libro best seller se le sue vendite sono fra quelle più alte" (Frank Luther Mott, Golden Multitudes. The story of best seller in the United States, New York & London, R.R. Boweker co., 1947, p. 6). Molti degli articoli - soprattutto giornalistici - dedicati in questi anni in Italia al best seller, si sono limitati a chiarire la complessità delle richieste dei lettori e della produzione libraria, e, soprattutto, poco o nulla hanno detto sulla realtà editoriale o sulla situazione dei consumi che un esame dei più venduti può rivelare. Prima di citare alcuni dati, occorre tuttavia precisare un altro punto. Le indagini correnti sul best seller si fondano per lo più sui dati di vendita rilevati settimanalmente dalla Demoskopea (che in parte li presenta con le classifiche pubblicate da "Tuttolibri") e tengono conto soprattutto dei primi dieci titoli per ogni genere. È convinzione diffusa tra gli osservatori che i primi dieci classificati rivelino il dato "macroscopico" ma che da essi sia impossibile trarre indicazioni sugli altri movimenti di vendita, altrettanto significativi che avvengono nelle zone "basse" della classifica, quando non siano occupate da un libro destinato al successo che ha fallito lo scopo, ma da libri prevalentemente rivolti ad un pubblico ristretto che invece si è rivelato più ampio del previsto. Senza tener conto, almeno ora, delle severe accuse mosse, e con ragioni motivate, da più parti, sulla rappresentatività delle classifiche attualmente disponibili, si può dire che le classifiche,· anche così come sono, costituiscono tuttavia un interessante - per quanto parziale - verifica della realtà dell'editoria italiana e del suo mercato, esprimendo le tendenze del pubblico e le offerte degli editori, e, soprattutto, contribuendo a consolidare l'immagine - sui lettori - dell'editoria più forte e del suo prodotto. È allora importante, anche in una più vasta riflessione sulla piccola editoria, precisare la presenza dei piccoli editori nella lista dei best seller. L'indagine, di nuovo, non vuole costringere in uno schema la piccola editoria - un tema che sembra quanto meno secondario: basterebbe andare a memoria e dire che, nelle classifiche dei più venduti, la presenza dei piccoli editori è praticamente nulla. Ma è troppo facile eliminare così il problema. Non è azzardato dire che il mondo editoriale degli ultimi anni sembra aver sofferto ad ogni classifica pubblicata e, che proprio i piccoli scorrono le book seller list settimanali, non tanto per trovarvi un proprio titolo, quanto per leggervi possibili tendenze del mercato. L'affermazione non vuole essere paradossale né provocatoria; piuttosto vuole indicare uno stato di fatto: se i grandi editori possono permettersi ogni anno di spendere de-

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