DISCUSSIONE appartengono i suoi numerosi (e dichiaratamente falliti) tentativi, prolungatisi dal '47 al '54, di "dare un'immagine d'integrazione umana", esprimendo narrativamente "la città, la civiltà industriale, gli operai" e insieme la "natura, avventura, ardua ricerca d'una felicità naturale oggi" (Nota a I giovani del Po, "Officina", gennaio 1957. Ma cfr. "l'Unità", ed. piemontese, 6 ottobre 1946, 26 gennaio, 9 marzo e 30 novembre 1947; "Il Contemporaneo", 6 novembre I 954). Lo scrittore spietato - Il motivo è, fin dal '46, insistente, quasi ossessivo. Ma per Calvino non si tratta soltanto di "spietatamente mettere a nudo" il mondo borghese e la sua crisi, con cui quel processo di integrazione deve fare i conti ("l'Unità", ed. piemontese, 27 ottobre 1946; ivi, Roma, 30 dicembre I 954). Lo scrittore deve essere "spietato" anche e soprattutto nella verifica e critica delle proprie idee, posizioni, solidarietà, senza indulgere mai a facili travestimenti e bagni proletari del vecchio io borghese ("l'Unità", ed. piemontese, 12 maggio, 30 lug!i(').>e 6 ottobre 1946; ivi, ed. della Liguria, 5 gennaio 1947; ivi, ed. piemontese, 22 giugno 1948). Lo scrittore artigiano - Uno scrittore e una letteratura cioè, fondati su una operatività consapevole, complessità di esperienze, "chiarezza razionale", perizia tecnica, etico rigore, e capaci perciò di realizzare un'aerea di "perfetta integrazione dell'uomo con il mondo". Qui la sua galleria ideale allinea quattro modelli fondamentali: lo "scrittore artigiano" Anderson, il "bravo capitano" Conrad, i solitari eroi di Hemingway, lo "stile attentissimo" di Stevenson ("l'Unità", ed. della Liguria, 5 gennaio 1947; ivi, ed. piemontese, 30 novembre 1947; ivi, Roma, 3 agosto I 954; "li Contemporaneo", 13 novembre 1954; "l'Unità", Roma, I aprile 1955). Il midollo di leone - Calvino ne parla esplicitamente nel '54 a proposito di Conrad: "il midollo di leone" è appunto la "lezione" che si può trarre dalla sua narrativa, e che "può essere appresa appieno solo da chi ha fiducia nelle forze dell'uomo, da chi riconosce la propria nobiltà nel lavoro, da chi sa che quel 'principio di fedeltà' cui egli soprattutto teneva non più essere rivolto solo al passato". Ma c'è in questo scritto e negli altri qui citati, l'ipotesi illusoria di un'area di integrazione uomomondo e di nuova razionalità, estrapolata con atto volontaristico dall'interno di un universo di insensatezza e disgregazione. Un'area separata e quasi protetta di "salute" viene cioè astrattamente contrapposta all'universo della "malattia". La vera e matura poetica del "midollo di leone" scaturisce invece dall'esigenza di penetrare e di svelare proprio quell'universo. Già in rubriche e recensioni del 1946-47 Calvino profess~ un marxismo problematico, antidogmatico, fondato sul "bisogno di conoscere la parte awersaria"; un marxismo che diventa quasi la metafora dell'"intelligenza del negativo", motivo centrale del famoso saggio di "Paragone" ("l'Unità", ed. piemontese, 6 ottore 1946, 9 marzo, 23 dicembre 1947; "Paragone", giugno 1955). Il discorso sull'insensatezza e irrazionalità e la tensione a un'integrazione uomo-mondo continua in Calvino anche dopo la crisi del '56. Ma qualcosa certamente muta. Se è vero infatti che l'istanza marxista e la politicità intellettuale in lui non sono mai state formali né estrinseche ma praticate e vissute, appare ora soprattutto chiaro che il nodo di fondo è sempre rimasto quello del contrasto tra fiducia e sfiducia nella stessa ragione umana. Calvino teorizza dunque fin dal '55, nel saggio di "Paragone", il suo ritorno quasi programmatico a una disincantata razionalità di tradizione settecentesca, che in realtà è sempre stata il nucleo intimo e segreto della sua esperienza intellettuale e letteraria, e che ora semmai sta maturando la coscienza della necessità di dover fare tutto da sola, senza sostegni né conforti né solidarietà collettive. C'è del resto un articolo del '47 che contiene un'insolita e sorprendente confessione, quasi svelando in anticipo le ragioni e la sostanza della crisi del '56: "Faccio racconti di partigiani, di contadini, di contrabbandieri, in cui partigiani, contadini, contrabbandieri non sono che pretesti (... ): in fondo non studio che me stesso, non cerco che di esprimere me stesso (... ): non sono in fin dei conti che uno dei vecchi scrittori individualisti che però s'esteriorizza in 'simboli' di interesse attuale e collettivo. (... ) ho avuto una solitaria e chiusa fanciullezza di ragazzo borghese e solo piu adulto, spinto da un indeterminato anticonformismo( ... ), mi sono riconosciuto nel popolo che lottava( ... )." Da ciò un pericolo: "sentirmi spegnere a poco a poco assieme all'entusiasmo che accomuna sempre scrittori e popolo nei momenti rivoluzionari, il mordente dello stile e la necessità storica dell'invenzione d'un nuovo linguaggio". ("l'Unità", ed. della Liguria, 5 gennaio 1947) Il '56 spegne quell'entusiasmo (ma non la tensione stilistica) e riporta in piena luce il vecchio individualismo, seppure in un contesto problematico e produttivo che Calvino nel •47-non poteva neppure immaginare. Mentre quell'insensatezza e quell'integrazione vengono perdendo le implicazioni ideali e conflittuali della sua battaglia antiborghese e marxista. Ma che fine hanno fatto, in tutto questo dis'corso, le capre di Bikini e il cane di casa? La loro presenza muta, interrogativa e inquietante si avverte in realtà con costante intermittenza, per piccole ma nitide tracce. Quanto più cioè Calvino porta avanti la sua penetrazione e disvelamento dell'universo di insensatezza umana, la sua tensione progettuale alternativa e critico-costruttiva, il suo processo di integrazione e ricomposizione tra uomo e mondo, tanto più riemerge sul suo cammino un'alterità non-umana immutabile, imperscrutabile, non integrabile, irrisolta. Dalle rubriche dell' "Unità" viene affiorando, tra pregiudizio ideologico e interesse problematico, una ricorrente apertura di tredito nei confronti di Freud e della psicoanalisi che rimanda a una zona oscura, prerazionale o arazionale, da penetrare e capire, con una più o meno implicita consapevolezza di difficoltà e impotenze da parte della ragione umana: rubriche nelle quali Calvino arriva anche a interrogarsi sul confine misterioso e sfuggente che separa o unisce la psicologia animale e la psicologia umana ("l'Unità", ed. piemontese, 25 luglio, 10 e 17 novembre 1946, 12 gennaio 1947). Ancora, in alcune favole allegorico-polemiche della rubrica "I viaggi di Gulliver" ("li Contemporaneo", I 954) la condanna della guerra, prevaricazione, repressione, sfruttamento da parte di questa o quella potenza o potere (Germania, Stati Uniti o padroni) rimanda a un'insensatezza umana punita da una natura indecifrabile e innocente: i guerrafondai dagli avvoltoi, il dittatore della moda dai seni femminili, e così via. Una rilettura inoltre della contemporanea e successiva produzione narrativa di Calvino rivelerebbe altre profonde tracce di quella vena segreta che parte idealmente dalle capre di Bikini. Bastino qui due campioni fondamentali. Nelle riflessioni del ragazzo partigiano Pin sui grilli e dello scrutatore comunista e razionalista sui mostri del Cottolengo, si delinea in sostanza un'alterità oscura e innocente (e nel secondo caso, forse più autenticamente umana) come prova oggettiva di una insensata violenza e impotenza conoscitiva dell'uomo, e come prova altresì di una impossibile integrazione tra due diversità irriducibili. Certo, tra gli anni cinquanta e sessanta Calvino continua
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