ILMIOEBRAISMO Gunther Anders rima di cominciare, vorrei chiarire un possibile malinteso. Alcuni di voi - che forse mi conoscono per le mie battaglie contro il fascismo, la minaccia atomica e la guerra del Vietnam - potrebbero stupirsi nell'apprendere che sono ebreo. Il mio nome, infatti, suona scandinavo. Ma questo nome è uno pseudonimo che mi sono trovato già molti decenni fa - per la verità, non allo scopo di "nordicizzare" la mia persona. Comunque, io sono nato con il buon nome ebreo di Stern. E come tale - a viso ~perto - desidero di stare oggi innanzi a voi. Ma - prima di scrivere sull'essere ebreo di questo Guenther Stern - desidero porre qualche considerazione sul momento storico in cui mi decido a farlo. Quello che voglio dire è che oggi ci troviamo in una situazione nella quale, da una parte, la "presa di distanza" dal tempo di Hitler - che dopo il 1945si era diffusa in modo più o meno onesto (piuttosto meno che più) - si è trasformato in nostalgia; una situazione nella quale il tempo dell'assassinio di massa è diventato un "buon tempo antico"; e nella quale, d'altra parte, l'odio cieco per cui trentacinque anni fa sono caduti milioni di vittime incomincia di nuovo a risvegliarsi. Dico: "di nuovo". Poiché quest'odio non si risveglia tanto tra gli "ex" ormai divenuti vecchi e che potrebbero essere ancora antisemiti - di gente come questa ce n'è ormai poca - ma piuttosto tra gente giovane, che per la maggior parte non si è mai trovata faccia a faccia con un ebreo. Per tal motivo, quest'odio è ancora più spaventoso che l'odio cieco dei loro padri e dei loro nonni. Com'è noto - oppure le avete saltate queste notizie, sui giornali? - poco tempo fa, ad Hannover, sono state insudiciate e spaccate, in altre parole profanate, delle tombe ebree. Un tale vandalismo prova che noi ebrei, anche quando siamo già morti da molto tempo, siamo percepiti dalla coscienza dei contemporanei come una spina nel fianco. In un certo senso io temo che siamo persino indispensabili a certa gente, degna di compassione. Siccome, infatti, essi non trovano più nessun ebreo vivo - dato che sono stati tutti scacciati o liquidati dai loro padri e dai loro nonni - si accontentano delle pietre tombali degli ebrei morti ancor prima del 1933. Quello che noi - gli ultimi ebrei - e loro - i nipoti degli assassini di ebrei - abbiamo da imparare da tutto questo è che l'esistenza degli ebrei non è affatto necessaria per lo scoppio dell'antisemitismo; che esiste un antisemitismo senza ebrei. Da questo antisemitismo senza ebrei io vorrei mettervi in guardia. Per il motivo che esso è - credetemi - presagio di un grande astio collettivo, di una possibile mentalità fascista o fascistoide. Chi vorrebbe combattere gli ebrei e non ne trova nessuno disponibile, molto probabilmente chiamerà "ebrei" altri gruppi di diversi - oggi studenti, domani dimostranti contro i reattori nucleari e così via. lo - un ebreo casualmente risparmiato e che, altrettanto casualmente, ha l'opportunità di parlarvi a nome di milioni di assassinati - sento il dovere di appellarmi a voi - figli e nipoti dei colpevoli - e di mettervi in guardia dalla "istituzione ebrei". Mi appello a voi, figli e nipoti ancora viventi di Eichmann, perché vogliate uccidere anche i primi, i più piccoli germi delle ripetizione di ciò che è accaduto trentacinque anni fa. Questo appello io, solo per caso sopravvissuto, non lo rivolgo ai nostri Migliori - non a noi, un paio di "avanzi' - ma ai vostri Migliori perché ad essi venga risparmiato ciò che è accaduto ad alcuni dei loro padri e dei loro nonni: e cioè, di diventare degli impiegati dei campi di annientamento e poi, dopo aver assolto questo "job", di trascorrere il resto della vita come ex assassini di massa. Una vita del genere non sarebbe soltanto vergognosa ma anche profondamente infelice (la lingua tedesca riunisce entrambe queste parole nell'unica parola "unselig": funesta, sciagurata). Ed ora veniamo al mio essere ebreo. ~ e mi chiedete quando mi sono sentito ebreo per la pri- ~ ma volta, vi racconterò la storia che segue: Quando un mio amico di religione evangelica - avevamo otto anni, dunque era l'anno 1910 - ad una mia domanda: "A cosa credi tu veramente?" rispose (naturalmente in modo infantile): "lo credo a questo, che noi siamo stati redenti" - ed io che prima d'allora non avevo mai udito la parola "redento" e ancor oggi, dopo settant'anni, la capisco assai poco, gli chiesi ancora: "Redenti da cosa? Dalla fame o da qualcosa del genere? Da tutto questo, io sono già redento"; ed egli mi rispose con disprezzo: "Ma chi è che ha ancora fame! No, redent.o, naturalmente, dal peccato .... " - ed io continuai a chiedergli: "Perché naturalmente? Io, per esempio, non ho nessun peccato. E che significa peccato in realtà?"; ed egli rispose: "Che sciocchezze! Siamo tutti peccatori - questo sta già persino nella Bibbia! Ma noi siamo stati redenti, e voi no, ecco!" - - ed io chiesi di nuovo: "E perché noi no?"; ed egli rispose: "Perché voi avete messo sulla croce il nostro Redentore!" - ed io lo rassicurai: "Parola mia d'onore! Questo, io non l'ho proprio fatto! E certamente neppure mio padre e mio nonno! Ma, per sicurezza, lo chiederò a mio padre!"; al che egli mi rise in faccia con espressione saputella e mi piantò in asso e il giorno successivo non parlò più con me - e il terzo giorno io gli chiesi: "Perché mi eviti così, davanti a tutti?"; ed egli rispose: "Già, come se tu non lo sapessi!" - allora, per la prima volta io sentii che qualcosa in me non era completamente in ordine. E questo qualcosa significava: essere ebreo. E se mi chiedete quando ho percepito per la prima volta il destino ebraico della persecuzione, risponderò: quando avevo quindici anni, nell'anno 1917,dietro al fronte franco-tedesco, nel villaggio di Rimogne dove noi - "noi", cioè a dire i ginnasiali di Amburgo riuniti in una Associazione paramilitare - avevamo il compito di fare la raccolta nei frutteti francesi (ad uso dell'esercito tedesco) - e qui mi si manifestò il destino ebraico. Io ero diventato, segretamente, amico di un "nemico mortale", cioè del figlio di un franc-tireur ucciso dai tedeschi, un quindicenne come me; e noi facemmo insieme giuramento con le parole del Salmo "forgiare i vomeri dalle spade" e fondammo insieme festosamente un primo Volkerbund - "unio populorum", così lo chiamammo dal latino che era - visto che io non parlavo francese ed egli non parlava tedesco - la nostra lingua comune. Ma quando questo "traffico di alto tradimento" con
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