Linea d'ombra - anno V - n. 19 - lug./ago. 1987

in posizione di scarsa rappresentatività. Rapportiamo a questo confine la penuria artistica cui accennavamo all'inizio: la penuria come carattere attuale dell'arte. A seconda del nostro collocarci di qua o di là del confine, la penuria assume un diverso valore. Guardando dal punto di vista dei grandi consumi e del dominio comunicazionale, penuria viene a significare minorità. Invece, guardando dall'altra parte del confine, considerati i limiti di rappresentanza del classicismo, la penuria artistica ci si presenta come qualcosa di prezioso. Penuria vuol dire scarsità. Non identificandosi con l'espressività comunicazionale e consumistica, è naturale sentire un'esigenza inappagata di espressione, che è anche arricchimento del senso della scarsità. Senso della penuria, come senso di mancanza, elemento di affinità e di richiamo per l'arte traversata dal futuro. Da un lato del confine la penuria è sterilità, dall'altro fertilità. Tutti i giornali del mondo hanno parlato dei Girasoli di Van Gogh venduti all'asta di Christie's a Londra, per oltre 50 miliardi. Nessun dipinto era mai stato pagato così caro. Un Van Gogh per l'equivalente di una grande fabbrica o di un quartiere residenziale. Si osservi la dinamica classicista di questo episodio limite. Un quadro a suo tempo sovversivo è proposto come oggetto spettacolare. Viene acquistato a un prezzo assoluto, come a dire che il prezzo dell'arte è al di sopra della ragione. Le avvincenti procedure della compravendita creano dappertutto un movimento di attrazione. Un mese dopo, a Milano, per visitare una piccola esposizione di quadri paraimpressionisti, provenienti da musei nordamericani, occorreva fare una fila di due ore e mezza. Statisticamente ciascun quadro esposto, per farsi vedere, richiedeva al visitatore un'attesa all'in piedi di quattro minuti. Esempio opposto: l'identikit risultante da una serie di inchieste su cosa e come leggono i critici letterari. Incalzati dalle mode editoriali, i critici medi si sono abituati a sacrificare le novità narrative e di poesia, quando non siano accreditate. Le sfogliano, e ritengono di non poter fare altrimenti se vogliono tenersi aggiornati con le letture che contano. Stato di fatto che già Doris Lessing aveva messo in luce cinque anni fa, pubblicando sotto pseudonimo due suoi romanzi: questi, benché avessero circolato a dovere, non furono recensiti, e quando la Lessing se ne dichiarò autrice, la maggioranza dei critici non si scompose. L'attrezzatura mentale delle persone colte è intrisa di classicismo. Poiché l'arte del presente è istintivamente accolta come una variante minore dell'arte del passato, si è portati a cercare nelle opere attuali qualcosa di attempato. In una recensione recente, Davico Bonino raccomandava ai teatranti di gruppo di andare a lezione di recitazione da qualche attore in pensione. Ecco un tipico scatto di nervi: come ambire un riconoscimento di decenza, senza possedere una base tradizionale? Ma io credo che, di fronte alla ricerca artistica, sia diffuso un po' in tutti un pregiudiziale desiderio di compiutezza. Si chiede al giovane, da subito, di rivelarsi artista "maturo", e all'artista formato di essere retrospettivamente coerente con la sua "opera". Anche l'espressività non immediatamente finalizzata, che vorrebbe cercarsi, che avrebbe bisogno di tempo da sprecare per sedimentare una sua cultura, è sollecitata a un adeguamento rispetto all'espressività comunicazionale, al Beckett di Chiari e Rasce! e al Van Gogh da 50 miliardi. Queste sono le proporzioni dell'odierna alienazione dell'arte. Per l'artista il condizionamento non viene più soltanto dagli arbìtri della committenza o dalla logica perversa, DISCUSSIONE epperò leggibile, del mercato. La produzione artistica ha assunto una diversa posizione rispetto alla società. Una volta l'artista antagonista sceglieva l'esternità (allora si diceva marginalità) in contrasto con la mercificazione, che era il principale veicolo di integrazione e di spossessamento. Oggi che la produzione artistica non ha più nemmeno una parvenza di mandato sociale, l'esternità sembra essere diventata una condizione. Una condizione da riconcepire in tutti i suoi aspetti, concreti e filosofici, tattici ed etici. Potrebbe chiudersi qui il nostro quarto pensiero anticlassicista, se alcune opere - questa penuria fatta di "astri senza atmosfera" - non fossero lì a dirci che l'esperienza dell'arte è più avanti del discorso. In questi anni, un piccolo arcipelago di ricerche personali e di gruppo ha saputo costruire attorno a sé un ambiente. Una certa pratica artistica è diventata ragione pratica di un'esternità più vasta, anche di non artisti. Si è visto e sentito che quella particolare raccolta di poesie o quel particolare spettacolo reagivano alla condizione di esternità producendo un'esternità loro. li coinvolgimento è andato ben oltre il consumo. Nella crisi finale del movimento operaio, il rapporto con l'oggetto e l'ambiente dell'arte è entrato a far parte di quelle che Touraine ha definito le "forze di resistenza" all'attuale "apparato di dominazione sociale": forze "assolute, cioè al limite non sociali", che esprimono una resistenza "biologica". Parafrasando Voltaire, in un saluto al lettore, Baudelaire scrisse questa massima: "tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili". La sua poesia era fatta per non condividere l'andamento del mondo, per rompere la complicità del benessere con l'abbrutimento. Forse nessun teorico ha espresso così da vicino il nostro attuale sentire politico. Partecipi di una civiltà opulenta arrivata alle soglie dell'autodistruzione, abbiamo molti motivi per riconoscerci nelle parole di Baudelaire. Noi pensiamo ai nostri bisogni di esternità: rispetto a Cernobyl o agli eccidi palestinesi. Baudelaire pensava alla condizione moderna della poesia. Stesse parole per pensieri diversi, ma non privi di collegamento. Disegno di Robert Crumb.

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