da IL QUADERNODEGLIAQUILONI Stefano Moretti I. Alti volavano gli aquiloni nel cielo di un gruppo di baracche, come guidati appena dalle correnti. Solo a tratti, piccole braccia nere s'alzavano sapienti, in solitaria corsa, a rompere il silenzio delle lamiere. I I. Insegna un'arte antica a far volare gli aquiloni - a Manaus c'è persino un campionato - ma qui gli aquiloni sembrano alzarsi da soli, sorretti e scagliati da un cielo possente. Sempre una mano esperta, invece, guida il loro volo, li regge ai balzi, agli schiaffi, alle impennate, alle immobili corse. Qui a sera, su queste giovani sponde del mare, vengono i ragazzi a lanciare alti voli con gesti fermi, come riavvolgessero la tenda del cielo. E con l'ultimo brandello di chiaro sotto il braccio se ne vanno poi scalzi, a continuare inconsapevoli in altre loro antiche scienze. Come nostrani immigrati sulle transenne delle stazioni, come rondini a sera, certo, mi ricordano ch'è cambiato il cielo e identico son io, ma in un loro sguardo, in quest'orizzonte più grande che fa meno dolorante anche me, disperso nell'allegra malinconia d'essermi perso, sento che qui vivere non è un'arte ma lasciarsi alle correnti. In balia di tiepidi venti, di dolci vortici, aduste vite paiono tenute da fili che leggeri le adunano nel ristoro di spiagge lucenti, nei golfi sabbiosi che in alto chiudono il grigio dei graniti roventi, circonfusi d'oceanici vapori, e il verde di freschi spioventi, in scenari dove l'umana azione graffia appena un incanto da primo giorno della creazione e le dividono a sera nella stanchezza del tempo vano, senza stagioni, per strettoie e scalette che affiancando incuranti i ricchi caseggiati salgono il morra verso la favela o le assiepano ancora sui grigi treni che portano all'afoso suburbio - periferia d'una periferia, priva anche della grazia del mare - verso le cento stazioni tutte uguali, con i cavalcavia e i muraglioni dalle scritte cubitali, cancellate e rifatte, d'un vecchio sciopero. Ignare esistenze sparpaglia l'improvviso buio della sera, come aquiloni finito il volo. Lontane dalla storia comune e dal dominio del loro stesso giorno, lasciano i dolci scenari con l'ombra di un'animale tenerezza negli occhi. Membra svuotate dal sole e dalla fame, o da cento fatiche quotidiane sufficienti appena a reiterare il giornaliero miracolo e l'ordinaria fine, se ne vanno nella notte senza spine sospese solo al loro perpetuo sognare. III. Per non so quale amore, per la solita pena, salgo le traballanti scale di legno - tipo saloon del far west - di una povera boate, e stasera è un tango dolciastro e sguaiato ad investirmi, voce straniera che sembra uscire da una nostrana sagra di paese. Qui assiepata una folla ondeggiante segue incantata lo show caro ai travestiti di mezzo mondo, ovunque risarciti dalla favola torbida e fasulla dell'attrice morta come una regina. 75
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