74 - Non garantisco niente. Certo, le cose migliorerebbero - disse Malverti. Il vecchio insegnante abbozzò un inchi- ' no, si aprì l'impermeabile sul petto e uscì quasi di corsa. Il critico lo seguì con lo sguardo finché non fu ingoiato dalla bufera di neve. Quanto mai spossato, e ·pensoso, si distese sulla poltrona e guardò il.mucchio di fogli inutili, sparsi sul pavimento., - Quanto, quanto dovremo ancora scrivere perché la gente smetta di scrivere? - sospirò. Quindi riaccese uno dei suoi pregiati cabanas, e in breve le volute di fumo lo avvolsero come braccia di odalische in sogno, e si addormentò. DAI LETTORI EXTREMITIES, O DELFALSOVERO Carlo Ippolito (Milano) Il dramma Extremities di William Mastrosimone è basato su questo assunto: che ognuno, nel violare un 'etica in qualche modo anche da lui condivisa, si rappresenta come il personaggio di una situazione drammatica che legittima questa violazione. Marjorie, la protagonista del dramma, convive con due amiche in una casa isolata, in un tipico sobborgo americano; entra un uomo, Raul; afferma di cercare un certo Joe. Joe gli ha detto di abitare lì, si è fatto lasciare davanti alla casa una volta che gli ha dato un passaggio, aveva una stanza in subaffitto, è un peccato che non ci sia, perché Joe gli deve un sacco di soldi. Nessuna di queste spiegazioni della sua presenza nella casa è tale da rassicurare Marjorie, e non è questo infatti il loro scopo: Raul si sta ''montando'', appena costruita una situazione di ragionevole rabbia (Marjorie sta mentendo, protegge Joe che gli deve dei soldi) Raul può interpretare un altro ruolo: quello dello stupratore-vendicatore. Anche lo stupro è una recita che si svolge secondo un preciso cerimoniale: terrorizzare la vittima, renderla impotente e soprattutto cosciente della propria impotenza, trasformarla infine da vittima in complice; deve assumersi lei (dì che ti piace, dì che lo vuoi) la responsabilità del coito, simulare una partecipazione attiva. L'oscenità dello stupro sta proprio in questo suo parodiare l'amore, a partire da un postulato di dominio. Ma la donna stuprata non ama, si limita a recitare le battute prescritte, e mentre grida "sì, oh sì, lo voglio!" Marjorie, in un momento di straniamento, afferra una bombola di insetticida e acceca Raul. Liberata, non lo consegna alla polizia (c'è un'eco del dibattito americano sui "diritti delle vittime" che percorre tutto il dramma), lo metterebbero subito in IÌbertà, e potrebbe tornare: meglio ucciderlo, meglio punirlo in proprio: tenerlo prigioniero, torturarlo. A questo punto i ruoli si sono invertiti: Marjorie ha prèso una decisione dalla quale, con il passare del tempo, diviene sempre più difficile recedere (come significare il ritardo nella denuncia, il sequestro di persona, l'omissione di soccorso?); deve quindi continuamente ricostruire la propria rabbia, tacitare ogni dubbio o esitazione con il ricordo della violenza subita, che assurge così a giustificazione di nuove violenze. La nuova vittima, Raul, a sua volta tenterà strategie differenti per ottenere la libertà, rappresentandosi di volta in volta come povero ragazzo, padre di famiglia, lavoratore provocato dai suoi pantaloncini attillati, violento che tornerà a vendicarsi. Questo dramma ha il merito di portare alle estreme conseguenze una situazione ormai stereotipa nel recente cinema americano (anche da Extremities è stato tratto un film): perché la decisione di Marjorie non è salda quanto quella di un Charles Bronson o di un Clint Eastwood, e perciò la sua violenza si rivolge non solo çontro il violentatore, ma anche contro le conviventi che cercano di opporsi ai suoi propositi di vendetta privata. In quanto vittima, Marjorie non appartiene più al loro mondo, la violenza subita l'ha come trasfigurata, e finché riuscirà a tenerne vivo il ricordo le sue azioni apparterranno ad una sfera morale a sé stante. La rivelazione che anche una delle due conviABBONATEVI A LiNEA D'OMBRA venti è stata in passato stuprata rappresenta infatti una svolta decisiva, poiché svilisce l'eccezionalità dell'esperienza di Marjorie. La situazione, come qui schematicamente riassunta, non appartiene soltanto alla sfera dei rapporti interpersonali, o di quelli tra gli individui e la legge, tra vittime e criminali: la memoria delle violenze subite nel passato entra a far parte del complesso cerimoniale con cui gli stati costruiscono e giustificano le proprie violenze, cioè le violazioni delle leggi internazionali e di quelle etiche. Il ruolo che Marjorie si costruisce a imitazione di quello di Raul ci viene costantemente proposto come modello di comportamento di massa. Ho riassunto qui i contenuti di Extremities perché lo spettatore, assistendo allo spettacolo allestito da Massimo Navone per il Teatro di Porta Romana, difficilmente riuscirebbe a trovarne traccia. I personaggi vi sono infatti costruiti come caratteri, e dall'inizio alla fine dello spettacolo si limitano a rappresentare quello che succede: una donna dà la caccia a una vespa, poi entra un uomo, la terrorizza e la violenta, lei riesce a sfuggirgli come s'è detto, eccetera. Tutta l'impalcatura su cui si regge il testo, tutti i giochi della comunicazione e della teatralità quotidiana sono stati sottovalutati o ignorati. Ne deriva l'imbarazzante sensazione di assistere alla ennesima puntata di un serial: Raul è sempre rigorosamente e coscientemente malvagio, dall'inizio alla fine, come una specie di J.R., e ci si chiede quale altra sventura si abbatterà su Marjorie nella puntata successiva. Questa sensazione è d'altronde rinforzata dalla scenografia, che rappresenta una casa impersonale come un set, arredata con i saldi di Aiazzone. Eppure, secondo il regista e lo scenografo, questo è un allestimento realista. Come è potuto succedere, a quale realismo pensavano? Alla televisione, al cinema: dove infatti per reale troppo spesso si intende una serie di sventure che colpiscono personaggi rigorosamente medi, caratteri ricalcati su persone superficialmente osservate; e quando, come nel caso del violentatore Raul, l'esperienza diretta non soccorre, è pur sempre possibile ispirarsi a questa grande riserva di verosimile, la televisione, il cinema, in un eterno circolo vizioso. La scena, in questa caricatura del naturalismo, si costruisce per accumulo di dettagli non significativi: effetti luminosi e sonori, scena e trucco continuamente sussurrano: "non deve essere vero, questo che ora ti mostro, visto che avviene in ambienti tanto verosimili?" In questo modo si opera una censura: non più per ragioni politiche ma per semplice calcolo economico, per mediocrità culturale; non sono mai esistiti, in fatti, realisti dallo sguardo inconsapevole, privi di strumenti concettuali. Peccato, perché allestito diversamente questo testo avrebbe davvero potuto rinnovare per noi il miracolo di cui parla Balàzs nei sui Scritti di teatro: "degli uomini, che per tutto il giorno partecipano alla vita, tutte le sere, a migliaia, si radunano per vedere come è la vita, per vedere quel che loro avviene".
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