66 "estreme" che si collocano fuori da qualsiasi logica mercantile, siano esse giovani o vecchie. D'altro canto il nuovo teatro è sempre relegato in spazi secondari, senza possibilità di azione e, anche quando è accettato in cartellone, è bistrattato con poca pubblicità e con carso servizio d'informazione, oppure è inserito nella parte di stagione destinata alla indifferenza generale. (Per arrivare a punte "comiche", per esempio quando il Fabbricone di Prato, luogo di sperimentazione che ha ospitato da Remondi e Caporossi a Falso Movimento e lo scorso anno il magnifico lgnorabimus di Ronconi, è stato quest'anno affidato a Gabriele Lavia, maestro indiscusso del melenso genere "Harmony" del teatro italiano). In questa situazione di schizofrenia tra il livello politico organizzativo e quello artistico, quando quest'ultimo non è vittima o complice dell'altro, vive completamente staccato, seguendo un proprio difficile percorso. Sono appunto i percorsi personali e di gruppo ad avere la meglio in questa stagione appena terminata, nella coerenza della ricerca e nella tensione-scontro con il sociale, filtrati ed elaborati dagli stessi autori degli spettacoli. Così Santagata e Morganti abbandonano il seppur fievole riferimento a Handke per costruire una storia che si svolge appunto Dopo, dove i protagonisti, provenienti dai due romanzi Prima del calcio di rigore e La breve lettera del lungo addio, si ritrovano "in osservazione" in una clinica-carcere. li loro teatro è fatto di rabbia e di insofferenze, di ribellioni e di urla contro una quotidianità tranquilla, soffocante, minacciosa; ritorna l'ossessione per la donna sempre cercata e da cui sempre si scappa, una Maria che da Biichner attraversa diversi loro spettacoli; si inserisce il cinema (pochi minuti di riprese perfette) come elemento della narrazione che serve a raccontare il già accaduto, ciò che è morto, il ricordo, per affermare d'altro canto il teatro, l'azione, la tensione, l'accadere; ma il presente è una minaccia e la ribellione e la differenza si possono pagare con la vita. Un altro esempio di lucidità poetica è stato raggiunto dai Magazzini con Come è: per la prima voha, forse, un Becketl da guardare e da ascoltare fuori dai soliti luoghi comuni attorno all'autore, un testo di Beckett in cui si riesce a convivere con l'autore, con il suo e nostro Nulla, in una duplice sensazione di piacere e di fastidio: il piacere della costrizione e della traduzione della pagina in fatto teatrale e figurativo, dove l'attore disegna e riempie la scena con le sue azioni, lavorando nella piena libertà dell'universo beckettiano e creando un 'opera ossessivamente compiuta. Federico Tiezzi l'ha tradotta in elementi figurativi e in azioni concrete e la conclude con un esemplare assolo di Sandro Lombardi. La traduzione scenica di Tiezzi è realizzata su una drammaturgia di Franco Quadri, un lavoro che acquista corpo dall'affinità di Quadri con il gruppo e dal suo profondo e consapevole amore per Beckett. Essa ci ha riportato alla mente una frase di Garbo li su Roberto Longhi: "tradurre è solo riconquistare un originale; ricondurre un testo all'integrità primitiva; risalire, a volte, a una lettera perduta nello stesso originale. Tradurre è liberare un testo soprattutto dalla nostra miopia". È a Garboli che dobbiamo la migliore traduzione del Misantropo (ora pubblicato nella collana "Scrittori tradotti da scrittori" di Einaudi), messa in scena da Carlo Cecchi. Qui il lavoro dell'attore protagonista si trasforma in un'etica di rapporti, e l'insofferente rivolta individuale del misantropo diventa malessere verso forme di socialità finte e fittizie che, nella scena che è un gioco di specchi, dal perfetto lavoro degli attori si estende e si riflette sul pubblico; il gesto definitivo del misantropo, magistralmente interpretato da Cecchi in uno dei suoi migliori spettacoli, ha più livelli; la parrucca scagliata alla fine contro i personaggi della scena è un messaggio per tutti. A parte il piacere del teatro, Cecchi dimostra la forza e lo spessore che un testo, un classico, può avere se sondato e filtrato da un 'intimità che reagisce al mondo, divenendo quasi didascalico nell'espressione di un malessere molto contemporaneo e sempre meno condiviso. Ancora un percorso personale è quello compiuto da Leo De Berardinis per arrivare A sinistra, Come è dei Magazzini (foto di Tommaso Tommasi); sopra, San/agata e Morganti; in basso, Leo De Berardinis (in una foto di Piero Casadei). a Novecento e mille, spettacolo summa degli ultimi anni costellati di splendidi assoli e segnati dalla costruzione di una compagnia di giovani. li Novecento volge al tramonto, un secolo e un millennio. La riflessione mette assieme fisica, filosofia e teatro in una tensione di temi attenti alla storia e alla cronaca, dall'Urlo di Ginsberg, sussurrato, al Lenin di Majakovskji, con la parola rivoluzione evocata quasi un ricordo lontano, cui fa da contrappunto Le ceneri di Gramsci. Il finale è un omaggio a Eduardo ma anche un rimboccarsi le maniche per un nuovo lavoro di analisi e di riflessione da attuare sui tempi lunghi: "Ha ddà passà a nuttata" con l' fnternazionale.
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